L’arte del Cairo parla milanese
Stefania Angarano intervistata da Elisa Pierandrei 20 aprile 2010

Un Festival Mediterraneo della Letteratura al Cairo. Ce n’era proprio bisogno?

Come della bellezza, o dell’aria fresca… La cosa più importante in questo genere di manifestazione è creare una continuità, dei punti di riferimento reali e non solo manifestazioni effimere e spettacolari che non lasciano traccia nelle coscienze e nello sviluppo dei dibattiti. Il Festival intende offrire un terreno di condivisione di sensibilità comuni, se e dove esistono, ma ancor più una zona franca di scoperta e valorizzazione delle differenze culturali nel Mediterraneo, un luogo geografico, ma soprattutto un’entità mentale complessa e sfaccettata che va continuamente ripresa e discussa.

Si tratta di una settimana di reading letterari, mostre e conferenze. Su quali artisti punta questa prima edizione del Festival?

Nella sua prima edizione il Festival affronta il tema della “Letteratura e comicità”, ovvero quanto il riso scaturisce dal testo. La capacità di ridere è uno dei processi basilari della creazione di una civiltà. Pertanto ci saranno fra gli altri gli italiani Michele Serra, Giovanna Zucconi, Lella Costa, l’egiziana Ghada Abdel Aal, la libanese Najwa Barakat e gli spagnoli Los Torreznos.

Oltre alla Mashrabia, nell’area di Downtown, da qualche anno esistono altri spazi indipendenti per la promozione della cultura pop contemporanea, come le gallerie Espace Karim Francis, la Contemporary Images Collective e la Townhouse Gallery. E’ tempo di immaginare un nuovo Egitto?

Sarebbe anche ora. Se penso che per molti, troppi visitatori Egitto significa ancora e solo piramidi e obelischi. La produzione contemporanea è molto cambiata negli ultimi dieci anni, e molto rapidamente rispetto al ritmo precedente. Da qualche anno per i giovani artisti esistono molte più opportunità di viaggiare, di essere invitati all’estero per periodi di residenze con altri artisti, con la chance di lavorare e pensare insieme. Con l’accesso a internet, poi, gli artisti hanno avuto la possibilità di vedere in diretta cosa succede nel resto del mondo, quali sono i trends, come evolvono le tecniche e le tematiche. L’informazione crea stimoli da una parte, dall’altra però incoraggia un adeguamento a tendenze createsi altrove a volte un po’ pedissequo, una sorta di ansia di recuperare il tempo perduto. Ciò non toglie che numerosi artisti lavorino con originalità e idee personali.

L’arte contemporanea dei giovani egiziani, cresciuti immersi nella cultura pop e bombardati da suggestioni internazionali, è concepita soprattutto come fuga dalla realtà, riforma della mente. Il dissenso qui viaggia solo sul web?

Premesso che il web ha aperto un terreno insperato di comunicazione libera e diretta, e quindi è, e deve rimanere, uno spazio privilegiato, direi che di tentativi di formulare discorsi critici sulla realtà ce ne sono, e più di uno. A cominciare dalle ultime espressioni letterarie di giovani che sono riusciti ad uscire dal loro guscio e a guardare non più solo al loro straziato ombelico. Nel Festival ci sarà una conferenza dedicata alla scrittura giovane dal titolo “Oltre l’intimismo”, che propone una selezione di sguardi ironici sulla realtà.

Che impatto ha avuto sulla produzione artistica locale l’annuncio dell’apertura (fra il 2011-2012) del Guggenheim di Abu Dhabi, che sarà il più grande al mondo?

Per il momento nessun impatto visibile, bisogna dire anche che i curatori fanno acquisti molto selezionati: grandi nomi, grandi opere, quelle cosiddette “museali” appunto, cercando solo valori sicuri e già accreditati. Molto più importante sui giovani è stata l’influenza dell’apertura del grande mercato d’arte di Dubai qualche anno fa, che ha creato un’effettiva circolazione di opere prima conosciute e commercializzate solo a livello locale, ma anche un mercato un po’ fasullo con prezzi esagerati che non trovano più corrispondenza locale. Non dico che chi lavora con Dubai non vuole più produrre per l’Egitto, ma quasi.