Aung San Suu Kyi e il futuro della Birmania
Azzurra Meringolo intervista Cecilia Brighi 12 aprile 2012

Fino a un anno fa numerosi osservatori erano convinti che la forza politica di San Suu Kyi si stesse esaurendo anche a causa degli anni trascorsi agli arresti domiciliari. Il movimento di massa di questo periodo sta smentendo queste previsioni?

Molti di questi analisti sono in realtà lontanissimi dalla realtà locale. Quanti da anni si interessavano seriamente del processo di transizione sapevano che San Suu Kyi non ha mai smesso di essere una guida. Anche negli anni più duri, anche quando l’isolamento nei suoi confronti è stato pesante, la leader democratica birmana ha sempre continuato a svolgere il suo ruolo fondamentale di guida, preoccupandosi del futuro democratico del suo paese. Attraverso la sua fitta rete di contatti ha mantenuto vivo il rapporto con l’opposizione tanto all’interno quanto all’esterno del paese.

Per molti birmani San Suu Kyi è una sorta di divinità, l’unica persona in grado di liberare il paese dal regime militare. Ogni volta che appare in pubblico migliaia di persone si radunano per ascoltare i suoi discorsi, ma lei appare come una donna schiva e contraria a queste forme di idolatria.

È una donna molto attiva, con tante energie e con un grande valore morale. È abituata a guardare l’essenza delle cose e ha un approccio asiatico ad alcune questioni, come ad esempio il rapporto con il pubblico. Conosce bene la sua gente e sa come rivolgersi al suo popolo. È in grado di affrontare questioni complesse utilizzando un linguaggio facile e mediatico che colpisce il cuore dei destinatari dei suoi messaggi. Si parla soprattutto di persone semplici. Al contempo San Suu Kyi è una donna abile nel dialogare con i rappresentanti della diplomazia internazionale e con istituzioni di alto livello. La leader birmana ha un grosso spessore politico e culturale.

Un articolo pubblicato la settimana scorsa sull’Asia Times dichiarava che un’eventuale vittoria di San Suu Kyi avrebbe confermato la volontà riformatrice del governo. Lei è d’accordo?

Le ultime votazioni sono state elezioni suppletive. I candidati si sono contesi la riallocazione di quarantacinque seggi precedentemente occupati da deputati che, dopo essere stati eletti, hanno assunto cariche governative. Hanno avuto un importante significato storico. Hanno alzato il morale dei cittadini, ma il parlamento è composto da circa seicentoquaranta deputati. L’incidenza delle forze democratiche resta ancora parziale.

Il vero ostacolo alla transizione democratica continua a essere la questione etnica. Nel nord del paese è in corso un conflitto tra le forze governative e l’esercito per l’indipendenza Kachin (Kia) che si batte per l’autonomia dello stato Kachin. In altre zone del paese sembra reggere una tregua tra governo e gruppi etnici, ma la storia della Birmania mostra che queste tregue sono servite soprattutto a congelare i problemi, non a risolverli. Cosa farà San Suu Kyi per porre fine a questi scontri?

Ci sono stati dei pre-accordi di cessate il fuoco in alcuni stati etnici, ma, nonostante questo, proprio in questi stati, l’esercito continua a penetrare e a razziare i villaggi, a incendiarli e a fare violenza soprattutto verso i contadini. C’è quindi la necessità di aprire un negoziato per la costruzione di un percorso di pace che porti all’autonomia degli stati etnici. Questo è un o degli obiettivi che si è posta San Suu Kyi. Per farlo ha proposto di organizzare una seconda Conferenza di Panglong (riferendosi all’accordo firmato nel 1947 dal padre Aug San, leader della lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, con rappresentanti delle singole nazionalità etniche ndr) per costruire un dialogo con le popolazioni etniche.

Quali sono gli altri punti dell’agenda di San Suu Kyi?

Altre questioni centrali sono la lotta contro il lavoro forzato, il rispetto dei diritti umani, l’affermazione dello stato di diritto, il diritto del lavoro, i diritti dell’organizzazione sindacale e tutto l’apparato di giustizia sociale. In aggiunta la leader birmana ha un programma che mira a garantire un’istruzione gratuita per tutti, pensando anche alla formazione professionale. Ovviamente c’è bisogno di una grossa attenzione internazionale ed è per questo che i sindacati locali e internazionali hanno chiesto a Europa e Stati Uniti di non cancellare le sanzioni (imposte alla fine degli anni ’90 ndr). Senza delle regole legislative chiare, l’eliminazione delle sanzioni permetterebbe solo lo sfruttamento delle risorse umane e naturali del paese senza che si possa avere il diritto di tutelarle.

Un cambiamento in Birmania cosa vorrebbe dire a livello regionale?

Qualora ci fosse un reale cambiamento democratico, la Birmania lancerebbe un messaggio chiaro anche agli altri paesi. Mostrerebbe che alla lunga la democrazia paga, che è questa la chiave per lo sviluppo di un paese e che è con essa che quanti gestiscono il potere devono confrontarsi. Questo non vale solo per i politici, ma anche per gli imprenditori che hanno interessi in questi paesi.

Immagine: edenpictures (cc)