Höffe: “La giornata Unesco non diventi uno spot per il regime”
Matteo Landricina 9 settembre 2010

Otfried Höffe insegna Filosofia all’Università di Tubinga, in Germania. Nel 2008, ha partecipato a Istanbul alla Giornata mondiale della filosofia, indetta annualmente dall’Unesco, e dice che in quella sede ha avuto modo di sincerarsi dell’alto livello del dibattito scientifico, oltre che del positivo effetto politico-culturale dell’evento Ammette infatti di essere rimasto positivamente sorpreso soprattutto dal gran numero di donne presenti al convegno di Istanbul, che smentiva lo stereotipo che vuole la società turca patriarcale e maschilista.

Non si potrebbe certo insinuare, dunque, che il professor Höffe abbia dei pregiudizi riguardo all’Unesco o alle sue iniziative. Oppure che sia di tendenze islamofobe, o magari anti-persiane, visto che nel 2004 Höffe era stato anche scelto quale primo membro (onorario) straniero dell’Istituto filosofico iraniano, chiamato anche Accademia di Teheran per la saggezza mondiale e la filosofia. Tanto che il direttore dell’Istituto, Gholamreza Aavani, lo aveva invitato a prendere parte con uno degli interventi principali alla Giornata mondiale della filosofia, che, come noto, quest’anno si terrà appunto in Iran. Eppure, dopo avere inizialmente accettato l’invito a partecipare ai lavori, Otfried Höffe ha scritto al direttore e ha detto no, grazie. E in una lettera pubblicata il 16 luglio sulle pagine della Frankfurter Allgemeine Zeitung ha spiegato le motivazioni della sua sofferta decisione.

Che cosa ci si dovrebbe aspettare da un evento come la Giornata mondiale della filosofia, promosso dall’Organizzazione per l’educazione, la scienza e la cultura delle Nazioni Unite, allo scopo di offrire alla comunità intellettuale internazionale un foro per “riflettere sullo stato del mondo e determinare se esso corrisponde ai nostri ideali di giustizia ed uguaglianza”? Se la filosofia pone, come dice l’Unesco, “la base concettuale dei principi e dei valori da cui dipende la pace nel mondo”, ovvero “democrazia, diritti umani, giustizia ed uguaglianza”, quali dovrebbero essere i requisiti minimi per l’happening che ne celebra una volta l’anno la centralità nel mondo? Secondo il professor Höffe deve poter esserci “uno scambio di idee filosofiche ad alto livello scientifico e senza censura politica”. Ed è proprio il raggiungimento di questo standard minimo che l’accademico tedesco, noto per i suoi studi sulla filosofia di Kant e Aristotele, mette in dubbio per l’edizione di quest’anno.

Non che l’Istituto filosofico iraniano non abbia le carte in regola per ospitare un congresso degno dell’occasione. O che il titolo generale scelto, “Filosofia: teoria e prassi”, non offra ampie possibilità di esplorare il vasto e ricco universo della filosofia mondiale: dalla storia della filosofia all’etica, dal ruolo della scienza alle questioni politiche, dai problemi nei rapporti familiari a quelli dei rapporti tra culture e religioni, il cartellone spazia in ogni direzione e promette, sulla carta, discussioni stimolanti e coinvolgenti, vista e considerata anche la millenaria storia su cui poggia lo straordinario patrimonio culturale del paese ospite.

Ciò che Otfried Höffe mette in discussione è la seconda parte dell’enunciato: la libertà da ogni censura politica, indispensabile ad una scienza deputata alla ricerca della verità come la filosofia. Ciò che il filosofo tedesco teme è infatti che personaggi come Haddad Adel, nominato dal presidente Ahmadinejad in persona alla direzione della Giornata, o come Mohammad-Javad Larijani, membro del comitato di consulenza scientifica, nonché capo della famigerata Commissione per i diritti umani dell’Iran, non gli permettano di portare a termine il proprio intento di “diffusione dell’illuminismo kantiano” in un paese notoriamente molto religioso. Mancano insomma nell’Iran di oggi, secondo Höffe, le condizioni minime di libertà di espressione e di pluralismo politico, e c’è il rischio concreto che la manifestazione si risolva in uno spot propagandistico dell’attuale regime. Di fronte a questa prospettiva, il professore ha detto no, e rimane in attesa di un “cambiamento radicale” per poter portare avanti la sua proficua collaborazione con la filosofia iraniana.