Gülen, il ‘nuovo’ problema di Erdogan. Dove nasce la lotta che divide la Turchia
Tigrane Yegavian 25 marzo 2014

Alla vigilia delle elezioni municipali di marzo e delle presidenziali di agosto 2014, la tensione è alle stelle tra il fremente primo ministro Recep Tayyip Erdogan, indebolito dagli scandali di corruzione che toccano la sua cerchia, e il movimento di Fethullah Gülen, accusato di essere dietro un “complotto” ordito per rovesciare il regime dell’Akp. Un’accusa respinta dall’interessato. A capo di un misterioso movimento venato di sufismo, che si proclama baluardo del dialogo interreligioso e dell’amore universale, Gülen si trova al centro di una delle più gravi crisi politiche che hanno investito la Turchia dal colpo di Stato del 1980.

La genesi di un’ascesa folgorante

Hizmet[1], è così che si chiama la “confraternita” di Fethullah Gülen. Originario della provincia di Erzurum, nell’Anatolia orientale, il giovane Imam ha celebrato le sue prime prediche a Edirne, nella Turchia europea, e in seguito nella città costiera di Smirne, dove ha fondato una piccola comunità di persone affascinate dal suo carisma. Con lentezza ma decisione, il movimento comincia la sua ascesa, grazie anche al colpo di Stato militare del 1980, che mette al potere una giunta militare ansiosa di riconciliare definitivamente la sua visione dell’islam (sunnita) con l’identità turca. Nascerà così la famosa “sintesi turco-islamica” (Türk-Islam sentezi)[2]. Violentemente anti-comuniste, le prediche dell’imam si iscrivono sin dal principio nella tradizione del pensatore islamico turco di origine curda dell’inizio del XX secolo, Saïd Nursi (1876-1960). Quest’ultimo rivoluzionò il mondo delle confraternite turche con i suoi scritti prolifici. Anche se combatté al fianco di Mustafa Kemal durante la guerra d’indipendenza alla fine della Prima guerra mondiale, finì rapidamente per cadere in disgrazia.

Un secondo periodo propizio per l’imam si apre all’inizio degli anni Novanta; l’indipendenza delle ex repubbliche sovietiche turcofone dell’Asia centrale grazie al crollo dell’Urss favorisce una formidabile espansione dell’hizmet gülenista in questa regione e il suo radicamento nel territorio tramite l’apertura di istituti scolastici. Gülen, inoltre, intrattiene dei rapporti cordiali con il laicissimo primo ministro social democratico dell’epoca, Bülent Ecevit, desideroso di approfittare della rete gülenista per lanciarsi alla conquista di uno spazio strategico che considera come il suo avamposto asiatico. È ancora lo stesso Gülen a sostenere l’esercito nel colpo di Stato post-moderno che nel 1997 rovescia il primo ministro islamico Necmettin Erbakan. Questa scelta pragmatica era motivata tanto da una volontà di sopravvivenza, quanto dal rifiuto di una polarizzazione frontale all’interno della società turca.

Uno Stato nello Stato?

Secondo Tancrède Josseran[3], esperto della Turchia contemporanea, la principale posta in gioco del conflitto tra laici e religiosi è stata e continua a essere il monopolio dell’educazione delle generazioni future. Al contrario la confraternita Gülen intende conservare uno strumento di trasmissione della fede che nel tempo potrebbe portare alla costituzione di una élite. Diversi fattori giocano a favore della progressione dell’hizmet. Innanzitutto un arretramento dello stato in diversi settori e poi la crescente urbanizzazione seguita all’esodo dall’Anatolia, due ragioni che contribuiscono alla formazione di un terreno sul quale prospera la società civile islamica conservatrice. Il movimento religioso si è così aperto un varco facendo nascere una modernità conservatrice alternativa (Tancrède Josseran), riappropriandosi al contempo di diversi simboli delle glorie del passato, come l’ottomanesimo. Più concretamente, questa modernità si traduce in un’adesione alla scienza importata dall’Occidente, poiché rappresenta un’opportunità storica per la Turchia che, contrariamente all’Europa occidentale, ha conservato tutto il suo vigore spirituale. Inoltre l’imam si atteggia ad apostolo dell’azione con il suo rifiuto sistematico delle pratiche contemplative sufiche, partendo dalla constatazione che tecnica e spiritualità non si escludono a vicenda.

Non contento di integrarsi nello spazio pubblico turco senza fare sfoggio di alcuna fedeltà a un partito politico, l’imam sostiene la formazione di una nuova generazione, di una nuova élite capace di rigenerare la Turchia contribuendo al tempo stesso alla sua affermazione internazionale, in particolare attraverso l’organizzazione delle olimpiadi della lingua turca. È così che dal Marocco all’Indonesia passando per l’Asia centrale e per le due Americhe, i fedeli di Gülen controllano oltre 200 scuole, sette università e diversi centri universitari. Parallelamente il movimento finanzia centinaia di dottorandi andati a completare i loro studi nelle prestigiose università occidentali. Inaugurata nel 2007, una scuola media privata situata nella periferia parigina accoglierebbe 189 alunni, di cui il 70 per cento franco-turchi. In tutto sono circa due milioni i giovani iscritti all’interno di questo sistema educativo, senza contare coloro che frequentano la rete di corsi preparatori ai test d’ingresso per l’istruzione superiore. Questi istituti impartiscono un insegnamento elitista e rigido, nel quale la mescolanza è spesso bandita. Gli studenti diplomati in medicina o che escono dalle scuole di polizia o militari come pure gli avvocati di fresca nomina sono tenuti a presentare all’ordine il loro primo stipendio in segno di riconoscimento. Abbastanza per alimentare i fantasmi e i timori dell’establishment kemalista e ormai anche dell’Akp, che ci vede uno Stato nello Stato, o peggio una setta dalle molteplici ramificazioni. Segnale importante, sono numerose le tesi dei simpatizzanti della confraternita che vertono sull’influenza della Chiesa cattolica e di quella protestante all’interno delle loro rispettive società. Non sono da escludere, inoltre, delle linee di convergenza tra l’Opus Dei e l’Hizmet, che ci vede un modello di riferimento.

Un attore della mondializzazione

Il movimento Gülen ha saputo tessere la sua tela a livello mediatico. La confraternita possiede infatti il quotidiano Zaman che ha una tiratura di un milione di copie ed è stampato all’estero in 13 edizioni diverse, soprattutto in Francia. I sostenitori dell’imam gestiscono anche diverse catene televisive e stazioni radiofoniche (Samonyolu TV, Burç FM). I gruppi di comunicazione che sono vicini a loro hanno assunto una pleiade di giornalisti provenienti da tutte le correnti dello scacchiere politico turco, ponendosi così come araldi del pluralismo e della libertà di espressione. È dunque in quanto abile manovratore che Fethullah Gülen viene nominato come l’uomo più influente dell’anno 2008 dalla rivista Foreign Policy.

Cogliendo l’opportunità offerta dall’apertura della Turchia al mondo e all’economia di mercato negli anni Ottanta, i sostenitori di Gülen hanno saputo imporsi rapidamente nel mondo degli affari. Dispongono anche della propria confederazione degli imprenditori, l’onnipotente Tüskon, che organizza le trasferte ufficiali all’estero e gioca un ruolo di primo piano nella strategia di insediamento delle imprese turche in Africa e in Medio Oriente. Partecipando attivamente all’elaborazione di un soft-power “alla turca”, il dialogo inter-religioso è una caratteristica propria dell’Hizmet, rispetto alle altre confraternite. Come ci spiega Josseran, l’obiettivo non è di privilegiare l’incontro con le altre religioni per creare consenso o per discutere un certo punto teologico o un altro, ma piuttosto quello di privilegiare l’incontro in sé[4].

Linee di convergenza con l’Akp

Nel 2002 la comunità gülenista ha il vento in poppa. Partecipa attivamente alla campagna a favore dell’Akp mettendo a disposizione il suo impero mediatico. Più tardi non esiterà a contribuire attraverso la sua rete scolastica internazionale all’ascesa diplomatica turca sotto la guida dell’ingegnoso ministro degli Affari esteri Ahmet Davutoglu. Le reti Gülen sono dunque servite da megafono dell’influenza della politica di Ankara ma anche di Washington nell’ex feudo russo dell’Asia centrale. Vedendo di cattivo occhio questi missionari turchi, Mosca ha proceduto alla chiusura delle scuole e all’espulsione degli insegnanti nelle repubbliche della Baschiria e del Tatarstan, membri della Federazione Russa.

Sul piano interno, Gülen è abile a mantenere un’equidistanza dai partiti politici del suo paese. Ispirato dalla laicità positiva applicata negli Stati Uniti, sostiene l’Akp sin dal principio vedendo in Erdogan un democratico modernista pro-europeo. Al contrario, spara a zero contro i kemalisti, che con una forzatura semantica arriverà a definire “integralisti della laicità”. Lontano dal costituire un’entità omogenea, l’Akp è attraversato da diverse correnti. A titolo personale, Erdogan è vicino alla confraternita sufi Naksibendi, mentre il ministro degli Affari esteri, Ahmet Dayatoglu, intrattiene relazioni strette con i Fratelli musulmani. Inoltre all’interno del governo si contano accaniti avversari dei gülenisti, come il presidente dell’Assemblea nazionale Cemil Ciçek e il vice premier Besir Atalay.

Comunque, sia sul piano dei costumi sia in termini di progetto della società, i membri della cemaat (comunità) di Gülen non si differenziano molto dall’Akp: stesso quadro di riferimento conservatore e religioso, divieto di consumare alcol e sigarette, astinenza dai rapporti sessuali fuori dal matrimonio. I sostenitori dell’imam Gülen sono invitati a dare prova di un comportamento esemplare e obbligati a versare una parte del loro salario alla comunità. Dietro la maschera della ricerca del dialogo con le componenti non turche del paese (armena, curda…), seguendo l’esempio dell’Akp o dei partiti di destra, i gülenisti restano profondamente caratterizzati dal nazionalismo turco e si mostrano intransigenti nei confronti di diverse questioni fondamentali, come la maggiore autonomia accordata ai curdi oppure il riconoscimento del genocidio armeno.

Una guerra latente alla vigilia di due appuntamenti elettorali

Da diversi mesi questo paese cerniera vive al ritmo di un vero e proprio conflitto civile latente; dissotterrando l’ascia di guerra, il governo ha proceduto alla chiusura degli istituti privati di sostegno scolastico (dershane), dai quali fino ad allora il movimento gülenista aveva tratto una parte sostanziosa delle proprie entrate. Nel frattempo, un’ondata di accuse e di arresti per corruzione, frode e riciclaggio di denaro nei confronti di una decina di dirigenti, di uomini d’affari e di politici vicini al primo ministro provoca l’ira di Erdogan. Accusando la confraternita gülenista di essere dietro al “complotto”, non fa altro che ricordare che pezzi interi dell’amministrazione giudiziaria e politica sono ampiamente infiltrati dai membri e dai simpatizzanti del movimento.

Un tempo dissimulata, la linea di frattura tra i due movimenti dell’islam sunnita turco appare ormai alla luce del sole: da una parte i sostenitori dell’imam Fethullah Gülen, esiliato negli Stati Uniti dal 1999 per attività anti-laiche, sostengono incondizionatamente la permanenza della Turchia nell’alleanza atlantica e le relazioni di buon vicinato con Israele. Dall’altra, gli alleati di un fremente Erdogan, proveniente dalla sfera d’influenza dell’organizzazione islamica Milli Görüs, fondata dall’ex primo ministro islamico Necmettin Erbakan, che non nascondono le loro posizioni anti-occidentali. Una prima scintilla del conflitto esplose già in occasione della spedizione a Gaza della nave turca Mavi Marmara nel 2010, che portò all’inasprimento dei rapporti turco-israeliani e diede la possibilità a Gülen di uscire allo scoperto e di condannare la spedizione. Se è vero che i legami della confraternita trascendono i partiti, è però sull’Akp che i sostenitori avevano messo gli occhi e l’operazione anticorruzione lanciata all’indomani delle dimissioni di un deputato dell’Akp e la cascata di arresti sono la testimonianza di un divorzio consumato. Sono state avanzate diverse ipotesi sulle conseguenze di questo braccio di ferro dall’esito incerto. Una è la possibile formazione di un nuovo partito politico in grado di raccogliere i delusi di Erdogan attorno all’imam Gülen. Quest’ultimo, che oggi ha 73 anni, sarà capace di indossare l’abito di primo ministro? Fatto sta che dietro le quinte dell’economia turca questa guerra dalle molte sfaccettature tra le diverse strutture che intrattengono legami di fiducia con il primo ministro e i simpatizzanti della cemaat va avanti, con il rischio di compromettere i progressi di un decennio di crescita folgorante.

Tigrane Yegavian è un giornalista, esperto di Turchia e Medio oriente

Traduzione dal francese di Francesca Gnetti

Note

[1]Letteralmente “al servizio degli altri”, termine che definisce il movimento di Gülen, presentato dai suoi sostenitori come “civile, transnazionale, d’ispirazione religiosa”.

[2]La “sintesi turco-islamica” è elaborata all’inizio degli anni Settanta da alcuni intellettuali di destra per contrastare la spinta del socialismo, sostenendo di rispettare formalmente i principi del kemalismo. Questa ideologia ufficiosa postula l’armonia tra l’islam sunnita e l’identità turca, come fondamenta della cultura nazionale turca. La personalità turca viene dunque definita come essenzialmente musulmana: la religione islamica è percepita come cemento nazionale contro il comunismo e la lotta tra classi. L’Impero ottomano è utilizzato come riferimento a un’età dell’oro, a scapito delle radici centro-asiatiche promosse dal kemalismo.

[3]Tancrède Josseran, Les disciples de Fethullah Gülen, Rivista Moyen-Orient n°18, Aprile-Giugno 2013

[4]Ibid.

Per approfondire:

Hakan Yavuz, Toward an Islamic enlightnment, The Gülen Movement, Oxford University Press, 2013, p 173-197

Tancrède Josseran, La nouvelle puissance turque, Ellipses, 2011

Thierry Zarcone, La Turquie moderne et l’Islam, Flammarion, 2004

Sito : http://www.hurriyetdailynews.com/conflict-between-gulen-movement-and-turkeys-ruling-akp-reflected-in-business-world.aspx?PageID=238&NID=60850&NewsCatID=352