Marocco al voto, la monarchia si gioca la credibilità con le Parlamentari
Ilaria Romano 23 novembre 2011

“L’incertezza sui risultati delle elezioni è un fenomeno nuovo nel mondo arabo”, scrive il quotidiano Marrakech, a pochi giorni dal voto per il parlamento del Marocco. È questo uno dei cambiamenti portati dalla primavera araba, nei paesi in cui i regimi sono stati rovesciati, ma anche dove i governi sono corsi ai ripari per arginare le proteste prima che fosse troppo tardi.
Il Nord Africa emerge oggi con tutte le incognite del futuro dopo decenni di elezioni di facciata, vinte sempre dalla formazione al comando con maggioranze schiaccianti, e dove l’opposizione, quando presente, veniva continuamente boicottata, minacciata, ridotta al silenzio ancora prima delle urne.

Il Marocco ha sviluppato un sistema multipartitico sin dall’indipendenza, ma sempre sotto il rigido controllo della monarchia che ha incoraggiato la frammentazione politica proprio per evitare che la nascita di un grande blocco di opposizione che potesse monopolizzare la scena politica. Al voto del 25 novembre per il rinnovo della Camera Bassa del Parlamento, si presenteranno oltre trenta partiti.

Nonostante i sondaggi non siano ammessi, è dato per favorito il Partito di Giustizia e Sviluppo (Pjd), nato agli inizi degli anni Novanta come Movimento Popolare Costituzionale e Democratico, che da sempre si è proposto come formazione vicina alla gente e sensibile al tema della giustizia sociale in chiave islamista. Già alle elezioni del 2007 aveva ottenuto la maggioranza dei voti, e oggi gli analisti internazionali scommettono che potrà ulteriormente incrementare i consensi anche grazie al “vento islamico” che sta soffiando sull’intera regione, come dimostrerebbe la vittoria di Ennahda in Tunisia.

Eppure esiste uno studio condotto da due organismi indipendenti francesi, Thomas More e Tendance Institute, che ridimensiona le previsioni. La ricerca è stata condotta sulla blogosfera marocchina, per capire quali siano gli umori e i temi di dibattito alla vigilia del voto. È emerso che i giovani sono interessati alla vita politica e vogliono partecipare attivamente, ma sono molto critici nei confronti del governo in carica: anche se apprezzano lo sforzo della monarchia di aprire alle riforme costituzionali, le giudicano insufficienti a garantire un futuro di giustizia sociale. Il giudizio sul Pjd non è entusiastico, anzi, la formazione è spesso percepita come arcaica e non in linea con una società moderna.
La probabile vittoria islamista resta comunque una delle principali questioni di dibattito, insieme al rischio astensionismo. Come già accaduto per il referendum sulle modifiche costituzionali del primo luglio scorso, il Movimento del 20 Febbraio, nato da un gruppo di giovani durante le manifestazioni, invita nuovamente al boicottaggio delle urne, per protestare contro le mancate riforme, promesse e sancite da re Muhammad ma non ancora avviate.

Cinque anni fa soltanto il 37% degli aventi diritto si era presentato ai seggi, ma quest’anno il referendum è stato votato dal 72% degli elettori, dato che ha fatto pensare ad un’inversione di tendenza. In quell’occasione la monarchia è riuscita a contenere l’ondata delle manifestazioni con alcune concessioni: più poteri al primo ministro, che il re deve ora scegliere all’interno del partito che conquista la maggioranza dei seggi, e più competenze per il Parlamento. Un piccolo passo verso una monarchia concretamente parlamentare, seppure con il mantenimento dei pieni poteri del sovrano sulla sicurezza del paese e in politica estera.

In queste elezioni la monarchia si gioca la credibilità e la stabilità per il futuro. Il timore di contare poche schede nelle urne ha spinto il Ministro dell’Interno Taib Cherkaoui a rivolgersi direttamente ai partiti per chiedere un impegno diretto nel garantire la massima affluenza possibile. Il governo ha anche provveduto al finanziamento della campagna elettorale con 220 milioni di dirham, circa 20 milioni di euro, oltre a mettere a disposizione spazi sui media pubblici, equamente ripartiti fra le diverse formazioni.

Da parte loro, i partiti stanno puntando su liste di candidati giovani, e sulla presenza delle donne. Maggie Cacoun è già finita sulle pagine dei giornali perché oltre ad essere data per favorita nelle fila del Partito Sociale di Centro, è cittadina marocchina di religione ebraica. Il Pam, Partito autenticità e modernità, nato nel 2008 non per contestare la monarchia ma per promuovere una modernizzazione economica, punta invece sulla ventitreenne Meryem, che la stampa locale racconta sia stata scelta al posto di un ex parlamentare di 86 anni.