Nonsolovelo. Quando l’Islam è glamour e al femminile
Sabrina Bergamini 29 settembre 2010

La rivoluzione femminile nell’Islam non passerà forse dallo smalto, ma di certo il valore simbolico e politico di un cosmetico è grande, perché svela la caparbietà delle donne, la rivendicazione della propria femminilità, la rottura dello schema sociale integralista, l’affermazione della propria personalità anche e soprattutto dentro l’Islam. Un “Islam al femminile” che non è solo velo nero e sottomissione, ma è anche rivendicazione della propria identità, dei propri diritti, affermazione di femminilità e di sé attraverso la cultura della moda, veli soffici e glamour, attenzione alle novità delle boutique, cura estetica del corpo, nuove tendenze che s’impongono anche in Occidente in fatto di stile e di fede. C’è questo e di più, ci sono le storie delle donne musulmane moderne e muslim-chic, delle convertite e di tutte coloro che difendono – anche a prezzo delle vita – i propri diritti e l’affermazione di sé nel romanzo-reportage “I love Islam. Cinque ragazze occidentali, single e modaiole, alla scoperta dell’Islam che conquista”, di Patrizia Finucci Gallo (Newton Compton Editori, 2010).

Opportunamente, niente cliché della donna con velo in copertina, ma un rosa shocking che cattura l’attenzione. L’escamotage di un gruppo di amiche che si incontrano per l’aperitivo e parlano di donne e Islam. I particolari sono pieni di significato. Scrive l’autrice: «A pensarci bene è curioso come una semplice boccetta di smalto, ripudiata dal più acerrimo movimento femminista degli anni Settanta, sia diventata per le donne musulmane l’emblema dell’affermazione, e per gli integralisti una dimensione da esorcizzare e annullare». Un esempio tratto dalla cronaca recente è quello dell’Iran: «Quando le ventenni si aggiustano il ciuffo dei capelli fuori dal velo si riappropriano progressivamente degli spazi sociali, e di quello politico, quando lanciano la moda dello smalto nero durante il muharram, per gli sciiti il periodo del lutto in cui lo smalto colorato è vietatissimo. Quest’uso direttamente politico del colore e del make-up è stato ancora più esplicito durante la campagna elettorale del 2009: le ragazze si laccavano le unghie di verde, colore del candidato riformista Mir-Hosein Musavi contro Mahmud Ahmadinejad, ma anche colore dell’Islam, perché è nell’Islam che, dichiaravano, vogliono continuare a vivere».

Ci sono dunque i «mille stratagemmi per sopravvivere in una teocrazia». Ci sono le donne che rivendicano i loro diritti attraverso i media e la radio – alcune uccise per questo. C’è un Islam fashion che è un modo per affermarsi ma anche per coniugare le tendenze dell’Occidente con quelle dell’Oriente, dove il velo non è solo nero ma è anche soffice colorato e alla moda. Non sono, certo, tutte rose e fiori. Patrizia Finucci Gallo porta nel suo libro il protagonismo delle donne, alcune delle quali pagano per la loro affermazione con l’esilio o con la vita. Porta le testimonianze di coloro che, ognuna nel suo campo, ha portato innovazione nel mondo islamico: Rania di Giordania («Essere femminista e musulmana non è una contraddizione»), le rappresentanti del Pink Humour che fanno satira a proprio rischio, come Marjane Satrapi bandita dall’Iran, la palestinese Omajja Yoha, Shappi Khorsandi che esordisce nei suoi spettacoli dicendo «Buonasera a tutti! Sono iraniana… niente panico, sono disarmata». C’è Aheda Zanetti, di origine libanese, cresciuta in Australia, che ha inventato il burqini per andare al mare e in piscina e fare sport scovando in questo modo anche una nicchia di mercato. C’è Faezeh Hashemi, fondatrice e presidente dell’Islamic Federation of Women Sport. Ci sono le convertite europee, che trovano un ordine nel mondo islamico. Afferma Fatima Az-Zahra, presidente di un’associazione a tutela delle donne in Svizzera: «La tua vita deve essere come un cassetto ordinato, che puoi togliere e portare via».

Come detto, le difficoltà sono immense, perché fra applicazione maschile della sharia e limitazioni degli integralisti, sono innumerevoli gli ostacoli posti alle rivendicazioni delle donne. E c’è anche, l’autrice non lo nasconde, l’altro volto del nuovo protagonismo femminile: l’affermazione delle donne integraliste e il «paradosso» delle donne kamikaze per libera scelta. Sono due dimensioni diverse. «Il fenomeno delle integraliste è in aumento come numero e come peso specifico nelle società islamiche. E questo non è che l’altra faccia del nuovo protagonismo delle donne sviluppatosi nei movimenti laici e femministi». Parla per loro Fatemeh Alia, deputata dell’ala dura del parlamento iraniano. Altro e diverso fenomeno è quello delle donne kamikaze, mediaticamente più notiziabili per i fondamentalisti, donne che si danno a un martirio moderno e mediatico: alcune sono reclutate facendo leva sulle loro difficoltà di donne sole, senza tetto, o malate, o in rotta con la famiglia. C’è però anche la nuova generazione, «quella delle donne kamikaze che credono fermamente, e per loro libera scelta, in ciò che fanno. La loro convinzione è legata a una sorta di istanza di emancipazione: dimostrare che sono uguali agli uomini, sentirsi come loro. È l’ultimo e più terribile paradosso della liberazione della donna islamica».

Rosa shocking dunque per un Islam che in realtà non è solo glamour, come richiama la copertina del libro, ma è complesso nel suo mescolare le tante dimensioni presenti, affermazione di femminilità, istanze politiche, battaglie condotte per radio e tv, rivendicazione del velo come identità e passione femminile per la lingerie di classe, Islam fashion, persecuzioni per le proprie opinioni, lotta interna all’Islam per cambiarlo da dentro, fascino esercitato sull’Occidente, ripercussione della conversione o delle seconde generazioni dall’Occidente all’Islam. Il libro sfata parecchi luoghi comuni e rappresenta un quadro complesso e appassionato dell’Islam al femminile. Non solo nero, non solo velo.