“Metro”, quel fumetto che fa infuriare il regime
Ernesto Pagano 22 aprile 2008

Alla prima pagina del romanzo, Shihab, il giovane protagonista, descrive la scintilla che mette in moto la storia: “Non so indicare con esattezza il momento in cui tutta questa rabbia è cresciuta dentro di me. So soltanto che mi rimaneva una cosa sola: la mia testa. E alla fine, decisi di fare quello che la mia testa mi disse di fare”. Chi pensa con la propria testa può risultare un modello pericoloso in un paese dove la libertà di espressione intellettuale è ancora ampiamente frustrata, e quella di espressione politica è repressa nel modo più feroce. Così lo Stato risponde prontamente. In un bel giorno di metà aprile, cinque agenti in borghese della Polizia Morale fanno irruzione nella sede della piccola casa editrice Malamih. Mettono a soqquadro le stanze e sequestrano tutte le copie di Metro non ancora distribuite.

Metteranno al bando, il giorno stesso, quelle ancora in commercio. L’accusa rivolta al fumetto è quella di essere immorale, a causa della presenza di scene pornografiche. Tuttavia è difficile credere che, nel paese dei videoclip più sexy del mondo arabo, alcune vignette in cui Shihab fa l’amore con la sua compagna Dina, disegnata a seni scoperti, siano il reale movente dell’azione di censura. La cosa ha lasciato scioccato lo stesso autore, Magdi al Shafi, il quale si è domandato davanti ai giornalisti cosa possa avere di immorale il suo libro. All’indomani dell’irruzione, il quotidiano indipendente Dustur, primo a pubblicare alcuni estratti a colori di Metro, ha deriso con amarezza i poliziotti che hanno domandato all’unica impiegata presente nella casa editrice di rintracciare il direttore. “L’avete già arrestato la settimana scorsa”, avrebbe risposto lei. Muhammad Sharqawy, fondatore e direttore della casa Malamih, è anche il più famoso blogger egiziano, nonché uno dei principali organizzatori dello sciopero del pane del 6 aprile scorso. Arrestato già svariate volte, Sharqawy rimane adesso nella prigione cairota di el Marg, con l’accusa di istigazione allo sciopero.

“Ho scritto un thriller, non una denuncia politica”, ha raccontato ai giornalisti Magdi al Shafi, ma allo stesso tempo la sua storia nasce e si intreccia con gli eventi, indubbiamente politici, che hanno attraversato l’Egitto a partire dal 2003. Epoca che ha visto svolgersi manifestazioni violente, inizialmente indirizzate contro la guerra in Iraq e poi contro le torture a sfondo sessuale contro i giornalisti, la guerra in Libano, i giochi di successione del dopo-Mubarak. Ondate di protesta simili sono ritornate in questi mesi, con rinnovata forma e rinnovato vigore. Partito da un appello lanciato su Facebook, lo sciopero del 6 aprile, nato per protestare contro il caro-vita e i salari stagnanti, ha scatenato gli scontri violenti di Mahalla, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, portando alla luce il malessere e la frustrazione di un intero popolo.

Sentimenti peraltro non mediati da partiti e movimenti d’opposizione, ma espressi grazie allo spazio fuori controllo di internet, a significare che, nel mondo arabo, le forme di ribellione stanno cambiando i loro strumenti di organizzazione e il loro linguaggio. Ed è proprio nella lingua che risiede l’altro elemento innovativo di Metro: l’arabo classico, la lingua del Corano e delle élites, la lingua scritta per eccellenza, lascia il posto al dialetto egiziano, la lingua della strada, o meglio ancora la lingua di tutti. In questo modo le parole di Shihab e degli altri personaggi di Metro si fanno ancora più forti e reali, sostenute dalle immagini di una Cairo postmoderna e caotica, con i suoi quartieri residenziali e le sue baraccopoli, i suoi grassi uomini di potere e le sue masse di straccioni e disperati.

La malattia di un’intera società viene così disegnata in un fumetto, il quale insegna che chi merita il successo, ma non ha “le spalle coperte”, non può far altro che sottomettersi alla rassegnazione, o ribellarsi. La ribellione violenta è la soluzione di Metro, dove il protagonista Shihab, brillante ma emarginato ingegnere elettronico, decide di utilizzare il suo genio per condurre una maxi rapina in banca. Aiutato dal suo inseparabile Mustafa, da Wanis il lustrascarpe e dalla bella giornalista Dina, Shihab tenta di farsi strada per uscire “dalla trappola” che ha fatto prigioniero tutto il popolo egiziano. “Questa trappola è aperta”, dice Shihab, “ma nessuno ne viene fuori”, perché “quando vi hanno costruito un muro intorno, siete rimasti tutti lì a guardare …”.