Magdi, Reset e l’Islam moderato
Daniele Castellani Perelli 24 luglio 2007

Ha provocato un vivace dibattito l’appello con cui la rivista Reset, nell’ultimo numero di luglio-agosto, ha difeso il professore Massimo Campanini dalle accuse di antisemitismo mossegli dal vicedirettore del Corriere della Sera Magdi Allam nel suo ultimo libro Viva Israele (Mondadori). Ha provocato la reazione del Corriere della Sera, e si è guadagnato spazi su radio, tv e giornali, dall’Unità a Europa, da l’Avvenire a Libero, e poi Il Foglio, il Giornale, il Secolo XIX, Il Mattino, il Gr1, Radio Popolare e il TG2. Il documento, “No al giornalismo tifoso”, è nato da un’iniziativa dei colleghi di Campanini, è stato sostenuto dal direttore di Reset Giancarlo Bosetti, ed è stato firmato da un centinaio di intellettuali, da Paolo Branca a David Bidussa, da Enzo Bianchi a Gadi Luzzatto Voghera, da Nasr Hamid Abu Zayd a Alberto Melloni.

Nel libro, Magdi Allam scrive che “il caso del professore Campanini”, professore all’Orientale di Napoli e collaboratore di Reset, “non è l’unico”: “L’Università italiana pullula di professori cresciuti all’ombra delle moschee dell’Ucoii, simpatizzanti coi Fratelli Musulmani, inconsapevolmente o irresponsabilmente collusi con la loro ideologia di morte”. “Intendiamo protestare fermamente – è la replica del documento di Reset – davanti alla sfrontatezza di chi afferma che le università italiane ‘pullulano’ di docenti ‘collusi con un’ideologia di morte profondamente ostile ai valori e ai principi della civiltà occidentale e all’essenza stessa della nostra umanità’”.

Prosegue così l’appello: “Una tale impostazione non solo è lontanissima dallo spirito e dai valori di una democrazia costituzionale – e molto più in linea con ideologie totalitarie – ma si pone anche a siderale distanza dal senso critico che sta alla base della ricerca storica e scientifica e dalla stessa, difficile ma essenziale, missione dell’informazione giornalistica in una società plurale. Tutto ciò rischia di contribuire, purtroppo, al preoccupante imbarbarimento dell’informazione in un paese come il nostro che già si trova a pagare un prezzo troppo alto alle varie forme di partigianeria che lo travagliano. Il giornalismo rischia di cadere in una logica da tifo calcistico”. Nell’ultimo numero di Reset l’appello è pubblicato insieme a interventi di personalità di diversa formazione culturale e religiosa. L’editoriale di Giancarlo Bosetti attacca “lo spirito missionario”, che “consiste nella devozione, pura e totale, all’idea che gli altri cambieranno idea davanti alla nostra Verità, che la nostra Verità è manifesta perché viene da una superiore logica, da Dio o dalla Storia o dalla Ragione, o da tutt’e tre insieme”.

Scomunica collettiva o appello contro l’intolleranza?

La difesa di Magdi Allam non si è fatta attendere, ed è stata affidata a un altro vicedirettore del Corriere, Pierluigi Battista. In prima pagina, il 19 luglio, nell’articolo “La petizione per mettere un libro all’indice” Battista ha parlato di una ricerca di un “effetto intimidatorio su chi si è macchiato della grave colpa di aver scritto un libro”, di “una mozione che segnala l’arruolamento a una posizione ideologica, non una critica al merito di un libro”, di “una deriva di arroganza”. La replica di Battista non ha però convinto affatto Bruno Gravagnuolo, che il giorno dopo su l’Unità ha definito il documento di Reset “un appello contro l’intolleranza”, e ha scritto: “E come al solito Pierluigi Battista cambia le carte in tavola. E ci racconta una storia imprecisa, disinformando i lettori”.

Battista, ha scritto Gravagnuolo, ha denunciato “un tentativo di censura ai danni di Magdi Allam”, una vera “scomunica collettiva”, e ha parlato di una “deriva brutale, tentazione censoria, messa all’indice, un unicum senza precedenti…etc. etc”. “Peccato che le cose non stiano proprio così”, ha aggiunto il giornalista de l’Unità, che ha accusato Battista di “furbizia di omissione, arte nella quale Battista eccelle, per accomodarsi a suo uso e consumo le polemiche, e mazzolare a suo piacere bersagli di comodo, plasmati alla bisogna”. Se uno si leggesse Reset – è il suo ragionamento – verificherebbe che David Bidussa, Khalid Chaouki, Massimo Campanini e Amara Lakhous, quanti hanno contribuito al dossier “Israele, non solo un simbolo” sul libro di Allam, a quest’ultimo “sono disposti a riconoscere tante ragioni”, “ad esempio la pericolosità del fondamentalismo e di un certo retaggio dei Fratelli musulmani, il diritto minacciato di Israele ad esistere, e l’insidia Hamas, la sincerità dell’esperienza stessa di Allam, approdato a una posizione estremamente radicale contro l’Islam politico”.

Quel caffé tra i due Magdi Allam

La polemica di Reset, sia chiaro a tutti, non vuole esprimere né una posizione anti-occidentale e men che meno anti-israeliana, né un attacco personale nei confronti di Magdi Allam. Per confutare la prima ipotesi basta leggere le parole di Bosetti e di Bidussa. Il direttore di Reset ricorda come l’Occidente abbia dato “il suo prodotto culturale più originale e benigno nel disincanto, nell’ironia e nel senso della contingenza che sono probabilmente il sostrato più fertile per la cultura della libertà”, che è “il contrario dello spirito missionario intollerante che opera nel nome della Verità”. David Bidussa, direttore della biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e autore de Identità e cultura degli ebrei (Franco Angeli, 2000) e Profeta (Emi, 2006), rimprovera a Allam di aver fatto di Israele un simbolo astratto, tralasciando la sua realtà concreta. Lo fa in una lucida analisi dal titolo “Dove è finita la realtà di Israele?”.

Per confutare la tesi dell’attacco personale basta ricordare quanto ammettano di dovere a Magdi Allam due dei protagonisti della querelle. Khalid Chaouki, giornalista di Ansamed e giovane membro della Consulta islamica, ricorda sempre su Reset (“All’abbraccio dei neocon dico no”) gli anni e le battaglie vissute al fianco di Magdi Allam, che scrisse la prefazione al suo libro e con cui promosse il “Manifesto dei musulmani contro il terrorismo e per la vita”. Chaouki racconta la sua delusione per la parabola intrapresa da Allam, che oggi “fa indirettamente il gioco degli integralisti islamisti e rende la vita assai difficile” a chi cerca il dialogo tra le culture. Bosetti, nel suo articolo “Recensione in ritardo: quel Diario che apriva gli occhi”, ricorda che a aprirgli gli occhi sulla cultura musulmana, a insegnargli “un metodo” fu proprio un volumetto del 2002 di Magdi Allam, Diario dall’Islam (Mondadori), in cui l’allora collaboratore de la Repubblica invitava a non confondere gli attentatori dell’11 settembre con la stragrande maggioranza dei musulmani (“un islam moderato e tollerante sono stati le prime vittime del terrorismo islamico”), e considerava l’Islam compatibile con la democrazia e con l’Occidente. “L’Occidente è nel Dna dell’islam allo stesso modo in cui l’islam è nel Dna dell’Occidente”, scriveva allora. Ma era il 2002, e il Magdi Allam di allora difficilmente si prenderebbe un caffè con il Magdi Allam di oggi.