Il sociologo Godard: “Burqa fenomeno marginale ma preoccupante”
Marco Cesario 30 luglio 2009

Da alcune settimane in Francia non si parla d’altro. Le immagini di donne che indossano il burqa sullo sfondo dell’Opéra o della Torre Eiffel si moltiplicano su quotidiani e settimanali. Dopo la tempesta del velo del 2004 (divieto d’indossare il velo o altri simboli religiosi negli edifici pubblici e nelle scuole) è la volta del burqa, che accende il mondo politico e preoccupa la società civile. Qua e là infatti, soprattutto in alcune città come Besançon, Mulhouse o in certe banlieues parigine a forte immigrazione come Clichy-sous-Bois o La Courneuve, cominciano ad apparire figure inquietanti. Ombre vestite di nero che sfidano la calura e la folla del metrò. Non sono fantasmi ma donne. Un velo integrale che mostra soltanto uno sguardo prigioniero, protetto da un griglia di tessuto che ricorda le griglie delle monache di clausura.

Difficile non restare perplessi quando s’incontra una di queste figure nere in un vagone affollato del metrò. Eppure queste presenze non sono affatto nuove, anzi. Ma allora come mai tutto questo fracasso soltanto adesso? Tutto ha inizio il giorno in cui il deputato comunista André Gerin, sindaco di Vénissieux, decide di inviare a tutti i deputati dell’Assemblea nazionale una proposta per creare una commissione d’inchiesta parlamentare sulla presenza del burqa sul territorio francese. Sulla base di un precedente: la questura di Vénissieux nega il passaporto ad una donna che aveva rifiutato di sollevare il burqa per essere fotografata. La proposta di Gerin fa breccia nel mondo politico. Altri 68 deputati appoggiano l’inchiesta che però, per evitare scontri maggiori con la comunità musulmana, si trasforma in una semplice e più innocua ‘missione d’informazione’.

A dibattito ormai lanciato, risuonano anche le parole del presidente francese Nicolas Sarkozy, che riesce abilmente a spostare la questione: “Il problema del burqa non è un problema religioso ma un problema che concerne la dignità della donna”. Applausi a scena aperta dei deputati riuniti a Versailles. Ma Sarkozy va oltre. Il burqa è “un’abiezione che riduce la donna ad un’ombra”. Difficile essere più esplicito. Per il sociologo Bernard Godard, ex membro dell’Ufficio centrale dei culti e autore di un libro sulle comunità musulmane francesi, il fenomeno burqa sarebbe marginale ma ugualmente preoccupante. Presente soprattutto all’interno delle comunità salafite (corrente radicale dell’Islam), il burqa sarebbe il simbolo di un rifiuto d’integrazione. Ma la lettura di Godard si fa anche più sfumata. Convinto che per una buona maggioranza di donne sia una scelta ‘libera’, il burqa sarebbe anche il simbolo di una rivolta contro i propri genitori, sempre stigmatizzati nonostante gli sforzi per integrarsi.

Il problema del burqa è legato anche ad un altro problema, più vasto. Quello del ritorno in forza della religione nello spazio pubblico. Rispetto alle generazioni d’immigrati degli anni ‘60 e ‘70, oggi perfettamente integrati, si assiste ad un inasprimento delle posizioni religiose soprattutto nelle nuove generazioni. Che spesso non hanno mai visto il proprio paese d’origine ma che decidono di andare indietro invece che avanti. Mentre in Marocco, Algeria o Egitto le donne oramai si vestono completamente all’occidentale (soltanto nei villaggi la tradizione resiste), le donne marocchine, algerine, egiziane che vivono nelle banlieues subiscono spesso forti pressioni dalla comunità o dalle proprie famiglie (mariti e fratelli) per indossare il velo o altri abiti tradizionali.

E le donne che sfidano il divieto? Hanno vita difficile, vengono respinte e spesso additate come ‘prostitute’. Per le altre, c’è invece l’umiliante suggello della ‘sottomissione’. E’ in questo contesto che l’attuale segretaria di Stato alla politica della città, Fadela Amara, di origini algerine, ha fondato, nel 2003, il movimento ‘Ni putes ni soumises’. L’obiettivo è quello di combattere violenze, soprusi e altre forme di discriminazione nei confronti delle donne. Il movimento ha oggi un nuovo arduo compito. Quello di convincere altre donne segregate in prigioni ambulanti che nel paese di Voltaire, nonostante tutto, è ancora possibile scegliere.

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