I musulmani in Italia dopo l’11 settembre
Amara Lakhous 12 settembre 2011

Quando vidi crollare le torri gemelle in diretta tv ed ebbi la certezza che gli attentatori erano tutti arabi e musulmani, allora compresi la frase del filosofo algerino Malek Bennabi (1905 -1973) “Le idee morte diventano mortali”.

Bennabi spiegava come l’islam sia un insieme di idee originali e funzionali per risolvere i problemi della società musulmana, a condizione, però, di attivare sempre nuove interpretazioni per adeguare il testo sacro al contesto e non il contrario, come fanno i fondamentalisti di tutte le religioni. Qualsiasi idea, dunque, è come un essere vivente: è soggetta alle leggi della natura e non sfugge al ciclo vitale che prevede nascita e morte. Il grande pericolo – avvertiva l’intellettuale algerino – è quello di risuscitare un’idea morta perché non trovando il contesto originale in cui è nata e cresciuta, essa impazzisce e diventa assassina. In sostanza il fondamentalismo ideologico, che esso sia di natura religiosa o politica, si nutre delle idee morte, mentre il terrorismo si alimenta di idee mortali.

Ricordo ancora il 12 settembre 2001, ero a Roma in mezzo ai manifestanti per protestare contro il terrorismo e a sostegno del popolo americano, aderendo anch’io allo slogan: “Tutti siamo americani”. Non potevo non partecipare a quella fiaccolata perché venivo da un paese martoriato dagli attentati e dai massacri, dove in soli sette anni sono morte 200 mila persone nell’indifferenza del mondo civile. In quegli anni terribili, avrei voluto vedere manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo a favore delle donne algerine e sentir dire: “Tutti siamo algerini”.

Gli attentati suicidi del 11 settembre 2001 segnano una profonda rottura epistemologica, infatti si è verificata una discontinuità negativa nell’ambito della produzione della conoscenza dell’islam in Occidente. Di fronte al bisogno di identificare e conoscere il nuovo “nemico”, i media si sono messi in fretta e furia a caccia di esperti di islam. In Italia, ad esempio, abbiamo assistito ai dei talk show sull’islam che sembravano puntate del processo di Biscardi: super-pseudo-esperti di calcio che commentano le partite con l’enfasi e l’esaltazione dei tifosi, anche loro seguendo il modello comunicativo vincente di Vittorio Sgarbi: gridare sempre ed impedire all’avversario di parlare, che, come dicono giustamente i milanesi: “Chi vusa pusé la vaca l’è sua” (chi grida di più la vacca è sua).

La biscardizzazione dell’islam ha quindi visto nascere due principali produttori del sapere islamico o semplicemente dell’islam fai da te:

Primo. Imam improvvisati che avevano bisogno di corsi intensivi sia di italiano che di diritto islamico. Insomma gente dalla fatwa facile che predica come picchiare la moglie disobbediente. Molti di loro sono “commercianti etnici”, soprattutto proprietari di macellerie halal. Sembra che svolgere la funzione di imam, non nasca da un’esigenza spirituale ma dal bisogno di promuovere la propria attività commerciale. I fedeli sono potenziali clienti, così tanti piccoli imprenditori musulmani hanno investito nella creazione di piccole moschee. L’esempio più noto è il discusso ex-imam e macellaio di Torino Bouriqi Bouchta, espulso dall’Italia nel settembre 2005.

Secondo. Nel settembre 2001 è tornata in scena Oriana Fallaci, molto arrabbiata, aveva conti in sospeso con i suoi connazionali. I musulmani o ‘i figli di Allah’ erano solo un pretesto per scatenare una crociata isalmofoba. Tuttavia la sua ‘rabbia’ ha contagiato milioni di italiani.

Il fallacismo ha inaugurato una moda: per fare l’esperto di islam non è necessario parlare l’arabo o il farsi o l’urdu e nemmeno conoscere bene qualche paese musulmano. E mi chiedo: è pensabile fare l’americanista o il germanista senza conoscere l’inglese e gli USA, il tedesco e la Germania?

Lo spettacolo va avanti. Continuiamo a vedere sfilare nei salotti televisivi teocon, esperti improvvisati, non islamologi ma islam-demagoghi, che non conoscono nessuna lingua di area islamica e non hanno mai frequentato corsi sull’islam. Tuttavia pubblicano libri con grandi editori e vengono invitati in tv come esperti delle tematiche islamiche. Mi è capitato di vedere in tv una pseudo-esperta di donne musulmane spiegare la sua proposta di vietare il velo alle minorenni e nei giorni successivi affacciarsi in altre trasmissioni dove parlava, sempre come esperta, delle vacanze estive in costa Smeralda e del diritto delle deputate a portare i tacchi nelle aule parlamentari.

Bisogna ricordare che spiegare l’islam ai non musulmani nel passato era affidato agli orientalisti; studiosi occidentali che conoscevano almeno una lingua di area islamica, e a loro va il merito di avere portato alla luce i manoscritti della letteratura e filosofia araba come “Le mille e una notte”, e Al Muqqaddima (capolavoro della storiografia moderna) di Ibn Khaldun (1332-1406).

Negli anni sessanta e settanta, in seguito all’indipendenza di tanti paesi arabi e musulmani, alcuni studiosi arabi come Anouar Abed-Malek e Edward Said hanno accusato gli orientalisti di aver messo il loro sapere linguistico ed antropologico al servizio delle potenze coloniali. Quindi la critica era di ordine etico e riguardava solo l’uso improprio della conoscenza e non la messa in discussione delle loro competenze linguistiche e culturali.

L’islam fai da te è sterile e chiuso nonostante sia un prodotto mediatico efficace perché crea audience, il predicatore di turno che offende il crocefisso fa notizia e produce polemiche. Tuttavia, nella vita quotidiana degli immigrati musulmani, vi sono premesse promettenti per sperare in un islam aperto in grado di riconciliare tradizione e modernità.

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