Quando il relativismo culturale è una scusa per la dittatura
Amara Lakhous 8 settembre 2010

Quando gli inglesi colonizzarono l’India, si trovarono di fronte ad un problema politico ed etico estremamente complesso. La consuetudine obbligava le vedove indù a suicidarsi dopo la morte del marito. Questa pratica si chiamava Sati.

La questione suscitò un accesso dibattito non solo fra i politici, ma anche fra gli intellettuali di Cambridge e Oxford: era più giusto vietarla per salvaguardare la vita umana o evitare di intervenire, rispettando le specificità culturali dei popoli? Alla fine le autorità coloniali scelsero di metterla al bando nel 1829. Penso che sia stata una decisione molto saggia.

Cito questo esempio ogni volta che sento certi discorsi contro la democrazia in nome del relativismo culturale. Mi ricordo un lungo discorso del leader libico Gheddafi durante un summit della Lega Araba, in cui chiedeva agli occidentali di rispettare le specificità dei popoli africani e arabi e smettere di fare pressioni esterne per attuare le riforme. Secondo lui, la vera democrazia è quella praticata in Africa!

Credo che il perno del progetto democratico sia prima di tutto quello di salvaguardare i diritti umani. È ammissibile accettare un relativismo culturale o religioso che permetta l’uccisione, la tortura e la persecuzione dei cittadini? No.

I regimi totalitari sono abituati a sventolare la bandiera del relativismo culturale per difendere i propri interessi politici. La conseguenza di questo abuso è la banalizzazione del concetto stesso di democrazia. Negli anni sessanta il dittatore africano Mobuto sosteneva che “la democrazia da noi è ciò che decide il capo”.

Per fare chiarezza, ritengo che sia fondamentale ribadire un criterio semplice ma efficace per misurare la democraticità di un paese: la separazione fra i tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, senza trascurare l’importanza di una stampa indipendente, chiamata non a caso il quarto potere.

Le società che godono di un alto livello di democrazia (come i paesi scandinavi) sono riuscite a stabilire un equilibro fra i poteri appena citati. Ogni potere controlla l’altro, ciò impedisce il monopolio decisionale, come succede nel Terzo mondo. Infine bisogna considerare la democrazia come un diritto umano e non un prodotto occidentale esclusivo.

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