Siete poco chiari, come potete attaccarlo?
La lettera di Laura Camis de Fonseca 24 luglio 2007

Cari Amici (se così posso chiamarvi),

sono molto stupita del fatto che tanti intellettuali di pregio abbiano firmato l’appello contro Magdi Allam per il suo ultimo libro Viva Israele. Per questo sento il bisogno di confrontare idee e interpretazioni. Evidentemente il mio panorama mentale mi fa interpretare quanto vedo e leggo in un modo diverso dal vostro. Allora sono curiosa di capire le differenze fra il mio ed il vostro panorama mentale. Semplifico al massimo la mia visione di ciò che sta accadendo oggi nel mondo islamico e nei suoi rapporti con l’Occidente, per esporla nelle linee essenziali.

Il mondo arabo, rimasto per secoli in condizione di arretratezza culturale ed economica a causa della politica del califfato ottomano, si è ritrovato negli anni 40 e 50 con la grossa rendita del petrolio, che l’ha proiettato al centro degli interessi economici globali, ma senza una cultura adatta a vivere nella ‘modernità’, cioè nella cultura occidentale e nelle forme statuali di stampo occidentale. Dopo decenni di ricerca di una propria coesione interna e di un ruolo internazionale alto attraverso un percorso di nazionalismo (mutuando il concetto di nazione dall’Occidente, e fondamentalmente adottando modelli occidentali), una parte del mondo arabo (deluso e umiliato dalla propria continua inadeguatezza e stimolato dall’esempio del successo della rivoluzione iraniana) propugna il ritorno al Califfato, alla teocrazia e all’applicazione della sharia nella sua forma e lettura originaria. E addita come via per la vittoria non la gara con l’Occidente, o al traino dell’Occidente, ma l’inceppamento e la distruzione dei meccanismi sofisticati del mondo occidentale con le armi più semplici e primitive: qualche coltellino per abbattere le Torri Gemelle e bloccare i voli aerei negli Stati Uniti. Magnifico! Grandioso! Il coltellino però funziona ad una condizione: che sia soltanto la banale propaggine di una persona che usa se stessa come arma. Che può in qualunque momento trasformarsi in bomba, ma può anche essere uomo in mezzo agli uomini.

E’ il tema dei romanzi e dei film di fantascienza, in cui l’eroe protagonista è un robot: sembra un uomo, agisce apparentemente come un uomo, ma è un robot programmato per distruggere. L’Occidente i robots di questo tipo li ha soltanto immaginati, senza riuscire a costruirli. Bin Laden (uso il suo nome per semplificare) li ha ‘costruiti’: ha educato gruppi di giovani a comportarsi da bombe, non da uomini. Così come già avevano fatto gli iraniani con i propri giovani nella guerra contro l’Iraq. L’11 settembre è stato il grande spot pubblicitario dell’impresa Bin Laden and Co.: le televisioni di tutto il mondo hanno mostrato in diretta a tutto il mondo l’efficacia del prodotto offerto. E’ stato uno spot di grande successo, che ha oscurato il fallimento dell’altro tentativo di applicazione di questa strategia a uno scenario di guerra: la seconda intifada. Molti si sono convinti che, se basta aver a disposizione uomini-robot per distruggere il nemico e conquistare il mondo, occorre educare milioni di giovani a trasformarsi in robots. Come? Con la promessa di una gloriosa vita eterna dopo il ‘martirio’, e di grandi onori alla loro memoria qui in terra. Dicendo loro che dall’altra parte non esistono uomini, ma figli di Satana, e che la vita in terra acquista significato e valore soltanto nel morire combattendo contro Satana.

Una volta accettato il principio che la massima aspirazione della vita umana è il ‘martirio’ in nome di Dio e contro Satana, la tattica suggerisce di usare gli uomini come arma non soltanto per attacchi al nemico, ma anche per moltiplicare i martiri per mano del nemico, che di fronte alla morte invece appare sgomento. Dunque lanciare razzi contro un esercito da un quartiere civile affollato e provocare la reazione del nemico sul quartiere in modo che i civili muoiano a centinaia, raggiunge il doppio effetto di aumentare il numero di coloro che sono disposti a morire per vendicare i propri cari e provocare sgomento in Occidente e nel nemico per il numero di morti provocati dalla reazione dell’esercito, dimostrando così a tutti che la capacità di reazione e di distruzione di un forte esercito moderno non è utilizzabile per vincere il jihad.

Di fronte a questa situazione gli Stati Uniti di Bush hanno deciso di portare la guerra lontano dai propri confini, in pieno territorio ‘nemico’. Lo scopo è dimostrare che il metodo ‘Bin Laden & Co.’ porta distruzione e morte a se stessi e non distrugge il nemico, e dunque non vince. C’è stato anche un tentativo, poco convinto e abortito (per fortuna), di rovesciare il gioco dicendo che Satana non è l’Occidente, ma il nemico dell’Occidente (the axis of evil). Con la guerra in Afghanistan e in Iraq la dimostrazione della validità del ‘martirio’ ai fini della vittoria i jihadisti la debbono fornire in Medio Oriente, a casa propria. Da due anni l ‘Iran sta facendo tutto il possibile per spostare lo scenario principale dall’Afghanistan e dall’Iraq (paesi troppo vicini ai suoi confini e in cui la situazione appare difficile, impantanata, a rischio di insuccesso) su Israele.

Lo sta facendo in modo lampante, dichiarato, pianificato. Se Israele è una scheggia di Occidente in Medio Oriente, distruggere Israele per le masse islamiche ha il valore psicologico di una grande – e forse definitiva – vittoria. Se il jihadismo (tramite Hamas, Hezbollah e compagni) vince contro Israele, è probabile che le masse arabe e islamiche ora indecise, che vogliono tornare e vivere e basta, si schiereranno in blocco per i fondamentalisti. In realtà il JIhad non ha ancora mai dimostrato di poter essere vittorioso là dove il ‘nemico’ non è colto di sorpresa: non ha vinto la seconda intifada, non sta vincendo in Afghanistan né in Iraq. Aveva vinto soltanto nell’Afghanistan dei Talebani, ma ora l’Afghanistan è perso. Come qualunque altra forma di terrorismo nella storia (salvo quel terrorismo volto ad affiancare occasionalmente eserciti regolari) , il Jihad sarà vinto quando la popolazione riterrà che il Jihad non vincerà, e non fornirà più nuovi volontari. Dunque ora il jihad deve poter mostrare una grande vittoria sui teleschermi del mondo. L’effetto psicologico dell’ 11 settembre sta svanendo.

In questo scenario Magdi Allam scrive e dice che una eventuale vittoria del Jihadismo non sarebbe una vittoria, ma la caduta nel baratro culturale e politico per gli Arabi. Che se gli Arabi si lasciano convincere da chi usa i bambini come armi e li educa a morire anziché a vivere, vanno incontro alla propria definitiva sconfitta, per mano propria prima ancora che per mano dei nemici. Che la vittoria della cultura della morte non è vittoria, ma è soltanto morte. E proprio perché l’Iran sta preparando la ‘grande dimostrazione’ della potenza vittoriosa del Jihad attraverso la distruzione di Israele, chi si oppone all’ideologia jihadista della morte deve avere il coraggio si uscire allo scoperto e dire: “Ma perché mai dovrei voler far morire i miei figli per distruggere Israele? Io piuttosto grido ‘Viva Israele!’ e insieme ad Israele vivranno anche i miei figli”.

Non è Magdi Allam a indicare in Israele il teatro di guerra: è l’Iran, e insieme all’Iran tutti i gruppi e le organizzazioni jihadiste. Magdi Allam sta cercando di dire a noi qui in Occidente che è necessario operare per convincere gli islamici a dire apertamente “non voglio distruggere Israele, ma voglio che i miei figli vivano e siano forti. Questa è la mia priorità”. E lo dice lui per primo, mostrando che si può avere il coraggio di dirlo. E voi firmate una pubblica petizione contro di lui? Perché? Vorrei averne una spiegazione valida. Purtroppo gli articoli sui giornali di alcuni di coloro che hanno anche sottoscritto l’appello mi sono sembrati superficiali, vaghi, non chiari. Se proprio debbo dirla tutta, mi sono sembrati moralmente bruttini, un po’ vigliacchi. E’ un dato di fatto storico che non sono mai stati gli intellettuali a ribellarsi alla tirannide o all’ingiustizia come gruppo. Gli intellettuali sanno poi spiegare benissimo come è nata la tirannide, come si è sviluppata, come è stata sconfitta (quando è sconfitta) o come è grande e trionfante (finché è grande e trionfante). Ma gli oppositori della tirannide sono sempre provenuti da tante diverse componenti la società, con alcuni – pochi – intellettuali al proprio interno. La massa degli intellettuali famosi è sempre rimasta compattamente alle dipendenze di chi deteneva il potere politico (e dunque anche economico). Non mi aspetto che oggi le cose vadano in modo diverso. Tutto normale, dunque.

Però fra i firmatari l’appello ho identificato alcune persone che conosco, che stimo, che spesso ammiro. Allora mi chiedo: che cosa non ho visto, non ho capito, non ho considerato, che sia utile per capire l’urgenza intellettuale, morale, politica di firmare questo appello? Chissà se mi faranno il piacere di spiegarmelo?

Cordialmente

Laura Camis de Fonseca

Associazione Italia-Israele Torino