Una donna su quattro, in Siria, viene regolarmente picchiata, e questa è la cattiva notizia. Quella buona è che da oggi, a Damasco, il tema non è più un tabù. Agli inizi di aprile nella capitale siriana è stato presentato uno studio di alto profilo sulla violenza femminile, realizzato da un’associazione statale, l’Unione generale delle donne.
Il documento, finanziato dall’Unifem (Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per la donna), è un passo avanti decisivo nel riconoscimento pubblico della questione femminile, come ha spiegato alla Reuters Aref Sheikh, portavoce dell’Unifem: “E’ uno studio coraggioso, perché tocca un tema molto sensibile, che è parte essenziale del miglioramento dello status della donna”. Gli abusi, in oltre il 70% dei casi, sono commessi in famiglia (da mariti, padri o fratelli), e solo l’1% delle volte da un perfetto sconosciuto. I pretesti più comuni? Negligenze nel lavoro domestico e troppe domande rivolte ai mariti.
La Siria del presidente Bashar al-Asad, uno degli “stati-canaglia” nel mirino degli Stati Uniti di George W. Bush, ha molta strada da percorrere nel riconoscimento dei diritti delle donne. Come succede in altri paesi arabi, ad esempio, la legge è indulgente nei confronti degli uomini che uccidono le parenti sospettate di aver fatto sesso al di fuori del matrimonio. Sono i cosiddetti “delitti d’onore”, che ammontano a 200-300 l’anno, ovvero circa la metà degli assassinii commessi in Siria. Un’altra legge permette ai mariti di divorziare semplicemente dicendo alla propria moglie per tre volte “sei divorziata”, mentre la donna che richieda la stessa cosa deve affrontare almeno due anni di labirinto burocratico.
Il tema del divorzio ha un forte significato simbolico, e anche per questo alla fine di marzo una Ong locale (la Società per lo sviluppo del ruolo delle donne) ha lanciato un programma per aiutare finanziariamente le mogli che intendono divorziare, che nel mondo siriano sono emarginate e colpevolizzate. Nel 2003 Damasco ha ratificato la Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, ma con diverse riserve, tra cui quelle sulla libertà di movimento e residenza e sui diritti e le responsabilità matrimoniali. Le attiviste femministe sono state verbalmente attaccate, recentemente, da diversi predicatori delle moschee di Damasco, che le accusano di essere atee, traditrici, blasfeme e filooccidentali. Tutto questo perché hanno distribuito questionari in cui ipotizzavano la riforma di leggi ispirate alla shari’a (la legge islamica).
Tuttavia il documento finanziato dall’Unifem ammette che alcuni passi avanti sono stati compiuti. Le donne controllano ad esempio il 12% dei seggi parlamentari, il tasso più alto del mondo arabo insieme alla Tunisia, e anche le percentuali relative all’occupazione sono soddisfacenti: “La Siria ha raggiunto risultati significativi – ha dichiarato Tamara Saeb, portavoce dell’Unicef a Damasco – E nel campo dell’educazione il gap di genere si è ridotto a tal punto che frequentano il college tante donne quanti uomini”. La strada è lunghissima, ma il documento appena pubblicato si muove nella giusta direzione, che è forse l’unica direzione possibile in un paese governato in modo autoritario. Quella del riconoscimento e della consapevolezza: “Intendiamo far crescere questa coscienza anche grazie ai media e ai leader religiosi – ha spiegato alla Reuters la deputata Souad Bukour, presidente dell’Unione generale delle donne – Anche attraverso piccole serie televisive”.