Così la Nintendo e Hezbollah sanno rispondere a un “secolo imprevedibile”
Sabrina Bergamini 9 aprile 2010

«In un’era rivoluzionaria piena di sorprese e innovazioni, bisogna imparare a pensare e ad agire da rivoluzionari». E dunque cosa accomuna l’ex capo dei servizi segreti israeliani Aharon Farkash e il movimento di Hezbollah, l’ideatore della Wii Shigeru Miyamoto e il finanziatore di Google Michael Moritz, il programmatore di computer Dan Kaminsky con il gruppetto di esperti che lavorando di nascosto e in modo indiretto ha riparato una falla che avrebbe portato allo sfascio di Internet? È la capacità di ideare nuovi modi per risolvere i problemi, di porre nuove domande davanti alle sfide di una società complessa e imprevedibile e di intervenire con idee originali per rispondere a sistemi instabili, dove le risposte date dalle teorie tradizionali non funzionano più, che si tratti delle sfide poste dal terrorismo o dall’innovazione tecnologica.

E così, in un mondo che per molti versi si presenta come «un sistema strutturalmente instabile», servono idee fresche e innovative, che permettano di guardare da nuove angolature i cambiamenti e le sfide globali, dal terrorismo alla geopolitica internazionale in Medio Oriente, dalla diffusione delle epidemie ai disastri ecologici, dalla sicurezza internazionale ai crack finanziari, e di intervenire con risposte nuove. Servono idee rivoluzionarie, appunto. Questa la tesi che sta alla base del saggio Il secolo imprevedibile. Perché il nuovo disordine mondiale richiede una rivoluzione del pensiero (Elliot edizioni) di Joshua Cooper Ramo, ex corrispondente estero del Time ed esperto di politica internazionale. Un volume documentatissimo e avvincente, nel quale l’autore riesce a collegare i problemi della sicurezza e del terrorismo alle sfide della democrazia, le novità della tecnologia, i problemi dell’ambiente e quelli delle epidemie, in un unico filo ideale, giocando sapientemente con la sua rete di contatti personali e creando un racconto che bene spiega la teoria di fondo e la necessità di una rivoluzione di pensiero, e quindi di nuovi leader.

Perché quelli passati si sono rivelati inadeguati, col loro bagaglio di teorie, ad affrontare un cambiamento che si muove rapido, «una valanga incessante di trasformazioni». Scrive Cooper Ramo: «Il nostro mondo non diventerà più stabile o più facile da capire, per quanto possiamo sperarlo. In poche parole, stiamo entrando in un’era rivoluzionaria. E vi entriamo con un bagaglio di idee, classi dirigenti e istituzioni più adatte al mondo che ci siamo lasciati alle spalle da secoli. Se da un lato questa rivoluzione crea disagi e sconvolgimenti senza precedenti, dall’altro crea nel contempo nuove fortune, nuova energia, speranze, e un nuovo ordine globale. Le rivoluzioni, dopotutto, non generano soltanto sconfitti. Esse comportano anche (…) tutto un insieme di nuovi protagonisti». Di fronte al «sovvertimento dell’ordine esistente», ci sono infatti individui portatori di cambiamento, «cellule attive d’innovazione» che rispondono in modo originale alle sfide, e sfruttano la capacità del mash up e dunque delle contaminazioni fra elementi diversi per creare qualcosa di nuovo.

È la logica che ha portato alla creazione di Wii e alle fortune di Nintendo. È in fondo la stessa logica che permette a Hezbollah di sopravvivere perché capace di sviluppare nuovi metodi di comunicare, di attaccare, e di giocare d’anticipo, di adattarsi ai cambiamenti della guerra. A fronte di tutto questo, ci sono leader che finora non sono stati capaci di gestire i cambiamenti. E la bocciatura di Cooper Ramo è senza appello: «Le politiche concepite per garantire la nostra sicurezza rendono invece ancora più rischioso il mondo. La più grande guerra della storia contro il terrorismo per esempio, non solo non lo ha eliminato, ma crea al contrario ulteriori pericolosi terroristi. I tentativi di fermare la diffusione di armi nucleari incoraggiano gli Stati ad accelerare la corsa verso la bomba atomica. Il capitalismo globale, inteso a incrementare la qualità della vita in tutto il mondo, riporta la distanza tra ricchi e poveri a una misura ancora più ampia. Le decisioni prese per scongiurare una crisi finanziaria mondiale finiscono per garantirne l’arrivo. Modelli ambientalisti nati per proteggere le specie portano alla loro estinzione. I trattati di pace in Medio Oriente inaspriscono ulteriormente il conflitto».

Il paragone usato dall’autore, ripreso da studi scientifici, è quello del cumulo di sabbia, dove il sistema può crollare con la caduta di un solo granello in più, dall’interno e dall’esterno, senza che si sappia quale sarà il granello e quale sarà la variabile determinante, ma nella consapevolezza che «piccoli eventi possono scatenare un grande cambiamento». Il libro collega fenomeni diversi fra loro. «Le varie minacce gravi che affrontiamo oggi, dalle crisi finanziarie al terrorismo, si presentano come vere e proprie epidemie: in principio sono piccole, ma si diffondono in fretta e spesso sono generate dalla combinazione di più fattori, che sembrano benigni fino a che non si mettono insieme (viaggi aerei e fondamentalismo, ipoteche immobiliari e fondi d’investimento). Per gestire le epidemie occorre un modo di pensare particolarmente attento». Ma il saggio evidenzia anche un forte messaggio di speranza che sta nel protagonismo delle persone: «Il potere degli individui non è mai stato così grande».

A testimoniare la capacità di agire delle persone, l’esempio del diverso andamento delle terapie medicinali per il programma di lotta alla tubercolosi e di lotta all’HIV in Sudafrica: la prima fallimentare perché calata dall’alto, la seconda basata sulla condivisione delle informazioni, sulla responsabilità e sulla partecipazione delle persone coinvolte. Se il paragone con il cumulo di sabbia spiega come i cambiamenti possano essere inaspettati, la differenza è nelle persone: «Noi abbiamo – scrive Cooper Ramo – la possibilità di agire. Non siamo elementi passivi. Possiamo scegliere cosa fare e cosa no. Non dobbiamo accettare ciecamente quello che ci viene detto. Noi non vogliamo permettere, non sarebbe giusto, alle persone che ci hanno messo in disastroso attrito con il mondo di attirarci ancora di più verso il pericolo. Per cambiare le cose è necessario agire in prima persona. Non possiamo più dare in appalto la nostra sicurezza o la nostra politica estera come abbiamo fatto finora. La linea che separa le nostre vite dal resto del mondo è sempre più permeabile. Con la nostra bella casa, l’auto di lusso, in una nazione apparentemente ricca e con un lavoro che ci dà sicurezza, pur con tutto ciò non possiamo illuderci sui fatti: oggi siamo parte della storia, ci siamo dentro». È una linea d’azione per i cittadini e per i nuovi leader: guardare le cose in modo diverso, pensare lateralmente, cercare risposte a partire da domande nuove.