Italo-marocchina, ovvero senza patria
Daniele Castellani Perelli 12 agosto 2009

«Vu cumprà. I miei compagni di scuola cominciarono a chiamarmi proprio così. Non capivo perché: avevo un nome italiano ed ero convinta fino ad allora di essere una vera italiana». Metà italiana, metà marocchina, ovvero senza patria. È la condizione in cui devono sentirsi tanti immigrati che risiedono nel nostro paese, ma è la stessa che confessa di vivere Anna Mahjar Barducci, scrittrice e giornalista, nel suo Italo-Marocchina (160 pp, 12 euro, Diabasis, 2009), un romanzo autobiografico in cui l’autrice, fondatrice dell’associazione Arabi democratici liberali, racconta il disagio di chi non si sente a casa né in Italia, la terra del padre, né in Marocco, la terra della madre.

L’Italia è un paese a cui Barducci si sente fiera di appartenere, ma che ancora non l’ha accettata («L’unica mia consolazione – scrive – era vedere girare adesso, disoccupati per le strade di Lido di Camaiore, coloro che “ogni” giorno, nell’autobus della scuola elementare, mi avevano chiamato “negra” e “sporca africana” per il colore della mia pelle»). Il Marocco invece è il luogo affascinante e crudele che, nel romanzo, l’autrice rievoca soprattutto attraverso le vacanze estive, gli infiniti litigi familiari di nonne e zie e i drammi di cugine in fuga verso la Spagna o la Francia (dove li attendono stupri, aborti, pugni, quartieri degradati, matrimoni sbagliati e figli infelici). Un paese povero ma pieno di speranza, a metà tra Oriente e Occidente.

Un paese di cui l’autrice racconta anche le maniere forti della polizia, la superstizione, il fondamentalismo, ma che sa essere vivo e vario, con le sue mille versioni dell’Islam (l’“Islam dell’Individuo”) e che stimola l’orgoglio dell’autrice quando, a un concerto di Cheb Khaled, sa «prendersi in giro» e sa dire no all’estremismo. L’epigrafe posta all’inizio («Vorrei insegnarti una parola. Che cosa ne pensi della seguente: Individuo») dice molto di questo libro, che in fondo si può leggere anche come il difficile viaggio di un individuo (per di più donna) alla ricerca della propria identità e verso l’affrancamento dalla famiglia, dalla umma e dalle proprie radici. Un viaggio che porta l’autrice, musulmana, a sfidare le convenzioni e a sposare un ebreo israeliano. E che ci ricorda quanto sia difficile essere straniero, soprattutto in Italia. 

Questo articolo è apparso originariamente sul quotidiano Europa il 12 agosto 2009