La crisi siriana vista da Doha
Alma Safira 11 giugno 2012

Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani, Primo Ministro e Ministro degli Esteri del Qatar, sottolinea l’esigenza di imporre una scadenza al piano di pace in Siria, mentre il Segretario Generale della Lega Araba Nabil Al Arabi chiede di intervenire con i peacekeepers, che per mantenere la pace e la sicurezza possono anche essere armati. Già ad aprile di quest’anno l’Emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa Al Thani, si era mostrato esitante di fronte al piano di pace di Kofi Annan in Siria, dichiarando che le possibilità di successo erano ridotte a un 3%. Non è chiaro come sia stato calcolato questo 3 % ma è una percentuale che esprime la tragedia a cui stiamo assistendo.

Proprio per questa sfiducia o per i recenti avvenimenti in Siria, la Lega Araba dichiara dallo Sheraton di Doha di essere pronta a intervenire e lancia segnali di richiamo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Lo stesso richiamo arriva contemporaneamente dal quartiere Katara di Doha dove oltre ottanta artisti siriani si sono riuniti per diffondere il messaggio rivoluzionario alla settimana culturale siriana organizzata dal governo qatarino. Sono quasi tutti scappati dalla Siria in tempi non sospetti, negli anni della repressione, non della rivoluzione, e ognuno racconta chiaramente come il regime di Assad abbia segnato con violenza la propria vita. Alcuni vogliono far vedere che chi sta combattendo per la rivoluzione in Siria non è un terrorista o un estremista religioso, ma solo persone comuni e pacifiche esasperate da un regime che ha negato loro democrazia e libertà per decenni. Altri invece vogliono solo esprimere la loro solidarietà con il proprio popolo.

L’artista Zahed Taj-Eddin racconta che in Siria un regista può fare un film, spesso parlando di animali e non di persone per apparire inoffensivo, sapendo che il regime non ne autorizzerà la distribuzione. Il caricaturista Ali Ferzat poteva fare satira, ma non criticare il Presidente Assad. Lo vediamo in una fotografia esposta a Katara. Ha le braccia fasciate e la testa bendata. È ritratto così su un francobollo della rivoluzione siriana, idea di Fouad Hachem che ha raccolto le testimonianze delle persone che hanno vissuto in Siria quest’anno di rivoluzione.

In questa folla di artisti siriani rifugiati per il mondo si dicono tutti pronti a tornare in Siria per dare il loro contributo al cambiamento. Gli unici ad apparire esitanti nell’azione sono i membri dell’opposizione, anche loro in Qatar per raccontare e discutere di Siria. Burhan Ghalioun, ex leader del Consiglio Nazionale Siriano (CNS), ha una grande mappa della Siria dietro di sé mentre si prepara a spiegare lo sfacelo del suo gruppo di opposizione al pubblico dell’Al Jazeera Center for Studies a Doha. “Il problema dell’opposizione è che non c’è una cultura politica. Il regime ha distrutto la società organizzata” ha dichiarato Ghalioun a Doha.

Il Consiglio Nazionale Siriano era infatti senza leader mentre Ghalioun interveniva a Doha. Ghalioun si è dimesso dopo essere stato accusato di voler monopolizzare il potere, non essendo stato eletto. Alla testa del CNS lo ha ora sostituito l’attivista curdo Abdulbaset Sieda, eletto democraticamente.

Lega Araba, intellettuali, membri dell’opposizione sono tutti contemporaneamente a Doha per sostenere la rivoluzione, che per realizzarsi ha bisogno di idee ma anche di finanziamenti. E il sostegno economico degli imprenditori siriani viene anche questo annunciato a Doha nella stessa settimana. È stato infatti inaugurato nella capitale qatarina il Business Forum Siriano che con un fondo da 300 milioni di dollari sosterrà la rivoluzione e il milione e mezzo circa di rifugiati siriani. La sede centrale del Forum sarà in Siria, ma un bureau verrà aperto anche in Qatar.

Qualcuno nell’opposizione siriana ricorda che Assad è ancora al potere in Siria e che la geopolitica della guerra fredda condanna il mondo arabo ad essere visto da Russia e Cina ancora come zona di influenza in funzione antioccidentale. Forse saranno proprio i Paesi del Golfo a spezzare questa dinamica antica. Il Qatar ha deciso di far emergere il mondo arabo e di esserne protagonista. Lo si evince non solo dal costante interesse per la questione siriana, ma anche dal fatto di essere stato il primo Paese ad aderire all’intervento in Libia e dai generosi finanziamenti destinati a Tunisia, Egitto e Libia con i quali il Qatar ha intrapreso quella politica in stile piano Marshall che stabilisce una riconoscenza di lunga durata e che gli Stati Uniti non possono più permettersi.

image: cc – FreedomHouse