Energia come internet. Per un nuovo sviluppo sostenibile
Emanuela Scridel 22 aprile 2010

“…La creatività, gli ideali e il coraggio dei giovani di tutto il mondo devono essere mobilitati per forgiare una partnership globale idonea a garantire uno sviluppo sostenibile e assicurare a ciascuno un futuro migliore …” Così recita l’articolo 21 della Dichiarazione di Rio del ’92 delle Nazioni Unite, sull’ambiente e lo sviluppo, riaffermando quanto contenuto in quella adottata a Stoccolma nel 1972. E’ proprio a partire dagli anni ’70 infatti, che la progressiva presa di coscienza delle problematiche ambientali ha dato origine a un ampio dibattito sul futuro del pianeta. Dibattito che ha coinvolto organizzazioni internazionali, movimenti di opinione e studiosi, approdando al concetto di sviluppo sostenibile: “Lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri” (Gro Harlem Brundtland, 1987).

Oggi, quando si parla di “sviluppo economico” rimane implicito che ci si riferisca ad uno “sviluppo sostenibile”. La relazione del 1987, cui sopra fatto cenno, aveva indicato tre caratteristiche indispensabili perché lo sviluppo possa dirsi tale: garantire la qualità della vita umana, assicurare un accesso continuo alle risorse ambientali, evitare danni permanenti all’ambiente. Il fenomeno della globalizzazione e di una sempre maggiore interdipendenza ha reso assai più complessa la sua gestione e, a più di vent’anni, la questione ambientale, insieme a quella energetica, è diventata sempre più “pervasiva”.

Il drammatico aumento delle emissioni di anidride carbonica derivante dai combustibili fossili bruciati sta elevando la temperatura della Terra e minacciando un cambiamento senza precedenti nella chimica del pianeta e nel clima globale e sta conducendo ad un deterioramento progressivo dell’ecologia della Terra. È dello scorso dicembre a Copenhagen, la quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP 15) cui hanno partecipato 193 Paesi e il cui risultato è stato un accordo senza cifre sulle riduzioni della Co2, con il riconoscimento dei dati scientifici che stabiliscono a 2 gradi il massimo di aumento della temperatura entro la fine del secolo e uno stanziamento ingente per il trasferimento delle energie pulite ai paesi meno sviluppati entro il 2020. Un aspetto interessante dell’Accordo è che oggi non solo i governi dei paesi “sviluppati”, ma anche quelli dei Paesi in via di sviluppo, sono consapevoli della necessità di una crescita economica sostenibile sostenibile: l’Accordo è stato infatti proposto dagli Stati Uniti e dal Basic – Brasile, Sudafrica, Cina e India – e appoggiato dall’Unione Europea, il che denota un bilanciamento del potere contrattuale fra “paesi emersi” e “paesi emergenti”.

La Cina è oggi la “prima potenza carbonica”, avendo superato gli Stati Uniti per l’emissione di CO2: ma fino a che punto è realistico attendersi che Paesi come Cina o India “possano tassare” il proprio sviluppo? Uno sviluppo che spesso coinvolge solo determinate fasce della popolazione e solo determinate aree del Paese in questione. Le cifre fornite dalla Banca Mondiale parlano di 1,6 miliardi di persone che non hanno accesso all’elettricità, per lo più in Asia e Africa. E assenza di energia equivale ad una impossibilità di sviluppo economico, oltrechè all’impossibilità che siano garantiti i bisogni primari della popolazione. La questione fondamentale è dunque: come far crescere un’economia globale sostenibile nei decenni del tramonto di un regime energetico i cui crescenti costi esternalizzati e svantaggi stanno cominciando a compensare in negativo quello che una volta era il suo vasto potenziale positivo? Oltretutto, in un’era in cui il petrolio va esaurendosi?L’unico sistema che pare garantire la sostenibilità ambientale e che viene generalmente riconosciuto dalla comunità economico-scientifica come tale è quello delle energie rinnovabili.

In particolare è già da qualche tempo che si è iniziato a parlare dell’avvento della “Terza rivoluzione industriale”, con ciò intendendo l’inizio di una fase in grado di condurre all’autosufficienza energetica e in cui sia possibile il trasferimento dell’energia in maniera simile a quanto avviene per il trasferimento dell’informazione (il meccanismo di trasferimento e scambio energetico avverrebbe in tempo reale attraverso modalità simili a quelle dello scambio di informazioni in internet) il che naturalmente costituirebbe un elemento rivoluzionario, tanto in termini di sviluppo economico quanto in termini di democrazia.

La Terza Rivoluzione Industriale, che Rifkin da tempo sostiene, si basa su tre pilastri fondamentali che devono essere sviluppati ed integrati pienamente affinché il nuovo paradigma economico diventi operativo: energia rinnovabile, tecnologie di accumulazione, reti energetiche intelligenti. Forme rinnovabili di energia – solare, eolico, idroelettrico, geotermico, moto ondoso e biomasse – costituiscono il primo pilastro che, proprio in virtù degli obiettivi obbligatori che i governi si sono dati, stanno crescendo. Il secondo pilastro consiste nel massimizzare l’energia rinnovabile, e minimizzare i costi grazie a nuovi metodi di accumulazione che facilitino la conversione delle forniture intermittenti di queste fonti energetiche (il sole non splende sempre, per es.) in un servizio continuo e affidabile. L’idrogeno è stato individuato come il miglior vettore e accumulatore di energia per tutte le fonti rinnovabili. In tal modo l’elettricità generata quando le energie rinnovabili sono abbondanti può essere utilizzata per i momenti in cui vi è scarsità. L’UE ha messo in piedi, grazie a due piattaforme tecnologiche di ricerca, i primi due pilastri. Il terzo pilastro è attualmente in fase di sperimentazione da parte delle società energetiche europee: si tratta della ri-configurazione delle reti energetiche europee secondo gli schemi di internet per permettere alla imprese e all’utenza privata di produrre la propria energia e di scambiarla. L’ “interconnettività” consentirebbe di re-indirizzare i flussi energetici durante i picchi o i crolli.

Alcuni esempi di autosufficienza energetica già esistono. Quest’anno, ad esempio, la Pepsi Cola scollegherà dalla rete di distribuzione elettrica una sua fabbrica già esistente per alimentarla unicamente con l’energia solare ed i rifiuti raccolti in sito. Acciona in Spagna ha già un edificio del genere, alimentato con l’energia solare e totalmente scollegato dalla rete. L’architettura dell’edificio è stata progettata in relazione al sole. Per recuperare il capitale investito ci vorranno dieci anni, dopo di che l’azienda potrà usufruire di energia gratis per 50 anni grazie al sole. Bisogna solo occuparsi della manutenzione dell’edificio. Per fare un altro esempio, in Aragona c’è la più grande fabbrica del mondo della General Motors: produce 500.000 Opel all’anno: stanno installando il più grande impianto solare su tetto di tutto il mondo. La regione Aragona e GeneralMotors hanno creato una partnership con la francese Veolia: GM dà in locazione il tetto alla società elettrica, che fornisce l’impianto del valore di 78 milioni di dollari. A regime verranno prodotti dieci megawatt di energia, sufficiente per alimentare 4.700 abitazioni e l’intera fabbrica. Il capitale investito verrà recuperato in dieci anni, dopodiché l’energia sarà gratis finché l’edificio verrà tenuto in buono stato. Adesso Gm e le altre aziende si sono trasformate in centrali elettriche.

Economista – Esperto in Strategie Internazionali e U.E.