Lettera dei 138, riparte il dialogo tra cattolici e musulmani
Matteo Landricina 12 marzo 2008

E’ stata presa d’assalto da parecchi giornalisti, soprattutto europei ed americani, la conferenza stampa indetta il 5 marzo scorso dalle personalità del mondo islamico giunte a Roma in rappresentanza dei 138 firmatari (divenuti poi 216) della lettera aperta “Una parola comune”, rivolta ai cristiani e agli ebrei. Oltre 50 persone, tra reporter e cameramen, si sono stipate nella piccola sala riunioni di un albergo a Borgo S.Spirito, a due passi dal Vaticano, a riprova del notevole interesse suscitato nell’opinione pubblica da questa iniziativa di dialogo interreligioso.

A tenere la conferenza c’erano Aref Ali Nayed, direttore del Royal Islamic Strategic Studies Centre di Amman, l’imam Yahya Pallavicini, della Coreis, unico firmatario italiano della missiva, che ha fatto un po’ le vesti del padrone di casa, assieme a Ibrahim Kalin, della fondazione Seta di Ankara, e Sohail Nakhooda, direttore della rivista giordana Islamic Magazine. Punto di partenza del confronto con la stampa internazionale è stata la lettera, il cui titolo, “Una parola comune”, è preso da un versetto del Corano. Il suo scopo, secondo i firmatari, è quello di “promuovere un ritorno alle fondamenta della fede”, intese come “amore di Dio” e “amore del prossimo”, valori che l’Islam condivide con le altre “religioni del Libro”, il cristianesimo e l’ebraismo. Questi primi punti di contatto tra le diverse fedi dovranno costituire la base per un dialogo costante tra le comunità religiose, utile per prevenire l’escalation di crisi come quella delle vignette danesi.

Dopo lo strappo nelle relazioni islamico-vaticane seguita al discorso di Ratisbona di Ratzinger nel 2006, i cui effetti si fanno ancora sentire, come ha confermato Ali Nayed (“le ferite sono ancora aperte, e ci sono molti islamici che boicottano il Vaticano”), si sono attivati da entrambe le parti quelli che la stampa definisce “i pontisti”. La delegazione di personalità islamiche ha incontrato presso la Città del Vaticano una rappresentanza del Consiglio pontificio per il dialogo interreligioso, guidata dal suo presidente, il cardinale Jean-Louis Tauran. Il risultato di questo meeting è stata la fondazione di un Forum permanente cattolico-musulmano, il cui primo seminario si terrà dal 4 al 6 novembre a Roma. Non è ancora chiaro se il pontefice stesso, in quanto teologo, prenderà parte alle riunioni del Forum, o se rivolgerà solamente un saluto ai partecipanti al termine dei lavori. Si sa però, ed è una novità, che per la parte musulmana ci saranno anche delle donne tra gli studiosi.

Si è parlato molto di “guarigione”, di “guarire” un mondo dilaniato da conflitti, in cui spesso la religione è percepita come elemento di ulteriore discordia, piuttosto che di concordia. “Il discorso di Ratisbona è stato un errore. Ma dobbiamo superare le difficoltà, e guardare a ciò che ci unisce”, ha detto Ali Nayed. Rivolgendosi ai rappresentanti dei mass media, ha poi aggiunto: “Non dobbiamo sempre concentrarci sugli aspetti negativi e spettacolari, ma saper vedere anche le cose positive”. Gli intellettuali islamici hanno colto l’occasione per ribadire la loro solidarietà al vescovo cristiano-caldeo Faraj Rahho, rapito in Iraq il 29 di febbraio, condannando il sequestro e muovendo un appello per il suo immediato rilascio.

Rispondendo alla domanda di una giornalista rispetto alla capacità di questa iniziativa di raggiungere le minoranze più settarie ed integraliste della comunità islamica, l’imam Yahya Pallavicini ha preso la parola per affermare che “c’è senza dubbio una minoranza che esaspera i toni, estrapolando e manipolando la vera dottrina religiosa dell’Islam, ma il mainstream tradizionale è quello di 14 secoli di sapienti e di saggi e di autentici religiosi musulmani, uomini e donne, di tutto il mondo, che hanno sempre condiviso un altro scenario, e la responsabilità dei 138 sapienti è quella di riaggiornare e riconfigurare un coordinamento internazionale di scuole giuridiche di derivazioni islamiche autentiche, per promuovere un discorso che riprenda le fonti, i testi e le basi della dottrina, al di fuori di qualsiasi strumentalizzazione, per promuovere anche delle ricadute sociali e politiche”. Pallavicini, che guida la moschea al-Wahid di Milano ed è considerato un illustre rappresentante dell’Islam europeo colto e moderato, ha da poco pubblicato un libro, recensito da Sandro Magister sul suo sito internet, intitolato “Dentro la moschea” (Rizzoli, pag. 520, 10,80 euro), in cui racconta la vita nella comunità islamica sufi a cui appartiene.