Israele, Palestina e la forza dei numeri
Francesca Giorgi 6 marzo 2008

Della Pergola è stato a lungo Direttore dello stesso Dipartimento, ed è anche ricercatore capo presso l’Istituto di Programmazione Politica del Popolo Ebraico a Gerusalemme. Alla base del suo lavoro c’è la convinzione che il conflitto fra israeliani e palestinesi sia fortemente influenzato da variabili che riguardano la vita quotidiana degli abitanti della regione, troppo spesso ignorate dalla pubblicistica e dalla politica a favore di considerazioni militari e strategiche. Scrive l’autore: "I comportamenti demografici, economici e sociali delle due parti in causa creano forse meno inquietudini, ma non per questo sono meno determinanti delle tendenze mentali e materiali che accompagnano il conflitto. Quello che poi è sfuggito a molti, e a lungo, è che demografia e società, in realtà, hanno giocato in passato e stanno giocando ancora di più oggi un ruolo primario nel creare consenso strategico sul territorio e quindi le premesse di molti e significativi processi decisionali direttamente attinenti alla politica del conflitto".

La "forza dei numeri" rappresenta dunque un fattore chiave per poter comprendere le ragioni storiche dello stallo in cui versa il conflitto, ma soprattutto per poter immaginare futuri scenari di pacificazione. Secondo Della Pergola è necessario considerare le due parti come un aggregato sociale e demografico integrato, e analizzare la crescita demografica delle singole componenti come specchio delle loro identità culturali e delle esigenze di vita, che ne determinano nei fatti le relazioni e percezioni reciproche. Oggi, in una regione poco più grande della Sicilia (per giunta molto fragile da un punto di vista ambientale e povera di risorse idriche), vivono circa 10,5 milioni di persone, di cui circa la metà sono ebrei e il resto arabi israeliani e palestinesi.

In molte aree la densità di popolazione è altissima, poiché la vasta regione del Negev è desertica e quasi disabitata. Recenti studi condotti dallo stesso Della Pergola mostrano una tendenza ulteriore alla crescita, che nel 2050 dovrebbe portare la popolazione a raggiungere i 23,5 milioni. Tale incremento sarà tuttavia attribuibile quasi esclusivamente alla componente araba, che dovrebbe arrivare a costituire i due terzi del totale. Lo scarto è dovuto ai differenti modelli riproduttivi attualmente in atto fra i diversi gruppi. Sebbene infatti le donne israeliane abbiano una media di tre figli, ben superiore a quella delle società europee e della componente ebraica della diaspora, le donne arabe hanno generalmente dai quattro ai sei figli. L’alto tasso di natalità e la giovane età della popolazione attuale fanno pensare a un forte accrescimento anche nel caso in cui in futuro i modelli riproduttivi si rinnovassero, con un aumento della componente araba sia fuori che dentro i confini attuali di Israele.

Per Israele, ciò significherebbe nel lungo periodo rinunciare a una delle prerogative che furono alla base della sua fondazione: essere un stato grande (cioè esente da concessioni territoriali), ebraico e democratico. Della Pergola sostiene che la soluzione più ragionevole per riportare l’equilibrio nella regione e garantire a Israele di rimanere una democrazia e mantenere la sua omogeneità culturale sia quella di perseguire la strategia dell’hitkansùt – ossia del ripiegamento all’interno dei confini precedenti alla guerra del 1967 – attuando contemporaneamente una politica di scambi territoriali con l’Autorità palestinese. In questo senso, l’autore propone essenzialmente la cessione di un piccolo territorio a forte maggioranza araba a oriente di Tel Aviv, il cosiddetto "triangolo", e quella di Gerusalemme est, in cambio dell’acquisizione di territori di analoga estensione a maggioranza ebraica, situati alla periferia di Gerusalemme, e a nord di Tel Aviv.

Questo scambio, senza comportare spostamenti di popolazione, coinvolgerebbe meno del 2 per cento del territorio d’Israele, che però comprende ben un terzo della popolazione araba dello Stato, e assicurerebbe una maggioranza ebraica superiore all’80 per cento della popolazione totale, fino alla metà del secolo.
Per quanto riguarda le altre questioni alla base del conflitto, come il rientro dei profughi palestinesi o lo status di Gerusalemme, Della Pergola propone delle soluzioni di equilibrio e mediazione, con la ferma posizione di impedire un ulteriore eccessivo incremento della popolazione palestinese all’interno dei confini di Israele, e di sovraccaricare ulteriormente il già precario ecosistema della regione.

In conclusione, il libro e l’intera ricerca del demografo italo-israeliano rappresentano un’utile sistematizzazione di problematiche spesso solo sfiorate non solo dal dibattito pubblico, ma anche dalla politica, e hanno il merito di attribuire diritti e doveri sia alla controparte israeliana, sia a quella palestinese, con uno sforzo di obiettività certamente lodevole. Di fronte a un conflitto ormai appiattito sul binomio terrorismo/repressione, ecco dunque emergere le persone, con la loro quotidianità, abitudini, speranze, prospettive di vita. Quando ormai la guerra appare come la banale routine quotidiana, diventa importante, ci dice Della Pergola, iniziare finalmente a pensare che questo conflitto può avere una fine, e che una volta deposte le armi i problemi da affrontare saranno ancora, purtroppo, tantissimi.