Le Rendez-Vous des Civilisations. Un dialogo per il nuovo Mediterraneo
Marco Cesario 20 dicembre 2007

Una confederazione economico-politica che comprenda tutti i paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo. E’ questo il sogno proibito ed è in questa direzione che si è mossa fino ad oggi la nuova Francia di Sarkozy, la cui incessante iniziativa politica potrebbe dare il via, in un futuro non troppo lontano, ad un’Unione Mediterranea che porterebbe a compimento una storia contrassegnata da destini comuni e incrociati anche se spesso molto distanti. Da questo punto di vista Sarkozy sembra voler seguire le orme di Mendès France, il quale orientò la sua azione innovatrice sulle sponde meridionali del Mediterraneo permettendo tra l’altro l’indipendenza della Tunisia.

Come ha sottolineato recentemente Enrico Jacchia, direttore del Centro Studi strategici della Luiss, il progetto di Sarkozy sarebbe altrettanto ambizioso e coinvolgerebbe anche il Libano e la Siria. La Libia, la Tunisia, l’Algeria ed il Marocco sono stati già oggetto di particolari attenzioni da parte del presidente francese ed è noto che l’Eliseo ha buoni e consolidati rapporti anche con Israele. Ma l’altro lato della medaglia della spregiudicata politica francese nel Mediterraneo è rappresentato dalla cooperazione nucleare con la Libia, che ha aperto le porte alla liberazione delle infermiere bulgare (e all’arrivo in pompa magna del dittatore libico a Parigi, che ha scatenato le proteste dei difensori dei diritti umani), ma anche dall’allineamento ufficiale della Francia – dopo il discorso di Sarkozy al Congresso degli Strati Uniti – alla politica dell’amministrazione Bush che continua a predicare e finanziare la "guerra santa" al terrorismo integralista.

Questi scenari gettano pesanti ombre sulla vera riuscita di un’operazione politica che da alcuni paesi della riva Sud potrebbe essere letta come una forma neo-coloniale di controllo sui traffici e sulle politiche nel Mediterraneo. Come ha detto qualche tempo fa il ministro degli Esteri egiziano Aboul Gheit, l’Unione mediterranea dovrebbe essere il frutto di contatti diretti tra il Nord e il Sud del Mediterraneo perché diventi un patrimonio comune. Un’iniziativa unilaterale della riva Nord sarebbe destinata a fallire ed anzi potrebbe creare nuovi contrasti nel Mediterraneo. Ma esiste anche un altro scenario. Spinti da fattori demografici analoghi, i popoli della riva Nord e Sud del Mediterraneo potrebbero giungere ad una "sintesi comune" che smusserebbe di fatto quelli che in realtà sono contrasti politici e non religiosi.

Costruire il Mediterraneo partendo dal dialogo delle religioni potrebbe essere dunque la chiave per uscire dalla logica dello scontro di civiltà teorizzato da Samuel Huntington ed entrare in quello che in un breve e brillante saggio pubblicato in Francia (Le Rendez-Vous des Civilisations, Seuil 2007), il demografo Youssef Courbage e lo storico ed antropologo Emmanuel Todd indicano essere come il naturale destino di tutte le civiltà umane. Muovendosi con accortezza ed adoperando sapientemente gli strumenti della scienza demografica, i due studiosi giungono a rifiutare il principio di uno scontro di civiltà e teorizzano l’idea che i popoli si dirigano, come per una forza ineluttabile della storia e della socio-biologia, verso un medesimo destino fatto di valori comuni e condivisi. L’esame di certi indicatori sociali e storici dimostra non già una divergenza tra mondo musulmano ed Occidente, bensì una convergenza naturale di modelli.

Il mondo musulmano starebbe entrando in una sorta di rivoluzione demografica, culturale e mentale, la stessa che avrebbe permesso in un recente passato all’Occidente di passare da una civiltà fondamentalmente agricola e patriarcale ad una società moderna, industrializzata ed in cui il ruolo della donna si divincolerebbe sempre più da quello di semplice madre-genitrice. Il dato principale da cui partono i due studiosi è questo: da quasi un trentennio il tasso di natalità nel mondo musulmano è sceso vorticosamente. Dai 6,8 bambini nati in media nel 1975 si è passati ai 3,7 del 2005. Questo dato indica che oramai in paesi come l’Iran o la Tunisia il tasso di natalità è praticamente lo stesso che in Francia, un segno inequivocabile di un capovolgimento dei rapporti di autorità, delle strutture familiari, delle referenze ideologiche e sociali e lentamente anche del sistema politico. Nonostante dunque sianop rette da regimi teocratici e/o dittatoriali, le società arabo-musulmane sembrerebbero seguire un proprio percorso evolutivo che tenderà ad avvicinarle sempre di più alle società occidentali. Lo scontro di civiltà, secondo questo paradigma, sarebbe dunque scongiurato. I sistemi di comunicazione di massa, tra cui primeggia internet, accelerano un processo di evoluzione delle società nonostante indirizzi politici cerchino di determinarne od influenzarne le sorti.

Il risultato dunque non sarebbe quello della vittoria di un sistema su un altro, ma della naturale evoluzione delle comunità umane verso valori ed esperienze condivise. In quest’ottica dunque, i conflitti che noi vediamo prodursi in seno al mondo musulmano non devono essere dunque inquadrati come la manifestazione di un’alterità radicale refrattaria a qualsiasi dialogo o scambio ma come il sintomo del disorientamento tipico di un periodo di transizione del mondo musulmano verso la modernità. Una modernità "propria", dunque "endogena", e non importata dall’Occidente. La democrazia americana "esportata" sotto forma della guerra sembra in quest’ottica costituire, invece, il maggiore ostacolo alla normalizzazione dei rapporti tra comunità occidentali ed orientali, che nonostante le apparenze non possono essere considerate alla stregua di due blocchi distinti. Da questo punto di vista anche il dato religioso, che pure appare il motivo scatenante di numerosi conflitti, potrebbe essere il deterrente del dialogo tra civiltà in quel contesto geopolitico singolare che è il Mediterraneo.