Quei lunghissimi viaggi fra deserto e mare
Sabrina Bergamini 13 aprile 2009

Attraversano il deserto, attraversano il mare e, se sopravvivono, richiedono asilo. E in questi lunghissimi viaggi approdano in Italia, divenuta il quarto fra i paesi industrializzati per numero di domande di asilo presentate. Secondo l’ultimo rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), nel 2008 sono state presentate in Italia 31.200 domande di asilo, più del doppio dell’anno precedente, con un aumento legato anche all’elevato numero di arrivi via mare a Lampedusa, dove sbarcano persone che in gran parte hanno bisogno di forme di protezione internazionale. «La ragione di questo aumento – spiega Laura Boldrini, portavoce dell’UNHCR – sta nel fatto che in molti paesi, in particolare nel Corno d’Africa e specialmente in Somalia, le condizioni politiche e la sicurezza non stanno migliorando. In Somalia da molti anni non c’è più uno Stato, vige una sorta di anarchia generalizzata e di violenza generalizzata, per cui tutti coloro che sono in grado di scappare tentano di mettersi in salvo. Poi c’è l’Eritrea. Ci sono tensioni in Costa d’Avorio e in Nigeria. I flussi sono strettamente collegati alle condizioni politico-militari di Paesi che non sono distanti».

A Lampedusa la grande maggioranza dei 36 mila arrivati nel 2008 ha chiesto asilo. «Nel 2008 il 75% delle persone arrivate via mare ha fatto domanda di asilo, e di questi il 50% ha ottenuto dallo Stato una forma di protezione – continua Boldrini – Quindi una buona fetta di queste persone rischia la vita perché ha motivi seri per farlo. E a loro lo Stato effettivamente riconosce questa necessità». Circa il 10% ottiene lo status di rifugiato, per gli altri ci sono forme di protezione sussidiaria o umanitaria, rilasciate con tempi di attesa di circa cinque o sei mesi. La situazione potrebbe evolvere ancora se a ragioni politiche si sommeranno le tensioni legate alla crisi economica. «Alcuni studi – spiega infatti la portavoce UNHCR – parlano di un inasprimento delle tensioni a causa della crisi economico-finanziaria soprattutto in Africa, che sembra sarà a breve termine il continente più colpito. È prevedibile che i movimenti di popolazione indotti da scontri e tensioni causati anche dalla crisi economica possano aumentare. Per questo è importante che ci si organizzi in tempo utile, rendendo più gestibile l’accoglienza e il modo di condividere gli oneri di questa situazione, anche all’interno dell’Unione Europea».

Ma per chi riesce ad arrivare in Italia ci sono migliaia di persone che non ce la fanno, vittime del mare, del deserto e di traversate sempre più difficili. A raccontarlo è Gabriele Del Grande, scrittore, autore di Mamadou va a morire e responsabile di Fortress Europe, l’Osservatorio sulle vittime delle migrazioni. «Dal 1988 sono quasi 14 mila le vittime documentate. Di queste nel canale di Sicilia siamo ormai a oltre 3500 dal ‘94 a oggi. E 3500 persone sono un dato sicuramente approssimato per difetto, perché si basa soltanto sulle notizie riportate dalla stampa – racconta Del Grande – C’è una quantità di naufragi fantasma dei quali non si sa niente, non si saprà mai niente. Recentemente a Il Cairo, in Egitto, la ong Land Centre for Human Rights ha rilasciato un rapporto in cui stima che soltanto nel 2008, soltanto fra i cittadini egiziani, ci siano state oltre mille vittime nel Mediterraneo in un anno. Negli ultimi anni il numero delle vittime sta aumentando.

In parte perché aumentano i flussi: in Sicilia nel 2008 è quasi raddoppiato il numero delle persone arrivate via mare. Ma soprattutto cambia il modo di viaggiare: sempre più spesso si viaggia su piccole imbarcazioni, su gommoni, su barche che non ce la possono fare ad attraversare il canale di Sicilia, sempre più spesso a guidare quelle imbarcazioni non sono uomini di mare ma sono gli stessi immigrati ai quali viene affidato il timone. Poi c’è l’ultimo punto, quello di aggirare i pattugliamenti. C’è una nuova rotta che parte della costa orientale libica e porta dritto a Siracusa anziché a Lampedusa, un viaggio più lungo per evitare i pattugliamenti e il rischio di essere rimpatriati in Libia. Viaggi più lunghi significa viaggi più pericolosi e potenzialmente più vittime».

Ci sono poi le vittime del deserto. Continua il responsabile di Fortress Europe: «Di questo si parla poco o niente ma in realtà si tratta dello stesso viaggio: a morire nella frontiera fra il Sudan e la Libia, in pieno deserto, sono le stesse persone che una volta arrivate in Libia si imbarcano per l’Italia. Sono i rifugiati somali che scappano dalla guerra civile in Somalia, sono i disertori dell’esercito eritreo che fuggono la dittatura cercando rifugio in Europa. Geograficamente, lungo la strada che percorrono non ci sono Stati sicuri: non il Sudan, non la Libia, non rimane che l’Italia, che è la porta di ingresso in Europa. Nel deserto – racconta Del Grande – sono viaggi molto lunghi, sui pickup o sui camion, alla mercé degli autisti che spesso abusano dei passeggeri, spesso chiedono di pagare un sovrapprezzo, spesso non esitano ad abbandonare in mezzo al deserto chi non ha i soldi per continuare il viaggio. Sono vittime anche di operazioni di rimpatrio. Spesso quando la polizia libica intercetta le persone al confine, che sia quello del Sudan o del Niger, queste vengono riaccompagnate al posto di frontiera in mezzo al deserto e lì abbandonate. Senza parlare del giro di corruzione che si viene a creare fra la polizia e gli autisti. Pensiamo a Kufra, città libica al confine con il Sudan, da dove passano gli eritrei, i somali, i sudanesi, dove spesso le persone fermate vengono arrestate e rivendute dalla polizia agli stessi autisti che poi li porteranno verso Tripoli. Queste persone vengono tenute sotto sequestro finché non sono in grado di pagare. Il deserto è la prima tappa di lunghi viaggi, che spesso durano anni. Per questo arrivano a Lampedusa donne con bambini piccoli: sono i figli di quei viaggi».