“Marnero”. Romania-Italia andata e ritorno
Elena Varvello 24 aprile 2007

Davvero, la signora ha gamba finta.
La gamba finta sembra vera, solo più dura, come pezzo di legno. Dice che ha faticato per trovare quella giusta, io non so come lei ha visto differenza, non so come si può faticare per trovare la gamba giusta, io ho tutte e due gambe. La signora mette e toglie la sua gamba, poi cammina con stampelle. Penso che forse lei può togliere stampelle, però non dico niente. Ho imparato a fare fatti miei. Lei cammina nella casa sempre buia, e quando lei cammina sembra un’ombra. Persino suoi capelli non hanno più colore. Anche io penso che sembro un’ombra, quando entro in quella casa, ho paura che divento un fantasma, perciò se lei non vede tiro su tapparelle. Primo giorno che ho incontrata, lei ha detto che una volta era normale. Aveva tutte e due le gambe. Donna giovane, una volta, donna buona da marito. Ma adesso non vuol sentir parlare di marito. Dice che ha avuto una specie di incidente, dice che il marito è andato addosso lei con macchina, che l’ha fatto apposta. Io penso che allora non è incidente. Dice che marito ha perso tutti i soldi al gioco, per questo voleva passare sopra lei con la macchina. Problema erano i soldi, come sempre. Aveva fabbrica che ha chiuso, fabbrica che faceva dolci. E’ stata lei ad aprire fabbrica al marito, ha detto, fabbrichetta, la chiama, tanto sacrificio, poi lui ha perso tutto ed è andato addosso a lei con macchina.

Lei non ci poteva credere, quando ha visto macchina venirle addosso, proprio lì, e mentre parla indica di fuori, oltre tapparelle, la strada. Dice che è stata ferma e ha visto occhi del marito in specchietto come si chiama, non penso che è possibile però lei dice che li ha visti proprio. Chiaro come luce del sole, dice. Dice che erano piccoli, neri neri, cosa più brutta che ricorda, più brutta ancora di quando macchina ha buttato lei per terra e fatto male. Quando mi dice quello, penso a rumore della macchina e a rumore di lei che cade, a sua gamba, ma più di tutto penso a dolci che vanno a male, quando chiude la fabbrica e nessuno si preoccupa di cosa farci, montagna di dolci alta fino al tetto, e sento subito una grande fame. Penso a dolci che mangiavo in Romania. Mia madre preparava la domenica. Le turte con la marmellata, le clatite, quelle fritte, e il dolce di Natale con uvetta e cioccolato che lei lasciava lievitare tre ore. E insieme vedo montagna di biscotti tutti molli dentro fabbrica vuota. Vedo pioggia che entra da finestre rotte della fabbrica e finisce su i biscotti. I biscotti diventano molli senza forma.

Fabbrica puzzava di burro, ha detto lei, anche i muri sapevano di burro, anche se io non credo che burro può puzzare. Anche il marito, quando tornava a casa puzzava di burro. Ora dice che il burro dà disgusto, ora mangia solo cose bollite. Carote, cavolfiori, rape, patate. Dice che è vecchia e che i vecchi mangiano così, cose bollite, e bisogna farci l’abitudine. Stomaco non è più quello di una volta. Come gamba, penso io. Non so che fine ha fatto lui, lei non dice niente. Immagino lui deve essere in prigione, perché ha fatto quella cosa alla signora, ma non ci penso tanto, a me non piace pensare a prigione. Se penso prigione penso a Romania, penso a tempi brutti.

Ho trovato una foto di lui chiusa in un cassetto. Uomo grasso, grandi baffi. Nella foto sembra che lui ha un po’ di zucchero sui baffi, che se li deve leccare con la lingua da momento all’altro. Sembra uomo a posto, simpatico, non immagini lui andare addosso a moglie con la macchina. Non immagini suoi occhi neri, piccoli piccoli. Ma non sai mai, la gente. E’ l’unica foto di marito che ho trovato, nessuna appesa al muro, o su mobili. Nessuna foto di bambini o altro. Niente parenti, dice lei, solo sorella, che ha farmacia, a Bergamo, non ha mai tempo per venire. Lei dice che Bergamo è città più brutta al mondo, una città che ha un sopra e un sotto, non ho capito come, e che solo lì poteva andare la sorella. Io cerco Bergamo sulla carta. A me piace nome Bergamo, non so perché ma mi fa venire in mente belle cose, cose rotonde.

Penso che lei odia il mondo intero dopo il fatto della macchina. Penso che lei è piena d’odio, e che in Italia ci sono persone come lei prese sotto da macchina del marito, e che non devo dire questa cosa a mia sorella, se no mia sorella, che già non vuole, non ci viene più in Italia. E che ci vengo a fare, può dire mia sorella se io le racconto storia di signora, ci tengo, io, alle mie gambe, gambe possono sempre servire. Mia sorella è attaccata alle cose. La signora dice che dopo l’incidente ha imparato l’uncinetto, e questa è stata unica cosa buona. L’ha imparato da compagna di stanza in ospedale. Mi ha fatto ripetere tante volte la parola fino a che ho imparato, uncinetto, uncinetto, a casa ho provato a scriverla su pezzo di carta. Mi sembra parola importante da sapere, parola che un giorno posso usare, se serve. Ha detto che se voglio lei insegna l’uncinetto, unica volta in cui ho visto lei sorridere, è stato quel giorno. Ha fatto belle tende, ha fatto coperte. Ha fatto anche cuffie per bambino, non so perché se poi lasciate lì. Forse ha nipoti, ma non dice mai. In tutti suoi cassetti c’è qualcosa. Penso che lei ha fatto per dimenticare occhi piccoli e neri del marito che la guardano in specchietto come si chiama.

Mi ha fatto lavare tutta la roba e mettere di nuovo nei cassetti. Mi ha detto che ordine è importante più di ogni cosa, quando non hai niente altro, e io questo capisco. Ha cinque servizi di piatti che sembrano appena usciti da una scatola. Nel suo armadio c’è pelliccia come di animale vecchio con pelo duro duro, brutto marrone, e borsette di serpente, spiega, e vestiti che penso lei non mette da quel giorno. Vestiti eleganti, che sanno di chiuso. Sembra di vivere come in museo, solo meno luce. Qualche volta apre l’armadio e guarda tutte quelle cose, passa la mano su pelliccia marrone brutto col pelo duro, su borsette di serpente, poi chiude, e cammina per la casa con stampelle e fa toc, toc, ogni volta che appoggia stampella per terra che sembra orologio. Il giorno che ho conosciuto, lei ha chiesto da dove vengo. Io le ho detto. Mi ha detto cosa cerca, e io ho detto che so fare tutto. Non ho detto che gamba finta mi faceva paura, mai visto prima cosa così. Visto di tutto, in Romania, ma non cosa così. Ora vado da lei e aiuto, tutti i giorni. Faccio meglio che posso. Credo che cosa più importante è che devo fare compagnia, anche se lei non parla. A volte penso che ha bisogno solo di altra ombra in giro per la casa. Non so se mi piace, questa cosa delle ombre. Troppo giovane, io, per questo.

Non vuole che apro le finestre, e però casa sua puzza di medicina. Niente odore di burro, solo medicina e detersivo. Candeggina. Io dico che la porto fuori, che fuori c’è un sole, fuori tutto giallo per il sole, e verde perché lei abita vicino a giardino pubblico, e casa sua ha giardino grande, c’è persino palma, non molto bella, con foglie secche. Ma anche suo giardino sembra senza gamba, come se manca un pezzo. Anche suo giardino è triste. Quando io dico che possiamo uscire lei fa finta di non sentire niente e si mette a girare per casa e dire di passare candeggina per terra. Dice che non riesce più a fare uncinetto come prima, dice che ha perso gli occhi, però dice che può insegnare a me. Fa quel sorriso, poi di nuovo guarda fuori da finestra. Chissà cosa vede, fuori da finestra. Mi sembra che la sua testa è buona, non dice parole senza senso, solo che pensa sempre a stesse cose.

Sta in cucina mentre io preparo pranzo, mangia, non dice mai se è buono. Questo un po’ dispiace. Qualche volta faccio piatto che conosco, lei non dice come trova, lo mangia e basta, anche se non è verdura bollita. Sembra che non vede nemmeno differenza. Fa rumore strano quando mangia col cucchiaio, come se fischia al contrario. Cerco di non guardare sua gamba, ma a volte vedo piede, è quasi del colore di legno chiaro. All’inizio non credo che ho coraggio di toccarlo, per fortuna quello lo fa lei. E’ regalo che ha lasciato lei marito, dice. Piede che non patisce il freddo, dice, con una faccia scura. Come gamba del tavolo. Lei che cammina per casa facendo strano rumore. Non è cosa da poco. Almeno lei non lo dimentica. Magari questo lui voleva, che lei non lo dimentica mai. Dicevo che ha chiesto dove vengo: il posto dove vengo è la campagna, ho detto. Il mio paese ha colore rosa solo su cartina. Posto dove vengo è chilometri di fango e terra scura. Ci sono tanti boschi. Piccolo paese, tutto di campagna. Città è lontana, se tu vuoi, ci vai col treno, ma tu impieghi molto tempo. Laggiù c’è la mia casa, e mentre io dicevo vedevo la mia casa come se ho davanti agli occhi. Vedevo proprio tutta la mia casa, e ci vedevo miei genitori, dentro.

Avevamo polli e mucca, una, testa dura. Mucca è ancora viva. Mio padre ancora porta lei sul campo. Mio padre e mucca hanno la stessa età, dice lui, e parlano per ore, mucca parla con mio padre più di quello che fa lui con mia madre stessa. Mia madre, lei non parla con la mucca. Lei dice che non è civile. Lei viene da famiglia buona, da città, suo padre le leggeva i libri, non era contadino. Non so perché lei sposato mio padre, non so dove ha incontrato, lei non racconta mai. Dice che ha fatto sbaglio più grande di sua vita. Però dice che Romania, una volta, era bel posto, tutto verde. Gente era felice. Sembra che lei ha ricordi di cento anni fa. Mio padre dice che sono cose inutili. Mio padre la chiama signorina come se prende in giro. La chiama signorina e signorina questo no. Una volta miei genitori lavoravano nei campi, adesso anche lavorano nei campi, infine non c’è nessuna differenza. Unica differenza è che loro adesso sono vecchi e noi figli quasi tutti andati per il mondo. Ma campo è sempre campo. Terra è sempre terra. Mucca è sempre mucca.

Però adesso hanno pensione, e noi figli mandiamo loro i soldi. Loro mettono da parte per costruire il pavimento. Il pavimento è importante, a mio paese pochi hanno casa col pavimento. In Italia non si capisce cosa vuol dire avere pavimento, in Italia è normale, nessuno ci fa caso. Per ora loro niente pavimento, solo terra. Terra fuori e terra dentro. Mio padre ha coperto la terra con le assi. Problema è quando piove, e piove sempre. Quando piove acqua entra in casa, nessuna differenza fra dentro e fuori. Tu non puoi portare ciabatte, in casa, solo scarpe pesanti. In mio paese ci sono sempre piogge, fiumi escono da letto e camminano su terra. In cucina ci sono pozzanghere. Mia madre dice che sue gambe fanno male per umidità. E poi c’è neve. In mio paese non nevica normale, come qui, in mio paese nevica di più. Neve sale fino al tetto, nel paese dove vengo. Tu devi uscire da finestra sopra il tetto e camminare sulla neve, se tu guardi intorno tu non vedi case, solo tetti.

Problema quando nevica è la mucca. La mucca non piace neve, la mucca odia, tu devi trascinarla per la corda, ma quella non ci sente, come se neve ha congelato orecchie, come tappo, la mucca pensa che neve è dispetto personale, anche l’acqua è dispetto personale. Mio padre parla lei per convincere che la neve è cosa di natura, neve e mucca sono uguali cose di natura, ma mucca non sa niente di natura, non interessa, sembra cosa più lontana che c’è dalla natura, mucca vuole fare solo strada per il campo con aria da signora e mio padre sul carretto. Mucca vuole che gli altri vedono lei andare in giro. Io penso che la mucca è molto vanitosa. Penso che è lei la signorina questo no.

Una volta mio padre è caduto dal carretto e mucca ha camminato sopra lui, lui dice in segno di rispetto, dice che voleva coprire lui dal freddo, io dico che mucca voleva uccidere te, ha camminato sopra te con suoi zoccoli, tu adesso uccidi lei per forza. Mio padre è stato in ospedale. In città. In letto con un altro. Due per letto è normale, là da noi, tanto gente dorme sul fianco e non dà fastidio e si tiene più calda. In ospedale, mio padre disperato per la mucca, ha paura che noi vendiamo quando lui è in ospedale, chiede di parlare con mucca tutti i giorni. Prende mio cellulare e agita forte, anche se non sa come usare, col braccio dà un colpo a quello che sta con lui nel letto, che ha braccio rotto, butta giù lui e quello cade, io penso che lui è morto, o che almeno si è rotto altro braccio, io poi devo portare frutta e altre cose al dottore se no lui caccia mio padre a calci perché dice è senza disciplina. Dice che è contadino senza cultura, gli guarda mani rovinate da terra e scuote sua testa pelata.

Per spostare mio padre in letto singolo devo pagare – altra frutta, cioccolato, sigarette. Dottore fuma come turco. Anche soldi non dispiace. Allora mio padre ha un letto nuovo e per un po’ non pensa a mucca, pensa a suo letto nuovo. Io ogni giorno però porto lui il latte, lui crede che è della mucca e sta tranquillo, ma il latte viene da negozio, perché mucca non fa più latte, mia madre dice che è diventata avida, e che mucca avida non serve a nessuno. Ogni tanto lui beve sorso di latte poi alza testa fasciata e guarda me, alza sopracciglio, lui sospetta. Dice, senza gusto. Io dico che mucca è triste perché lui in ospedale, fa latte come acqua, e allora di nuovo lui si preoccupa per mucca e inizia da capo. Dice che mucca è triste perché lui non c’è. Ma mucca è triste perché lei sa che mia madre vuole vendere a macellaio. Lei sa fra poco qualcuno mangia lei. Questo pensiero non è bello per nessuno, nemmeno per mucca. Mia madre non viene a trovare papà, dice che aspetta compagnia telefonica da un momento all’altro, non può uscire di casa. Loro non hanno telefono. Io detto che penso io, faccio mettere io perché il telefono è importante, con tutti figli in giro per mondo. Mia madre ha detto, va be’, se pensi tu, ma compagnia del telefono non dice quando viene, compagnia del telefono piace la sorpresa, e mia madre aspetta sempre con vestito buono addosso. Dice che se loro non trovano nessuno poi si arrabbiano e non tornano più. Dice che non è come in Italia. Per questo non va all’ospedale, non ha tempo. Tanto dice, tuo padre o vive o muore, e sembra che questa volta vive. Mio padre non chiede di lei, non si offende, credo che lui non si ricorda della mamma. Lui ha battuto testa e dimenticato. Ma di mamma si è sempre ricordato poco. Credo che lui e mamma dicono una parola all’anno, una sola. E quella parola è, mucca.

Fatto della mucca succede mentre noi in vacanza a casa. Noi che veniamo qui da lontano siamo unici che vanno in vacanza a casa loro, la gente quando va in vacanza va da altra parte, vede casa come peste. Noi invece viaggiamo sempre indietro. Abbiamo comprato macchina nuova usata. Volvo. Per Stefan, che è mio marito, macchina è cosa di vita o morte. Non puoi toccargli macchina nemmeno con un dito. Quando piove forte, rimane a guardare macchina dalla finestra con faccia storta, dato che casa nostra è a piano terra. Ha comprato macchina solo per far vedere a casa. Lui torna in Romania con macchina, anche se costa più di treno, perché lui vuole fare giro per paese e far vedere sua macchina a chi è rimasto, e mentre andiamo per tutti quei chilometri io penso, tutta questa strada per un giro per paese? Io arrabbio fortissimo a pensare al giro per paese, giro per paese dura dieci minuti perché paese è piccolo e strade di terra sporcano la macchina e poi Stefan diventa arrabbiato e noi attraversiamo tutta l’Europa per quello?

Stefan voleva fare foto a macchina da mandare a sua famiglia, che è fatta di sua madre e sorelle si sua madre, e meno male che noi non abbiamo macchina per foto. A me sembra solo cosa stupida, fare foto alla macchina, ma lui dice che sono donna e perciò non capisco. Voleva tutti in posa davanti a macchina. Lui me e la bambina. Abbiamo bambina che si chiama Alexandra, come sua madre. Voleva chiedere in prestito a qualcuno macchina per foto. Lui chiesto a un collega di lavoro, Licu, hai macchina da foto? Licu non dice parola da almeno un anno. Mai sentito lui dire niente. Forse si parla dentro, come me qualche volta. Tanti di noi che abbiamo lasciato casa, io penso, parlano loro dentro, visto che non sanno con chi parlare fuori. Licu ha guardato mio marito e ha detto una parola. Una sola. Ha detto, eh?, con la faccia che voleva dire, ma ti sembra che io ho?, poi ha ripreso a lavorare. Niente macchina da foto, niente foto. Ma Licu è bravissimo a fare caffé. Nel cantiere dove lavorano Licu fa caffé per tutti, anche impresario. L’impresario dice che caffé di rumeno è vero caffé italiano, meglio di tutti gli altri. Però, Licu non ha macchina da foto.

Quando partiamo per tornare noi carichiamo macchina così tanto che sembra senza ruote tanto diventa bassa. E’ come tappeto. Mio marito guida e pensa sempre a giro per paese, io vedo lui che sta come sospeso in quel pensiero. Io parlo, lui non risponde. Io dico che la bambina non è sua figlia, che è figlia del primo che passava, che è figlia di Licu, ma lui non risponde, lui sta già in paese con testa. Poi, quando arriva e fa giro, lui allora dice che qui non cambia mai niente, che schifo, meglio andare via subito, e io allora dico, eh no, tutta Europa al contrario, subito, no. Europa per gente come noi è passeggiata. Piccola come carta geografica. Europa per noi non ha segreti, noi la sappiamo a memoria. Ma non ha tutti colori che tu vedi sulla carta. Noi Europa la vediamo da basso, noi vediamo colori di strade e città, noi vediamo villaggi e distese di campagna, noi vediamo posti senza persone. Noi vediamo macchine abbandonate, gente su carretto, noi vediamo tutte cose che succedono in Europa un po’ per volta.

In Italia siamo arrivati in treno. Stefan ha dormito in treno per notti intere, si spostava da carrozza ad altra col sacchetto della sua roba, perché sua roba stava tutta in sacchetto. Diceva che sognava il treno che partiva, e che lui si svegliava senza sapere dov’era arrivato, paura di essere tornato in Romania, paura di non potere più tornare in Romania, tutto insieme. Di notte guardie lo tiravano dal treno, lui aspettava un po’ poi risaliva. Dice che guardie non erano cattive come sembra. Qualcuna offriva lui sigarette. Sul treno trovato altri come lui. E’ stato in vagone con ragazzo che si chiamava Fabian, diceva di venire da paese vicino nostro. Hanno parlato di quello ogni notte, mi ha scritto in lettera. Hanno trovato amici comuni. Ha detto che Fabian piangeva quando diceva nomi di persone che conosce a suo paese. Bastava dire nome e lui subito piangeva come bambino e venivano occhi tutti rossi.

Poi mio marito trovato lavoro nel cantiere e trovato casa, due stanze con frigo e fornello, e allora io venuta con Alexandra. Noi abbiamo fatto cosa che si chiama ricongiungimento. Alexandra aveva tre anni. Lei parlava rumeno, prima, ora no, ora solo italiano. Quando parlo rumeno lei chiede perché parlo lingua straniera, lingua che non capisce. Lei non vuole mai tornare in Romania, dice che puzza. Colpa delle mucche. Lei dice che vuole andare in Liguria, come altri bambini di sua classe. Ad Alassio, dice, a Varazze. Lei vuole andare a Gardaland. Vuole cappello di Prezzemolo. Io non capisco bene chi è, questo Prezzemolo. Io, di prezzemolo, conosco solo la pianta. Io vedo mia terra in modo strano però manca. Solo che in mia terra c’è niente. La parola niente uno la dice così, per dire, però non sa davvero che significa. Io invece lo so. Noi lo sappiamo. Niente vuol dire quella cosa che sappiamo solo noi.
Io quando penso al niente che so io a volte piango.

Allora, faccio pulizie da signora senza gamba. Cioè, con gamba finta. E faccio lei compagnia. Trovato lavoro grazie a parente di amico di cugino di parente. Io conosco nessuno di questi. Qui. lontano da casa, sembra che siamo tutti parenti ma nessuno conosce bene. In Romania facevo sarta in casa, come mia sorella. Facevo bei vestiti per matrimoni. La cosa che più mi dispiaceva era che bordo dei vestiti sempre finiva nero per il fango, come se tutto il paese ci è passato sopra con le scarpe e col carro. Qui sembra che nessuna donna sa cucire. Qui c’è negozio che cuce per te anche bottone. Gente pensa che io invidio, no, a me invece fa pena, persone non sa far niente da sole. Anche se signora faceva l’uncinetto. Anna, mia sorella sarta, è rimasta in Romania, lei dice che non ha coraggio di partire. Io dico che lei matta, laggiù non c’è più niente. Lei dice che c’è quello che serve, e che è meglio niente che conosci a cosa che non conosci, ma per me questo è inizio della fine. Altri miei fratelli pensano così, come me, loro anche partiti, uno dopo l’altro. A mio padre rimane mucca e casa senza pavimento, ma lui non può partire, lui muore se lascia sua casa. E mia madre non può partire perché aspetta quelli del telefono e aspetta che mio padre fa pavimento.

Io non sono triste per il fatto che ho lasciato Romania, solo qualche volta piango, ma poi troppo lavoro non lascia tempo, e poi io fortunata, perché avevo già marito e lui pensato a tutto, altre donne fatto brutta fine, non voglio pensare perché se no mi arrabbio e poi viene male dappertutto. Signora italiana senza gamba invece è triste. Lei ha capelli azzurri, viene parrucchiera a casa per fare a lei il colore. Credo che parrucchiera sbaglia colore perché casa è troppo buia e neon vede. Unica cosa che succede in quella casa è quando viene parrucchiera. Qualche volta porto Alexandra insieme a me perché non so dove lasciare e quando lei vede colore dei capelli, guarda fissa e dice che quando è grande vuole la stessa cosa. Forse allora è meglio che non porto più con me. Qualche volta signora si addormenta senza sua gamba. Cioè, mette gamba finta sulla sedia dove c’è letto. Io allora cammino per casa come un gatto, io faccio nessun rumore, sollevo soprammobili e passo straccio, poi rimetto tutto a posto. Faccio attenzione che ogni cosa sta al suo posto, così lei può guardare la sua casa e per un poco pensare che ha fatto lei, che è stata lei che ha tolto polvere, lei che ha lucidato i mobili. Voglio che pensa che l’ha fatto anche se sa che non l’ha fatto. Faccio così quando vedo lei dormire e sua gamba finta appoggiata sulla sedia. Sua gamba sembra triste. Sotto coperte io vedo gamba lunga e gamba corta, come se parte di lei è ancora piccola, non è cresciuta, bambina. Penso a lei che vede sempre suo marito che va addosso con la macchina. Sono sicura che lei vede lui nei sogni. Nei sogni lei sempre vede suoi occhi cattivi e cade per terra.

Stefan dice che è stupido, non è compito mio, non è parte del lavoro. Ma cosa sa, lui. Fa cemento tutto il giorno, gira e gira macchina del cemento, fuma sigarette, sabato porta sua macchina a lavare fino a che luccica, parla poco e qualche volta penso che lui beve, perché torna da cantiere con una faccia strana e guance tutte rosse, lui dice per il sole. Secondo lui, c’è sole che brucia pelle anche in inverno. Secondo lui, io non capisco. Però quando parla che ha bevuto non mi guarda in faccia, come se non vuole che sento odore del vino che esce dalla bocca. Così parla con la faccia di traverso. Io, di mio marito, sembra che conosco più di lato che davanti. Lui dice che signora ha bella casa con giardino e persona che l’aiuta, cosa vuole ancora, pensa a tua famiglia, dice lui, che nemmeno ha pavimento, pensa a mia famiglia, dice lui, mio padre morto, mia madre senza soldi, noi tutti lontani, ma io penso a dolci della fabbrica da buttare, e sento che signora è stata sfortunata, e anche se ha bella casa lei però deve togliere e mettere sua gamba mentre io ho le gambe buone, e mio marito non è passato su di me con macchina. Forse perché ha paura che macchina si guasta. Però non ha mai fatto.

Un giorno dico a lei del mare. Lei è seduta e guarda fuori da finestra, credo che pensa di nuovo a suo marito, quando era giovane. In Romania, dico, c’è il Mar Nero. Mia figlia pensa che è parola sola, lei dice veloce veloce e attaccato. Marnero. Sembra cognome strano di qualcuno. Il signor Marnero. Io ho scritto per lei, ma lei dice che mi sbaglio, che così non sta bene, e fa paura. Io allora ho fatto vedere la cartina, e lei ha detto che anche quella è sbagliata. Mia figlia parla solo italiano ma ne vuole sapere più di me su Romania. Forse bambini italiani così fanno. Vogliono sapere tutto loro. Vogliono sapere tutto e andare dappertutto. Comunque, io quando bambina penso sempre alle parole mare nero, mi chiedo se nero come terra di campagna che conosco bene, mi chiedo se è duro come terra. Per questo a me non fa paura, perché so bene com’è la terra. Noi non avevamo televisione, allora, e anche adesso miei genitori non hanno, per questo io dovevo immaginare. Immaginavo di tuffarmi dentro terra, immaginavo di muovere le braccia e fare gran fatica. Immaginavo acqua che odora come terra.

Io mai andata a Mar Nero fin quando arrivo qui in Italia. So che sembra strano. Quando sono qui mettiamo insieme un po’ di soldi e facciamo piccolo viaggio a Mar Nero mentre siamo in Romania d’estate. Io dico a lei di spiaggia, io dico che ci sono tanti alberghi nuovi, alberghi per ricchi, nessuno crederebbe, e tanta gente su la spiaggia, come in film a la tv. Io penso che Romania sta facendo qualcosa buono, penso che un giorno sarà di nuovo bello e tanto lavoro per tutti e allora noi torniamo, anche se mia bambina ha detto già che lei non torna mai, lei resta in Italia, va a vivere a casa di amichetta, e allora penso che ci dobbiamo separare e che non so se sopporto un’altra separazione e che è meglio non pensarci tanto Romania di sicuro non cambia e noi non torniamo più. Sul Mar Nero di notte luci degli alberghi illuminano tutto mio paese. Io sento felice. Bambina corre su lungomare illuminato con gelato in mano gridando parole in italiano, ma a me non mi dispiace, per una volta sento che va bene, non offendo. Anche io dico qualcosa in italiano, parole strane che ho imparato, parole che nessuno lì può capire, io faccio da turista. Noi diventiamo turisti a casa nostra. Penso che tutti su lungomare guardano e capiscono che abbiamo fatto cose buone, in qualche posto che non è quello, non qui. Magari pensano che abbiamo fatto un po’ fortuna. Mio marito guarda me e dice niente, però ride. Forse per una volta noi pensiamo stessa cosa in stesso tempo. Devo segnare questo sul calendario.

Camminando su lungomare, troviamo ristorante che si chiama Dolce Vita. Ci fermiamo a guardarlo come se vediamo cosa conosciuta che non aspettiamo di vedere, poi andiamo avanti. Mar Nero è azzurro come altri, dico alla signora, però di notte sembra nero veramente. Quando sono lì, compro cartoline da mandare a miei fratelli in giro per Europa. Io come turista a casa mia in posto che miei fratelli che sono in giro per Europa mai hanno visto. Sembra che la signora non sente me, ma quando dico di luci degli alberghi che illuminano tutto lei smette di guardare la finestra e guarda me per bene. Lei dice me che ha un sogno. Io poso pentola nel lavandino e ascolto. Lei dice di aspettare un attimo e va in sua camera piano piano facendo quel rumore che fa quando cammina, toc, toc, poi torna con libretto, dice si chiama opuscolo, e fa vedere.

Sopra è scritto VILLAGGIO AZZURRO e sotto c’è altro nome, ANNI FELICI S.p.A. Non ho chiesto cosa vuol dire s.p.a. Sotto c’è immagine di strada fra gli alberi con case basse colorate, tutte uguali. Immagine sembra un po’ come se c’è nebbia. Lei apre opuscolo, accarezza bene con le mani e fa vedere. Dentro c’è altre foto. Nelle foto, ci sono vecchi ben vestiti seduti in bel giardino con erba bassa, sembra che parlano e divertono, poi due vecchi in poltrona in una casa insieme a un cane che dorme a loro piedi, cane bello pure lui, cane più felice che tu puoi immaginare, poi vecchi che fanno la ginnastica su tappeti e nuotano in piscina con grandi cappelli di gomma colorata, attaccati con le mani a salvagenti, poi vecchi che prendono fiori da giardino, mai visto fiori così grandi, grandi che sembrano finti, e vecchio che taglia erba mentre fa sorriso e vecchi che leggono libri e che mangiano in ristorante con tovaglie bianche che fanno male a occhi e tanti bicchieri a ogni posto. Tutti guardano macchina di foto. Sembra che ti dicono com’è bello lì da loro, che ci devi andare pure tu. Come se non pensano nemmeno che potrebbero essere da altra parte, con figli, per esempio, con nipoti, in casa loro. Non vedo giovani. Ci sono solo vecchi. E un cane.

Lei legge per me parole scritte. Parole che ripete quando legge sono SALUTE e FELICITA’. Altra parola che lei però deve spiegare è BENESSERE. Non è posto dove gente va a morire, dice, non quello. E’ posto dove vai a vivere meglio. Tu prendi casa là, ci puoi portare tutte le tue cose, tuoi ricordi, tuoi vestiti, dice, e io penso che lei può portare tende fatte all’uncinetto da mettere a finestre e le coperte e la pelliccia di pelo duro e le borse di serpente e magari perfino foto di marito, quella con baffi sporchi di zucchero, dove lui sembra buono, perché magari se lei va lì lei alla fine può perdonare. Lei dice che in VILLAGGIO AZZURRO tu hai casa tutta tua, non camera, come in ospedale. Dice che è idea molto moderna, non ci sono molti posti come quello. Di certo non in Romania, per come so io, però questo non lo dico, non voglio che lei pensa che Romania è solo paese di mucche e di fango e di case senza pavimento. Poi lei indica foto di piscina, ci passa sopra dito. Ci mettiamo vicine vicine a guardare, tanto vicine che io sento odore di lei, odore di sapone e candeggina e verdura bollita. Guardiamo bene foto di piscina e vecchi che nuotano nell’acqua. Guardiamo così tanto che quasi posso sentire rumore dell’acqua, e l’odore dell’acqua di piscina, odore che brucia gli occhi. Pelle dei vecchi è bianca in modo che tu non credi mai esiste. Lei dice che non è proprio come mare però guarda foto con bel sorriso su le labbra, come quando io parlavo di Mar Nero. Adesso io sicura che lei non pensa a suo marito e a la sua gamba, adesso credo che più di tutto vuole mettere sua gamba che rimane dentro l’acqua di piscina e lasciare galleggiare sé attaccata al salvagente. Allora lei forse può dimenticare gamba finta e il resto che è successo. Allora lei forse può essere felice un po’.

Perché io credo che lei ancora vuole essere felice anche con tutto quello che è successo. Anche a sua età. In questo non vedo differenza con me. Credo che in questo siamo uguali, tutte le persone. Anche io volevo nuotare in Mar Nero, anche io pensavo che volevo lasciare me andare dentro l’acqua. Solo che io avevo tutte le mie gambe. E poi non ho capelli azzurri, io, per il momento. Di questa cosa del villaggio non dico niente a mio marito. Lui torna da cantiere mezzo morto, cosa vuoi che importa. Lui lavora tutto giorno. Noi abbiamo casa di due stanze e quando bambina dorme dobbiamo stare chiusi in cucina, se non vogliamo svegliare e in cucina c’è odore di mangiare e lui dice che gli viene male a sentire sempre stesso odore. Dice parole brutte su nostra casa, parole che non posso dire qui.

Lui dice che Licu ha passato fine settimana a bere vino, è arrivato tardi a lavoro con occhi tutti rossi e impresario ha detto che lui lo manda via se ancora arriva tardi un’altra volta, non importa se è buono con caffé. Mio marito gli dispiace, dice che Licu beve troppo e piange per sua moglie che non vuole sentire di venire in Italia. Licu dice che sua bambina cresce cresce e se lui non vede, lei non riconosce più, allora cosa serve stare qui? Mio marito mette testa fra le mani, credo che anche lui bevuto, a volte sembra che guarda indietro fino a punto che non vede più e non sa bene cosa fare. Torna a casa tutto bianco per polvere di cemento. Lava lava e sembra che niente viene via. La polvere è attaccata addosso come pelle. Porta quella polvere nel letto, e porta anche odore di cemento, perché cemento ha odore, prima non sapevo, quando stavo a mio paese, nessuno sa cosa come questa, quando è giovane, e poi io devo lavare le lenzuola. Mio marito ha trent’anni e sembra che ne ha quasi cento. Io non voglio sapere quanti anni sembra che ho. A volte non guardo nemmeno me allo specchio, per paura. A volte lui dice che sogna ancora il treno, sogna che sta su treno che non si ferma mai, gira gira senza fermare, e lui non può più scendere. Io penso che è perché questa vita non gli piace, a lui manca più di tutto Romania.

Ma a tutti noi manca qualcosa.
A signora dove vado manca gamba.
Mio marito manca Romania.
Me manca la spiaggia di Mar Nero con tutte le sue luci, io non credo che ci torno tanto presto perché costa molti soldi e io devo rifare tutti i denti e anche mio marito, e bambina deve avere vestiti e andare in buona scuola e deve viaggio ad Alassio, a Varazze. Mio padre un giorno mancherà la mucca, quando mucca finisce a pezzi su banco del negozio. Forse quel giorno mio padre non torna più dal campo e nessuno sa dove finito e magari a quel punto pure mia madre cerca lui. Mia madre continua a mancare pavimento. Loro non hanno ancora fatto, però lei sempre aspetta. E un giorno a lei manca mio padre, quando lui sparisce dentro il campo e nessuno trova più. E così credo che tutti vogliono qualcosa. Signora vuole andare in posto che mi ha fatto vedere. VILLAGGIO AZZURRO. Opuscolo era tutto consumato, come se lei ogni sera legge e impara cose con memoria, però ancora non è andata, e meno male, se no io senza lavoro. Ma magari un giorno io devo accompagnare lei, se lei mi chiede, prendiamo il treno e quel giorno vedo tutti i vecchi delle foto e il cane e la sala ristorante e piscina con vecchi che nuotano, più di tutto, come se io già conosco loro, uno per uno, allora penso che sarò felice per lei e triste per via che devo trovare lavoro nuovo. Però aiuterò lei a mettere costume e a scivolare dentro l’acqua. Penso che a lei fa piacere se la guardo per un po’ prima di andare via, prima di riprendere quel treno.

Tutti vogliono qualcosa.
Mio marito vuole tornare in Romania.
Licu vuole sua moglie e figlia venire qui in Italia, perché ha paura che lui rimane solo con il suo caffé, con le sue parole nella testa. Mia figlia vuole pupazzo che non so. Vuole vedere la Liguria. Vuole andare a Gardaland e dormire in albergo come castello. Io voglio stare in posto che non è lì e non è qui, io voglio stare dentro l’acqua a guardare luci colorate che illuminano terra fin dove io non posso più vedere, da una parte c’è l’Italia dall’altra Romania e io nel mezzo che nuoto dentro l’acqua, senza fermarmi mai in nessun posto. Quando penso questo, rimango ferma un attimo, il respiro manca, poi rimetto a lavorare e non ci penso più. Però stamattina, per la prima volta, io ho toccato gamba di signora, mentre lei sdraiata a riposare al buio. Mai fatto fino adesso, non so cosa mi è preso. Sono entrata in camera mentre riposa, lei non ha sentito perché, dicevo, io, se voglio, mi muovo come gatto. Ho passato la mia mano lungo gamba fino a dita del piede, che sono come dita di piede di una bambola, attaccate una ad altra. Poi ho sollevato gamba e ho preso, facendo piano che lei non sente, muovendomi nel buio di sua camera, ho portato con me in cucina, tenendo sotto il braccio, come ombrello, come borsa della spesa, e ho messo sulla tavola. Non so proprio perché l’ho fatto.

Siamo state così, io e la gamba.
Fuori è passata macchina con musica forte che usciva dal di dentro. Sempre passano le macchine, sempre la stessa musica, a me sembra. Toc, toc, toc.
Ho sperato che non la sveglia. Non è svegliata.
Ho guardato gamba per un po’, pensato che potevo metterci sopra qualcosa come prodotto per il tavolo, qualcosa come cera, così la facevo tutta lucida lucida e protetta dalla pioggia, nel caso che noi usciamo quando piove, un giorno o l’altro, perché non l’ho persa la speranza che lei si stufa a fare l’ombra, un giorno o l’altro, e che così le piaceva di più sua gamba, tutta lucida e protetta, poi ho pensato di no, che lei non faceva mai, e che magari si offende se scopre che ho preso la sua gamba come ombrello, senza dirlo, e ho portato in giro per la casa e lucidato e ci ho passato cera sopra, allora ho messo testa fra le braccia sulla tavola per riposare un poco e mi devo essere addormentata, devo essere molto stanca, a quel punto, perché su tavola in quel momento vedo che arriva l’acqua e non penso che devo asciugare, come faccio quando sono sveglia, che mi alzo in fretta per prendere straccio da pulire, o spugna, io rimango ferma, e acqua è sempre di più e tutta nera, nera che però non fa paura, corre sopra al tavolo fino a gamba e bagna tutta, e dita di quel piede finto non sono più attaccate una ad altra, si muovono invece un poco come se al piede piace l’acqua nera, non come la mucca di mio padre che non piace l’acqua, tutte le dita muovono un poco, poi la gamba scivola via con l’acqua fuori dalla tavola come se quella la porta con lei, e anche io adesso sono fuori da cucina, fuori da casa delle ombre, lontano dal giardino con palma secca, sono dentro l’acqua di Mar Nero con gamba vicina a me e gamba galleggia col piede in su, io e lei vicine come se parliamo, poi arriva un’onda e io vedo gamba che va lontano, lontano, sempre più lontano, mentre luci sembra che stanno proprio sopra il mare, il piede fuori dall’acqua come una mano che saluta, dita del piede come dita della mano, e allora anche io saluto, saluto, saluto.

Poi vedo Stefan e Alexandra, anche loro nuotano in Mar Nero, e c’è mio padre e madre e anche la mucca con cappello da signora, con cappello da signorina questo no, il cappello buono di mia madre, e borsa dura di serpente, tutti vengono vicino e siamo insieme, anche Licu con sua moglie e figlia, sua figlia sembra mia bambina e stringe mano di sua madre e padre, e io sono contenta che sono tutti lì con me, non mi sembra cosa strana, e mi giro ancora un attimo e vedo gamba sempre più lontana, più lontana, piccola come puntino, come luce sulla spiaggia, e la saluto con mano finché non vedo più, vedo solo acqua intorno, solo acqua, e tutti quelli che conosco e che voglio bene, e prima di svegliarmi faccio bel sorriso a tutti quanti e dopo metto la testa sotto l’acqua e non ci penso più.

“Marnero” è uno dei testi che sono stati scelti per essere recitati all’Eliseo Café di Roma (Via Nazionale 183) nell’ambito della manifestazione Melting Plot. Cinque giovani scrittori diplomati alla Scuola Holden di Torino fondata da Alessandro Baricco hanno letto dei propri racconti inediti su luoghi, volti, e storie di emmigrati (un ibrido tra immigrazione e emigrazione). Le cinque serate di Melting Plot, a cura di Alessandra Minervini, hanno messo in scena storie che capovolgono, con l’ironia, la distanza culturale che convenzionalmente interviene quando metti nello stesso luogo persone che parlano una lingua diversa.