L’India e le sue religioni raccontate da Bollywood
Maria Grazia Falà 11 febbraio 2015

Per molti, anche in India, dire India è un po’ come dire induismo, visto non solo come religione, ma come modo di vita e pratica culturale, sociale e politica, per cui è difficile dire dove finisce la cultura e dove inizia la religione. Nei film hindi post-1991 esso è rappresentato come induismo dell’India settentrionale e di casta alta, per cui alcune pratiche religiose, castali o regionali, vengono standardizzate come pan-hindu. Nel tardo XX secolo si assiste poi alla nascita del fondamentalismo e del nazionalismo religioso, per cui la religione diviene strettamente correlata con la politica con l’ascesa al potere del BJP (Bharatiya Janata Party). In generale, nel cinema, sembrano non esserci comunque tracce di fondamentalismo indù, forse per ragioni di mercato, forse per autocensura, forse per il tradizionale secolarismo delle maestranze che lavorano a Bollywood.

Ma nella società indiana non possono non assumere un ruolo preponderante anche i musulmani, rappresentati a loro volta più come un gruppo politico che religioso. Anche qui, tuttavia, il discorso è articolato. Il comportamento religioso è visto in generale come una norma che unisce le persone in quanto i rituali domestici sono parte della vita quotidiana. In Jodhaa Akbar (La sposa dell’imperatore), del 2008 (regista, Ashutosh Gowariker), l’adorazione di Krishna da parte di Jodhaa, la sposa dell’imperatore Moghul Akbar, islamico e vissuto nel XVI secolo, dimostra la tolleranza di quest’ultimo nei confronti l’induismo, e la coppia regale si comporta come una normale coppia della middle class.

Tuttavia la minoranza musulmana ha più rappresentazioni. Il film devozionale e mitologico hindi sta scomparendo, mentre i due grandi poemi epici indiani, il Mahabharata e il Ramayana, hanno visto negli anni Ottanta solo trasposizioni televisive ma sono rimasti fonte di ispirazione, in film più recenti, nel raccontare le relazioni familiari e politiche. Invece, il cosiddetto Islamicate film (film “islamicizzato”), cioè quello che tratteggia la vita sociale e culturale – più che quella religiosa – dei musulmani indiani, è tuttora vivo. I sottogeneri tipici dei primi anni del cinema indiano – lo stile da Mille e una notte, il film storico, quello devozionale, quello che racconta della vita delle cortigiane, permangono anche dopo gli anni Novanta. Questi, anche se poco numerosi e spesso confinati in circuiti di serie B, comprendono anche film ad alto budget (unico grande film storico sull’Islam in India è però Jodhaa Akbar). Molti elementi hanno cambiato però valenza dopo la liberalizzazione: un esempio è offerto dal velo, oggi il capo d’abbigliamento più associato con l’Islam. Mentre nel passato era usato come elemento romantico, per scambi di persona o per travestimenti, in alcuni film contemporanei, come Kurbaan (Sacrificio), del 2009 (regista, Rensil D’Silva), è utilizzato per descrivere un Islam sinistro, oppressivo. Allo stesso modo oggi barbe e berretti sono un segno di fanatismo, mentre nei film delle epoche precedenti indicavano semplicemente l’essere musulmano.

I film ambientati nella società islamica contemporanea non compaiono nella mainstream, ma nella tradizione dei film realisti, come nella trilogia di Shyam Benegal Mammo (1994), Sardari Begum (1996) e Zubeidaa (2001).

In ogni caso i confini tra comunità religiose, al di là di quanto siano in contatto l’una con l’altra, rimangono netti, e il cinema può solo porre soluzioni emotive al problema. Per fare un esempio, i matrimoni “misti” sono ancora un tabù, a meno che uno dei partner non sia un Cristiano. Ci sono film che condannano le rivolte intercomunali come momenti di follia collettiva, ma non mancano opere di segno opposto. Sempre per ciò che concerne i musulmani nelle ultime due decadi è emerso un nuovo tipo di Islamicate film, che rappresenta i musulmani come terroristi o nemici dello stato, anche se spesso questi sono anche vittime di tale situazione. In quest’ambito l’11 Settembre ha giocato un ruolo chiave. Nel 2009 e nel 2010 tre film ad alto budget hanno sollevato la questione del terrorismo: Kurbaan, New York (2009, regista Kabir Khan) e My Name Is Khan (2010, regista Karan Johar).

Nel primo una giovane hindu sposa un islamico, si trasferisce a New York con lui per insegnare insieme all’università per poi scoprire che questo è un terrorista afghano, che ha perso la sua precedente famiglia a causa della guerra, e che la risparmia in un attacco suicida solo perché è incinta. New York invece denuncia le conseguenze nefaste del clima e degli episodi di ‘brutalità’ nei confronti dei musulmani nell’onda lunga della guerra statunitense al terrore. In questo film una ragazza, sempre hindu, scopre che suo marito islamico appartiene a una cellula dormiente e che tiene una doppia vita dopo essere stato ingiustamente detenuto e torturato in un carcere USA. Infine, nel film più famoso, My Name Is Khan, Rizwan, un giovane musulmano autistico, sposa una hindu, ma il suo figliastro viene brutalmente ucciso da coetanei americani solo perché il patrigno è islamico.

Le location negli Stati Uniti per questi film sono significative, perché raccontano l’islamofobia in un modo differente dal sentimento anti-musulmano in India. È come se nei film mainstream post-1991 i problemi relativi ai musulmani indiani non potessero essere discussi nel contesto indiano senza sollevare sentimenti comunitari e quindi l’azione si debba spostare all’estero. Si solleva così la questione di un sentimento anti-musulmano generalizzato, che mostra l’Islam come una forza globale, spesso associata al fanatismo, che forma una comunità senza patria. Solo in alcuni film hindi mainstream degli ultimi anni si cominciano a vedere i musulmani anche come portatori di valori moderni, non religiosi, che partecipano alla cultura indiana. Per quanto riguarda le religioni minoritarie, il Cristianesimo è percepito come meno estraneo alla società indiana, anche per il retaggio culturale britannico e per l’influenza di Hollywood, e i Sikh compaiono di più delle altre minoranze religiose, forse anche per il fatto che ci sono molti Sikh importanti che lavorano nel cinema.

Titolo: Bollywood’s India. Hindi Cinema as a Guide to Contemporary India
Autore: Rachel Dwyer
Editore: Reaction Books
Pagine: 296
Prezzo: 16,41 €