Il ‘dramma’ del Medio Oriente secondo Georges Corm
19 febbraio 2008

Ministro delle finanze del Libano dal 1998 al 2000, è divenuto poi docente di storia del pensiero politico arabo. La data di partenza della sua sottile analisi storica è il 1956, anno in cui il governo egiziano nazionalizza il canale di Suez. Le reazioni ostili dell’Occidente a quell’atto creeranno, secondo Corm, un modello di tensione permanente tra Oriente e Occidente, che ancora oggi non si sarebbe dissipato ma che gli eventi dell’11 Settembre avrebbero invece contribuito ad acuire. Corm analizza anche la difficoltà dei popoli arabi a ritrovare una propria identità a causa delle ‘contaminazioni’ in seno alle dottrine islamiche provenienti da fonti d’ispirazione non arabe.

Nel suo libro lei sostiene che gli attentati dell’11 Settembre costituiscono un punto di svolta per la politica estera americana in Medio Oriente. Quale impatto ha avuto questo tragico evento sulla regione?

Questo evento appare come il coronamento di un’involuzione progressiva tra mondo arabo e Occidente, il punto più negativo nelle loro relazioni sin dai tempi dell’attacco congiunto di Israele, Gran Bretagna e Francia all’Egitto. Nel mio lavoro tratteggio appunto la storia di questo deterioramento progressivo e costante delle relazioni tra Oriente ed Occidente a partire dalla data chiave del 1956.

Nel suo libro lei parla anche della posizione geografica del Mediterraneo tra ‘Vicino’ e ‘Medio Oriente. Qual è il suo ruolo nel conflitto mediorientale?

Il Mediterraneo è sempre più percepito come l’epicentro della linea di frattura tra Oriente ed Occidente. L’ingresso della Turchia nell’Unione Europea potrebbe contribuire a dissipare in maniera considerevole questo sentimento negativo. Ma, appunto, dall’11 Settembre 2001, mi sembra che per i paesi europei risulti sempre più difficile accettare un paese come la Turchia (che pur essendo laico è a maggioranza musulmano, ndr) nella UE. Come vede, siamo in un circolo vizioso.

Nel suo libro lei parla anche di ‘fallimento’ dei regimi arabi a ritrovare una propria identità. Cosa intende?

Le diverse forme di ‘risveglio’ islamico provenienti dall’Arabia Saudita e dal Pakistan, che non è un paese arabo, o anche provenienti dall’Iran, anch’esso non arabo, hanno creato una crisi permanente d’identità presso i popoli arabi che non esisteva in precedenza. Da qui nasce il ricorso costante a fonti d’ispirazione ‘esterne al mondo arabo’. La mancanza di solidarietà tra i governi arabi fa credere erroneamente che non esista più alcun legame identitario tra i popoli arabi. Ma ciò è falso.

Secondo lei qual è stato l’impatto della nascita dello stato di Israele negli equilibri del Medio Oriente?

La nascita dello stato d’Israele ha costituito un terremoto per gli equilibri mediorientali, un terremoto le cui onde sismiche non si sono ancora estinte. Possiamo addirittura affermare che queste onde si sono amplificate a causa del sostegno pressoché cieco della maggioranza dei dirigenti politici occidentali alla colonizzazione del resto dei territori palestinesi e alla politica di rappresaglie ‘sproporzionate’ che Israele pratica contro i Palestinesi ed anche contro il Libano da decenni.

Qual è il suo giudizio sul Fatah al-Islam? Crede che si tratti di una ‘costola’ di Al Qaeda oppure di una formazione addestrata dalla Siria?

Come tutti i gruppuscoli terroristi che si rifanno all’ideologia wahhabita, si tratta di una ‘nebulosa’ che può essere facilmente infiltrata e manipolata da potenze regionali o internazionali.

Come giudica la politica siriana nei confronti del Libano?

Quando si cerca di descrivere i rapporti tra Siria e Libano è importante non fare caricature o forzature. Si tratta di un rapporto molto complicato ed anche complesso che ha conosciuto diversi periodi ed ha attraversato diverse tappe. In Siria esistono numerose tendenze e non una sola. Ad ogni modo credo che il Libano debba avere buone relazioni con questo potente vicino e non debba invece divenire un trampolino di lancio per un attacco ai suoi dirigenti.

Cosa pensa dell’impegno dell’Italia in Libano?

Ho la netta impressione che ci sia stato un cambio di orientamento. Il governo italiano appena eletto ha cercato inizialmente di non schierarsi con una fazione o con un’altra nella querelle politica interna al Libano e soprattutto sembrava voler aprire anche ad un dialogo con la Siria. Poi, mi sembra sia ritornata sulla posizione dominante nell’Unione Europea che ignora gran parte del Libano e tratta unicamente con le fazioni pro-occidentali.

In che modo secondo lei è possibile uscire dall’impasse libanese?

I paesi occidentali dovrebbero avere una politica più duttile e più aperta sulle diverse sensibilità politiche che esistono nel paese. Occorre a mio avviso uscire da una visione primordiale ed anche stupida del Libano che vede questo paese suddiviso tra i cosiddetti ‘democratici’ pro-occidentali e gli ‘anti-democratici’ pro-siriani. Questa è la visione binaria del mondo propria dell’amministrazione americana. E’ un peccato però che l’Europa non riesca a distaccarsene.