L’inchiesta trae origine da un acceso dibattito che si è diffuso negli ultimi tempi su internet, quasi totalmente ignorato dagli organi di stampa europei e americani. Secondo molti analisti, dagli anni settanta in poi l’economia americana si comporta in modo anomalo rispetto a quelle di tutto il resto del mondo, perché è in qualche modo “dopata” dallo stretto legame fra la sua valuta e il mercato del petrolio. Tutte le compravendite di greggio, infatti, avvengono oggi nelle uniche due piazze di New York e Londra, naturalmente in dollari, il che spinge i paesi importatori a dotarsi di ampie riserve di valuta americana, e i produttori a reinvestire gran parte dei propri introiti proprio negli Stati Uniti. Grazie a questo circolo virtuoso, l’America può garantirsi un continuo afflusso di capitali e finanziare in questo modo il proprio disavanzo: 850 miliardi di dollari all’anno, che fanno del paese il più indebitato del mondo.
Da alcuni anni, però, questo meccanismo ha rivelato le proprie fragilità, e alcuni paesi sembrano volerne approfittare per ridurre lo strapotere americano sul mercato delle fonti energetiche e, conseguentemente, sull’economia globale. Conti e Fazi li chiamano i “non-allineati dell’energia” e fanno dei nomi: l’Iran di Ahmadinejad, il Venezuela di Chavez, la Bolivia di Morales e, soprattutto, la Russia di Putin. Il segreto della nuova strategia antiamericana si troverebbe a Kish, una piccola isola del Golfo Persico, a 18 km dalla costa iraniana. È qui che Ahmadinejad ha già fatto costruire una nuova borsa del petrolio, in cui le transazioni dovrebbero avvenire non più in dollari ma in euro. Ancorare il mercato del petrolio a una moneta più forte e internazionale come l’euro significherebbe spingere molti paesi a diminuire drasticamente le proprie riserve in dollari, interrompendo il circolo descritto sopra e causando in questo modo la crisi dell’economia americana.
A quanto pare, un’idea simile l’aveva gia avuta Saddam Hussein, e sarebbe questa la vera causa dell’invasione americana dell’Iraq, nonché dei venti di guerra che oggi fanno pensare a un possibile attacco a Teheran, o a qualsiasi altro paese produttore di petrolio che intendesse aderire alla linea iraniana. Per ora, tuttavia, la borsa di Kish è solo un palazzo di vetro vuoto, e il dibattito fra gli esperti sui possibili sviluppi della vicenda è più che mai aperto. Ciò che sembra certo – concludono gli autori – è che l’attuale equilibrio valutario mondiale, dominato dal dollaro in maniera condizionata da numerose anomalie economiche e, soprattutto, politiche, non resisterà ancora per molto. Con un linguaggio asciutto e una terminologia facilmente comprensibile anche a un lettore inesperto di politica ed economia, Euroil presenta una tesi certamente discutibile e non scevra di dubbi, ma sono gli stessi autori ad ammetterlo nell’introduzione. Il loro intento non è farsi profeti di verità, bensì spingere il lettore a riflettere, a “crearsi la propria visione del mondo, ovvero la base fondamentale di quella libertà e di quella democrazia che l’amministrazione americana sostiene di voler difendere”. Per Conti e Fazi missione compiuta.