«Non potendo scrivere dell’amore, ho dovuto scrivere dell’odio». Quando uscì la raccolta di racconti Torture ha commentato in questo modo la violenza descritta nelle sue opere precedenti. E ha aggiunto che il terrore è un sentimento che le appartiene, essendo cresciuto durante la Rivoluzione culturale. Come commenta la società cinese di oggi? Quale è il sentimento più adatto a descriverla?
La Cina di oggi è molto diversa rispetto agli anni ’80, è molto difficile descriverla. Riesce a suscitare in me un’immensa varietà di emozioni, ma nemmeno cento sentimenti diversi potrebbero rappresentarla. Invece Torture, che raccoglie opere degli anni ’80, appartiene a quel tempo in cui in Cina le riforme e l’apertura economica erano già state avviate, ma non ci si era del tutto scrollati di dosso l’ombra della Rivoluzione Culturale. E questo valeva anche per me: le opere scritte in quel periodo erano piene di violenza, forse i ricordi legati al terrore dominavano la mia creazione. Quando a distanza di trent’anni dalla fine della Rivoluzione Culturale ho pubblicato un nuovo romanzo, Fratelli (in primavera uscirà con Feltrinelli la traduzione italiana, ndr), credo di aver rappresentato sia i ricordi dolorosi, sia quelli più belli che conservo nonostante tutto.
Ha dichiarato di sentirsi uno «scrittore degli anni ’80», visto che gli scrittori cinesi degli anni ’90 sono legati a un clima di individualismo, come sostiene anche Han Shaogong. Ma quale è realmente e quale dovrebbe essere invece il loro ruolo?
In realtà la questione è molto articolata e complessa. Certo, si può dire che sono uno scrittore degli anni ’80 perché ho cominciato a scrivere allora. Tuttavia ho continuato a scrivere negli anni ’90 e lo faccio anche oggi. La mia scrittura sta cambiando con l’evolversi dei tempi. È difficile perciò dire a quale epoca io appartenga. Così come è vero che gli scrittori cinesi di oggi vivono all’interno di enormi trasformazioni. Questa è una ricchezza inesauribile per chi scrive ed è questo che bisognerebbe rappresentare. Anche se non può cambiare la società, la letteratura può influenzare e modificare l’atteggiamento dei lettori verso di essa, come pure la loro percezione della realtà.
Quale è il rapporto che esiste tra scrittore e lettori?
Solo i lettori possono deciderlo: sono loro ad avere il privilegio di poter scegliere, mentre gli scrittori possono solo essere scelti. Spesso si dice che gli scrittori dovrebbero scrivere per i lettori, ma questo è impossibile. Perché i lettori sono tutti diversi e lo scrittore non saprebbe come soddisfare le loro più varie esigenze. C’è però qualcosa che lo scrittore può fare, in quanto è egli stesso un lettore: quando scrive dovrebbe tener conto delle proprie richieste. In fin dei conti è come se possedesse due identità, una come scrittore e una come lettore. La prima lo incita a continuare a scrivere senza sosta, la seconda lo aiuta segretamente a padroneggiare le proporzioni del racconto.
Sostiene di «non amare affatto gli intellettuali perché inseguono soldi o gloria». Mentre ama gli operai e i contadini al centro delle sue opere.
Sono profondamente convinto che se una persona non si interessa agli altri, e non tenta di conoscerli meglio, non riuscirà mai a capire davvero se stessa. Solo curandosi degli altri ci si prende cura di sé e sarebbe importante che un simile atteggiamento venga fatto proprio soprattutto dai giovani. Nonostante ciò, sono costretto a constatare che gli intellettuali cinesi oggi si interessano troppo di se stessi e troppo poco degli altri. Eppure, in teoria, non sarebbe così difficile far sì che si interessino della realtà e della situazione del popolo.
E quindi che cosa pensa che accadrà nel futuro della letteratura cinese? Che cosa cambierà?
Non sono in grado di immaginare le possibili evoluzioni della letteratura cinese in generale, né di alcuni scrittori in particolare. Visto che non riesco neanche a immaginare il mio futuro. Conosco invece il mio passato: oltre vent’anni fa ero considerato uno scrittore d’avanguardia e a quell’epoca scrivevo racconti; poi negli anni ’90 ho cominciato a scrivere romanzi, come Vivere e Cronache di un venditore di sangue. Allora i critici hanno ritenuto che fossi tornato a una modalità di scrittura più tradizionale, mentre in queste due opere ho assimilato le tecniche di composizione del modernismo. Recentemente Cronache di un venditore di sangue è stato inserito nei libri di testo delle scuole superiori di Pechino, scelto in quanto i professori ritengono che il modo di narrare sia diverso dal romanzo tradizionale.
Come commenta questa contraddizione?
Trovo questo fatto molto divertente. Da un lato i critici considerano il romanzo tradizionale, dall’altro i professori lo trovano nuovo. Quando poi due anni fa ho pubblicato il romanzo Fratelli, in Cina è nato un grande dibattito perché nessuno scrittore aveva mai descritto la storia e la realtà cinesi in questo modo: alcuni lettori non ci erano abituati. A parte ciò, però, non so che genere di opere scriverò in futuro. L’unica cosa di cui sono certo è che le mie opere descriveranno sempre la realtà a tinte forti.
Dante, Calvino e Moravia sono alcuni degli scrittori che più apprezza. Quanto può dare la letteratura italiana a quella occidentale e viceversa?
La letteratura occidentale, compresa quella italiana, ha influenzato profondamente quella cinese e tale influenza è presente tuttora. Spero che anche la letteratura cinese porti nuove emozioni alla letteratura occidentale e a quella italiana.
Si parla spesso di Cina per motivi economici oppure per questioni legate ai diritti umani. E se ne parla con paura. Quale è secondo lei l’immagine che l’Occidente ha del suo paese?
Non so quale sia l’immagine che l’Occidente ha della Cina. Ma non mi stupirei troppo del fatto che i media occidentali ne diano sempre notizie negative, e che ne possano anche parlare con paura. D’altronde anche i media cinesi propongono sempre notizie negative. Credo che si tratti di uno «stile» tipico dei mezzi di informazione in generale. Quello che so, però, è che negli anni ’90 era più facile ottenere il visto e venire in Europa, mentre adesso è sempre più difficile.
Che cosa vorrebbe che si sapesse del suo paese che invece non si sa?
A cambiare dovrebbero essere i media occidentali. Se continuano a offrire solo informazione al negativo, nessun mutamento della Cina potrà servire a nulla e neanche la sua immagine potrà migliorare.
Se da un lato emergono importanti segnali di crescita del suo paese, dall’altro sono molte le voci che intervengono a smorzare gli entusiasmi. Puntando il dito contro gli squilibri interni, come il divario tra città e campagna.
Le disparità interne, il divario tra ricchi e poveri o tra città e campagna rappresentano gli effetti del rapidissimo sviluppo economico che ci ha fatto diventare ormai la terza potenza economica mondiale. Mi auguro che questi ritmi di crescita rallentino, consentendoci di disporre del tempo e dello spazio necessari per gestire i problemi sociali e ambientali causati dalla velocità.
Traduzione di Nicoletta Pesaro