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  • Corrado Ocone

    Dalla sfera politica, esso si è poi esteso naturalmente a ogni altro ambito: giuridico, sociale, economico, della vita privata (cioè alle relazioni sessuali e familiari). In generale il liberalismo è una teoria della limitazione del potere in quanto tale, in ogni sua forma. Si può anche dire che il liberalismo è una cultura del limite e dell’autolimitazione: l’arte di porre limiti al potere altrui e al proprio. Ne consegue come presupposto, in quest’ordine di idee, che il liberalismo pone come valore fondamentale l’individuo o, meglio, l’essere umano. Bisogna però fare attenzione: l’individuo non può essere più considerato, nella nostra età tardo-moderna, un’entità stabile, compiuta, definita, compatta e indivisibile (un in-dividuo). L’individuo dei liberali è, realisticamente, una creatura finita, fallibile, non autosufficiente.

    Pertanto connessa al liberalismo è l’idea di relazione: data la loro natura di essere finiti, gli uomini hanno reciproco bisogno gli uni degli altri; le informazioni e i beni sono diffusi nel tessuto sociale e senza la possibilità dello scambio non potrebbero circolare. Il mercato, inteso sia in senso economico sia extraeconomico, è il luogo ove avviene la transazione liberale. Essendo un’istituzione umana e non affatto spontanea, esso è imperfetto e va costantemente rimodellato e ricreato. Il mercato garantisce, coordina e certifica la creatività umana. Esso, funzionando come termometro del merito individuale, permette al liberalismo di premiare l’iniziativa (o intraprendenza) e la capacità di rischiare.

    Il mercato ideale è un semplice ideale regolativo, non una realtà concreta: per tendere ad esso, occorre che sia quanto più possibile trasparente e regolato. Nello stabilire le regole, che sono sempre di limitazione e autolimitazione, consiste la sempre imperfetta e revisionabile sapienza liberale. Il mercato si basa sulla concorrenza. È infatti attraverso l’antagonismo e la competizione, sia delle opinioni sia degli interessi, che gli uomini cambiano e scambiano idee e cose lavorando per la loro ricchezza spirituale e materiale. Pertanto i liberali non inseguono ideali perfezionistici e di conciliazione: stante la natura dell’essere umano (kantianamente un “legno storto”), essi ritengono che il conflitto e la lotta siano nelle vicende umane non solo inevitabili ma anche desiderabili. Ciò significa che uno stato di cose liberale è quello che mantiene sempre aperta la tensione fra le forze opposte che caratterizzano le relazioni fra gli esseri umani e fra le opposte spinte centrifughe che attraversano l’individuo stesso.

    Il liberalismo è, come si accennava, anche un’etica (una concezione “metapolitica” o “generale del mondo e della vita”, per usare le espressioni di Benedetto Croce: cfr. La religione della libertà, antologia degli scritti politici a cura di Girolamo Cotroneo, 2002). Se il liberalismo politico afferma infatti risolutamente la priorità del giusto sulle diverse concezioni del bene (secondo l’idea del “consenso per intersezione” illustrata da John Rawls in Political liberalism, 1993), e in questo ristretto senso il liberalismo può dirsi relativista, è pur vero che una concezione del bene è sottesa allo stesso liberalismo ed è proprio quella, a suo modo intransigente, che vuole consentire il confronto e lo scontro fra i diversamente senzienti e pensanti. Il liberalismo, che è propriamente pluralista, non è perciò relativista nel senso di essere indifferente: esso anzi esige che ci si combatta accanitamente e che aspramente ci si difenda da tutti coloro che vogliono mettere in discussione l’esistenza del campo di confronto ove operano, si scontrano e giungono a compromesso gli interessi e le opinioni le più diverse.