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  • Francesca Brezzi

    Per un verso una sorta di caduta del concetto di identità nella speculazione degli ultimi decenni, sia sul versante analitico che su quello continentale, nel quale in particolare, abbandonati i paradigmi tradizionali, si è giunti alla ‘decostruzione’ dell’identità, fino al punto da revocare in dubbio la possibilità di riferirsi ad una identità personale (Derek Parfit o Judith Butler). Per un altro verso, i conflitti etnici, politici, religiosi, cifra drammatica ed inquietante della nostra epoca, sembrano tutti rivendicare un’identità, anche mediante la violenza.

    Il momento genetico della questione identitaria può essere indicato nei ‘maestri del sospetto’, Nietzsche, Marx e Freud, che hanno dato inizio proprio ad un’ avventura del cogito non ancora terminata: tali pensatori, portato il dubbio nella fortezza cartesiana stessa, nell’Io, non l’hanno accettata più come verità prima, centro fondante della razionalità: hanno invece mostrato come essa sia falsa coscienza. Il cammino della dissoluzione del soggetto sembra giungere ad un punto di non ritorno con l’amara constatazione di Foucault (ne Le parole e le cose), secondo il quale “l’uomo non costituisce né il più antico, né il più assillante problema che la coscienza umana abbia dovuto affrontare (…) l’uomo è un’invenzione dell’archeologia del nostro pensiero (…) esso sarà cancellato come una figura di sabbia sulla riva del mare”.

    Dall’Io penso alla angosciosa domanda: chi sono io? Domanda di cui il pensiero contemporaneo si è fatto carico: la riflessione ha intrapreso la strada dello scavo nell’enigma dell’identità e ha trovato una “soluzione” solo al termine di un lungo itinerario, quello che disegna un pensiero altro, un pensare altrimenti di cui parlano molti filosofi contemporanei, che per comodità si possono accomunare sotto il segno di “pensiero della differenza” (Heidegger, Levinas, Ricoeur, Deleuze, Derrida, Irigaray). Si tratta di un viaggio il cui punto di arrivo sarà un io diverso, non l’io “sfera vuota di vetro”, come affermava Schopenhauer, ma una identità mobile e fluida, plasmabile, portata anche ad esperienze dissipative, aleatorie, o in trasloco ininterrotto, come sostiene una psicoanalista italiana, Priscilla Artom. Un soggetto caratterizzato, marchiato quasi, dalla finitudine – della quale, tuttavia, si dà una lettura positiva – ma altresì aperto a, relazione e non sostanza. Soggetto come farsi e non come fatto che nella conquista della propria identità tenta un percorso di autorealizzazione in cui l’affermazione del proprio sé è strettamente intrecciata con la consapevole propria diversità.