Blacks out. «20 marzo, ore 00.01». «Per i diritti e contro il razzismo, l’Italia senza immigrati». Una pagina nera su internet, una data, una sola frase, e uno sciopero che vede all’improvviso sparire tutti gli immigrati che lavorano in Italia: volatilizzati, assenti, non raggiungibili al telefono, spariti da un giorno all’altro. E l’Italia sbanda, si paralizza, finisce nel caos: chiudono le fabbriche, gli ortaggi restano sui campi e non arrivano nei mercati ortofrutticoli e nei negozi, i cantieri si fermano, gli animali non vengono più macellati, le famiglie vanno nel caos perché non hanno più l’aiuto di colf, babysitter e assistenti familiari, spariscono i bimbi stranieri nelle scuole, chiudono alcune parrocchie perché molti preti sono stranieri e si ferma il campionato di calcio. È il quadro tracciato da Vladimiro Polchi, giornalista de la Repubblica, nel suo libro Blacks out. Un giorno senza immigrati (pp. 172, € 15,00, Laterza 2010) nel quale l’autore racconta, in un’opera che mescola fiction e dati reali («un romanzo inquinato fortemente dalla saggistica», una «docu-fiction», come ammette lo stesso autore) le conseguenze di un immaginario sciopero degli immigrati. Se sparissero dall’Italia, paralizzerebbero il paese.
C’è la dimensione del romanzo, data dalle vicende del giornalista Valentino Delle Donne, alter ego dell’autore, che si trova davanti lo scoop della vita e risente anche personalmente di quanto sta accadendo: la colf non arriva a casa, la famiglia della compagna Nina è nel panico perché manca la badante che assiste la sorella malata. E c’è la dimensione del saggio: sono veri e aggiornati tutti i numeri citati dal giornalista alla ricerca disperata di notizie su quello che sta accadendo, i dati tratti dalle fonti ufficiali, i personaggi “veri” che hanno deciso di comparire come voci informate del romanzo, i numeri sull’immigrazione, le testimonianze della scuola romana multiculturale Pisacane, il forum sul sito di Forza Nuova, l’elenco, solo parziale, delle aggressioni razziste subite dagli immigrati negli ultimi tempi, i dati sulla criminalità immigrata, il peso che i lavoratori hanno sulle casse dell’Inps. I particolari del racconto – il bar che rimane senza cornetti, i giornali che non vengono consegnati – si alternano a un quadro di rapido sfascio che rende bene l’idea dell’importanza degli immigrati nella vita economica e sociale dell’Italia, quali motori dell’economia e sostituti di un welfare carente. Il protagonista immagina così, una volta raccolte tutte le informazioni, l’attacco del suo pezzo: «20 marzo. Ore 00.01. È il caos, anzi la paralisi. I cantieri edili si fermano di colpo. Chiudono le fabbriche. Si raffreddano i forni a ciclo continuo nelle aziende di ceramica. L’industria manifatturiera spegne le macchine. Vuoti i mercati ortofrutticoli. Tra le famiglie si scatena il panico: scompaiono badanti, colf e babysitter. È boom di ricoveri d’anziani e disabili negli ospedali. La sanità è in tilt. Tremano le casse dell’Inps…».
A raccontarlo, sono i numeri citati dall’autore. Che, se forse sono noti agli addetti ai lavori, messi in fila uno dopo l’altro hanno un effetto di grande impatto: oltre il 50% degli operai delle fonderie è immigrato; nei servizi alle famiglie gli stranieri sono oltre il 67%, una famiglia su dieci è «badante-dipendente» e 300 mila famiglie ricorrono quotidianamente all’aiuto di una colf o badante straniera; gli stranieri sono oltre il 50% della forza lavoro nella macellazione degli animali; nelle chiese ci sono 1500 preti stranieri; i giocatori stranieri in serie A erano oltre 200 l’anno scorso; in Abruzzo il 90% dei pastori è macedone; a Roma il 50% dei muratori è straniero, in gran parte romeni; i lavoratori stranieri che versano contributi previdenziali all’Inps sono due milioni, quelli che chiedono la pensione sono solo seimila l’anno e in previsione 22 mila l’anno da oggi al 2015; le imprese con titolare straniero sono oltre 250 mila; i lavoratori in agricoltura sono oltre 133 mila e raccolgono fragole nel veronese, mele in Trentino, pomodori in Puglia, uva in Piemonte, frutta in Emilia Romagna e Campania. L’autore fa cadere lo sciopero alla vigilia del 21 marzo, giornata internazionale contro il razzismo. E centra la rivendicazione degli immigrati sulla lotta alla xenofobia e sulla rivendicazione del diritto di voto a partire da quello amministrativo (dice nel libro Aly Baba Faye, sociologo: «Vogliamo votare per il Comune, la Provincia e la Regione. Tutti i migranti in regola devono poter decidere chi li governa»).
Da notare che nel mondo reale, che sta “fuori” dal romanzo, proprio a marzo si sono moltiplicate iniziative e manifestazioni per la “primavera antirazzista”, indetta da diverse organizzazioni e comitati. E risale proprio allo scorso 1° marzo la mobilitazione “Una giornata senza di noi”, nata dalla rete e da un coordinamento su internet, organizzata a livello locale, che ha voluto manifestare con cortei e presenze in piazza (meno con veri scioperi, organizzati solo a livello locale), colore simbolo il giallo, la lotta contro la xenofobia e la deriva che ha preso parte della società italiana. Naturalmente non si può immaginare di trasporre nella realtà uno “sciopero etnico”. Ma il racconto di Polchi punta i riflettori con parole semplici su alcune verità che gli italiani spesso preferiscono non vedere, nascondendo la testa sotto la sabbia o dando voce a una deriva “di pancia” alimentata anche da tanta politica strumentalizzante e disinformata (o informata ma interessata a trarre vantaggio dalla crisi economica e dalla deriva sociale). Ultima annotazione: il libro è dedicato a Cheikh Sarr e alla sua famiglia. Cheikh era un muratore senegalese, con una moglie e una bimba di dieci mesi, che nel 2004 perse la vita per salvare un ragazzo italiano che stava annegando al largo di Marina di Castagneto, nel mar Tirreno. Ottenne la medaglia d’oro al merito civile. E la moglie dichiarò in una intervista che alla figlia avrebbe spiegato: «Le dirò che c’è un grande mare, nella piccola città, e in quel mare c’è l’anima di suo padre».
Gli italiani troppo spesso dimenticano. Per questo Polchi inserisce negli intermezzi una nota molto diffusa attribuita all’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani del 1912 che ci descriveva maleodoranti, lamentosi, violenti. Per ricordarci il nostro passato e ammonirci sul nostro presente.