Vincente-vincente. E’ questo il principio su cui attualmente si basa il rapporto tra Cina e Africa, stravolgendo così assetti consolidati da secoli. Il continente nero è da sempre considerato un paese da colonizzare per gli europei, da utilizzare per attività antiterroristiche per gli americani, da soccorrere attraverso somme ingenti e aiuti umanitari, da salvare dalla corruzione e dalla violenza. L’approccio della Cina è stato invece completamente diverso, ha avuto il merito di ridare all’Africa un valore reale, riscattandola agli occhi dei suoi abitanti e dandole una nuova collocazione a livello internazionale. Certo le relazioni tra i due paesi non si basano su una semplice amicizia quanto sulla reciprocità di interessi e sulla ricerca di vicendevoli vantaggi che creano innegabili profitti da un punto di vista politico ed economico. Come tutti i matrimoni di interesse però manca la volontà di comprendersi e conoscersi, elementi necessari per una reale integrazione tra le due popolazioni. Nel tentativo di spiegare questi due mondi apparentemente inconciliabili, nasce Cinafrica, un libro scritto da Serge Michel, corrispondente per Le Monde, e Michel Beuret, caporedattore esteri della rivista L’Hebdo, completato dalle fotografie di Paolo Woods.
I due giornalisti hanno viaggiato per due anni in quindici paesi africani, alla scoperta di una nuova terra abitata da cinesi che hanno deciso di lasciare il loro paese alla ricerca di nuove opportunità in Africa. Il risultato è un reportage che cerca di raccontare i cambiamenti in atto attraverso la voce di contadini, imprenditori, ministri. Conosciamo così Ke Qian, ex corrispondente di Cina Nuova e ora dirigente di un’impresa forestale in Congo; Peng Shu Lin, operaio specializzato nella stampa di oggetti di plastica in Nigeria; Lin Changming, titolare di un’azienda agricola a Lusaka e Xie Kaishou, dirigente della Sino-Metal Leach Zambia Limited, azienda che raffina il rame a Chambishi. Storie utili per comprendere un fenomeno di vaste proporzioni se si considera che le stime parlano di una presenza di cinesi pari a 500.000 persone mentre studi africani azzardano una cifra di 750.000. Anche il commercio bilaterale ha avuto una forte impennata, passando da 10 a 55 miliardi, e dovrebbe raggiungere i 100 miliardi nel 2010. Dati che, sommati alle novecento imprese presenti sul suolo africano, confermano la Cina come secondo partner commerciale al posto della Francia.
La necessità di materie prime è stata sicuramente la causa principale che ha convinto Pechino a conquistare il continente nero. Petrolio, giacimenti minerari, rame e oro, legname, riserve naturali di gas sono un capitale troppo prezioso da lasciarsi sfuggire, soprattutto per un paese come la Cina che negli ultimi anni ha avuto tassi di crescita sempre superiori al 10%. I cinesi non potevano non afferrare al volo l’occasione e così, abbandonate le campagne, hanno incominciato una diaspora verso l’Africa. Un evento che si è rivelato di fondamentale importanza anche per gli africani perché, per la prima volta, il loro paese non è stato considerato solo come una colonia da sfruttare ma soprattutto un luogo da aiutare in modo concreto. Infaticabili lavoratori, i cinesi hanno iniziato a costruire strade e ferrovie, dighe, alloggi, ospedali, scuole, acquedotti e reti elettriche, arricchendo così il continente. Nello stesso tempo la presenza della Cina ha sollevato da queste incombenze i governanti africani che, incapaci di gestire le potenzialità economiche, non riuscivano più a far fronte al malcontento della popolazione. In virtù poi del principio cinese di non ingerenza nella politica dei paesi ospitanti, i paesi africani non sono tenuti nemmeno a dare spiegazioni su argomenti quali democrazia, diritti umani e trasparenza delle politiche attuate.
Su queste basi dunque la Cina ha guadagnato sempre più terreno rispetto all’Occidente, che invece ha iniziato da tempo a trascurare l’Africa. Ora americani, europei, australiani e giapponesi stanno cercando di conquistare le posizioni perdute, convinti che, se i cinesi investono così tanto, forse hanno sottovalutato la situazione. I settori di interesse sono infatti molteplici come l’uranio, materia prima il cui valore è decuplicato dal 2003, e di cui il Niger è il terzo produttore mondiale. I mercati emergenti, come Cina e India, sono infatti convinti che il nucleare rappresenti il futuro. Violando i regolamenti internazionali, la Cina è diventata anche il principale fornitore di armi utilizzate poi nei conflitti e per commettere crimini in paesi come il Congo, la Tanzania e lo Zimbabwe. In Sudan i cinesi non solo vendono gli armamenti, ma possono produrre petrolio sfruttando le strutture già presenti sul territorio. Essere il diretto produttore e non acquistare l’olio nero è per la Cina un innegabile vantaggio soprattutto considerando la costante crescita del fabbisogno (per esempio il numero della automobili in circolazione è passato da 3 milioni nel 1999 a circa 9 milioni nel 2007).
Il lungo viaggio di Serge Michel e Michel Beuret chiarisce così i notevoli benefici economici che scaturiscono dai rapporti tra i due paesi ma, nello stesso tempo, rivela anche come le barriere culturali siano difficili da superare e creino grandi distanze tra le due popolazioni. I cinesi tendono a formare gruppi chiusi in cui ricostituiscono le proprie abitudini, non riuscendo così ad integrarsi con gli autoctoni. Nello stesso tempo però impongono i propri ritmi lavorativi ben lontani dai normali standard, infatti gli africani devono lavorare 7 giorni su 7 in cambio di stipendi bassissimi e di mancanza di tutele. Ogni giorno di vacanza è un mancato guadagno. Questo clima non ha fatto altro che aumentare l’ostilità nei confronti dei cinesi e i bambini nati da coppie miste sono i primi a subire grandi discriminazioni poiché considerati motivo di imbarazzo per le famiglie africane. A Cinafrica iniziano dunque ad emergere i primi problemi, dato che il rapporto vincente-vincente ogni tanto sembra avere dei cedimenti. La Cina spesso si sta rivelando simile agli altri paesi presenti nel continente, soprattutto nel disprezzo che a volte mostra nei riguardi della popolazione locale. In tal caso, tutti gli sforzi compiuti potrebbero portare ad un clamoroso fallimento. Al contrario i due paesi potrebbero rivelarsi il nuovo asse economico con cui l’Occidente dovrà fare i conti in futuro.