Pendolari o cittadini? Un dibattito sull’immigrazione italiana
Valentina Martina 18 aprile 2008

La necessità teorica della rivista, che raccoglie contributi provenienti da diverse discipline, non è soltanto dar conto di come i migranti influenzino il nostro territorio e la nostra cultura, ma anche come la migrazione italiana sia percepita all’interno di alcuni paesi dell’Unione europea. Soffermarsi sull’intreccio tra immigrazione ed emigrazione si traduce inevitabilmente nella comprensione delle sfumature delle migrazioni, affrontate sia da un punto di vista teorico, sia da un punto di vista empirico. Quest’esigenza è dettata dal fatto che, in Italia, il dibattito assume come principale punto di riferimento la letteratura internazionale, trascurando spesso gli aspetti caratterizzanti i tratti distintivi delle migrazioni italiane.

Uno dei principali intenti di questo numero è rivisitare il tema dell’immigrazione, a partire da numerosi fraintendimenti che si annidano nella sfera politica e sociale, primo fra tutti l’ipotesi dell’adattamento degli immigrati alla società, considerata non in base alle sue contingenze e contraddizioni storiche. Le ultime ricerche, al contrario, mettono in discussione il concetto di società astratta che non guarda all’insieme di individui che la popolano e, con esso, quello di territorio definito da confini prestabiliti, per guardare a un processo di de-territorializzazione e di mobilità sociale e culturale che conduce a una visione degli immigrati come visitatori e modellatori degli equilibri esistenti nelle società stesse. Ciò contribuisce a ridefinire le dinamiche dell’immigrazione, i cui processi d’inserimento dipendono sempre di più da un’analisi empirica fondata sulle reti sociali: è grazie a questo tipo di approccio che è possibile considerare gli attuali flussi migratori alla luce non tanto della condizione economica ottimale di un determinato paese, quanto piuttosto delle caratteristiche culturali e simboliche presenti in quel paese stesso.

Proprio per questo, occorre leggere i processi di immigrazione e di emigrazione considerandoli come delle risorse sociali che consentono di mettere in luce le problematiche comuni ai migranti in generale. A questo proposito, si consideri il caso dell’emigrazione italiana in Germania che colpisce per il suo carattere “temporaneo”, dovuto anche a fattori storici. Il non completo insediamento degli immigrati italiani in Germania era, almeno fino agli anni Sessanta, lo specchio degli intenti della politica migratoria tedesca. Se, da un lato, gran parte degli immigrati italiani contavano di trasferirsi in Germania per soddisfare la richiesta di manodopera dall’altro, l’intento principale della Germania era di non trasformarsi in un paese in cui l’immigrazione fosse un processo frequente. Tra Germania e Italia si verifica un processo di pendolarismo migratorio che riflette le contraddizioni dell’emigrazione italiana con alti tassi di disoccupazione e bassi livelli di scolarizzazione, dovuti a una mancanza di stabilità in entrambi i paesi.

Accanto a questa connotazione storica che presenta ripercussioni negative per i migranti italiani, dobbiamo porre anche la questione del pendolarismo migratorio come caratteristica specifica del nostro tempo, da cui emerge una concezione dinamica dell’immigrazione stessa. Non sempre, infatti, vi è una netta cesura tra il paese di provenienza e quello di destinazione: si pensi alla categoria di immigrati rappresentata da giovani lavoratori che emigrano per trovare un impiego consono al loro percorso formativo; in tal caso è improprio parlare di immigrati in senso stretto bensì di una comunità professionale internazionale, che tende alla mobilità e non allo stabile insediamento. Il tema del pendolarismo migratorio investe indubbiamente i paesi dell’area mediterranea, paesi di nuova immigrazione, che si distinguono da quelli del Nord Europa per il crescente impiego degli immigrati in mansioni poco qualificate nel mercato del lavoro. Questa mancanza di linearità professionale, dovuta a una scarsa attenzione ai livelli effettivi di qualificazione, porta allo spreco del capitale umano. Questo fenomeno, chiamato in gergo tecnico skill waste, dipende da fattori strutturali come la scarsa retribuzione del merito e dal fatto che la domanda di lavoro qualificato da parte delle imprese, in particolare in Italia, è molto bassa.

In Italia, come nel resto di altri paesi europei, particolare attenzione continua a essere riservata all’integrazione delle seconde generazioni, che alimentano le interazioni culturali e sociali tra la popolazione indigena e immigrata. Nel nostro paese, la riflessione politica e sociale sulle seconde generazioni è ancora embrionale – seppure importante in quanto si gioca il passaggio tra migrazione temporanea e permanente – e si è concentrata, in particolar modo, sul settore dell’istruzione primaria e secondaria e per questo fonda la costruzione dell’identità dell’immigrato a partire dalla formazione. Da questo punto di vista, l’Italia è un paese che si deve scontrare con il problema relativo alle carenze didattiche ed educative, intese in un senso interculturale ampio. E’ a quest’ultimo obiettivo che si auspica provengano, da parte delle istituzioni, quelle azioni che contribuiscano a una sempre più completa integrazione degli immigrati nella sfera pubblica, supportate però da accurate ricerche sul tema dell’immigrazione che non perdano di vista le radici storiche del fenomeno.