Fotografia di Dubai, dove i soldi mettono tutti d’accordo
Sergio Nazzaro intervistato da Sabrina Bergamini 30 giugno 2010

«New York nel deserto. Grattacieli svettanti, mille luci a ornare questa orgia di cemento e vetro nelle terre dell’Islam», scrive nel suo libro: cosa è Dubai?

Ci sono due Dubai: una era il sogno e mito del Medio Oriente, una città che prometteva tantissimo, e che oggi invece deve fare i conti non solo con una grave crisi, ma con un sistema che non è del tutto trasparente.

Nel libro coglieva già la crisi: «Sono almeno duemila le macchine abbandonate all’aeroporto, con tanto di chiavi inserite nel quadro. I proprietari sono saliti su un aereo per non tornare mai più. Il deserto comincia la sua avanzata. Macchine abbandonate, carte di credito buttate nei cestini, vestiti dimenticati negli armadi». Il crac finanziario era annunciato? Lei scrive il libro a novembre e la holding Dubai World chiede il congelamento dei debiti in quel periodo…

Non credo di essere un mago. Ho lavorato per molti anni a Dubai, quindi conoscevo la situazione. Quando si vende un pezzo di sabbia a diecimila euro al metro quadro, il conto non torna. Nella stessa crisi di Dubai World loro pensavano di aver risolto tutto, poi è uscito fuori un buco da diversi miliardi di dollari.

Qual è il bilancio di questa crisi?

A Dubai c’è stata una crisi dei loro conti interni, secondo me in parte diversa dalla crisi che ha investito il mondo. Loro non hanno problemi di liquidità, con i fondi sovrani coprono tutte le discrepanze. Il problema è avere una maggiore trasparenza nella gestione di tutto il denaro che confluisce negli Emirati.

Ci racconta la storia del Burj Khalifa, la torre più alta del mondo?

La Torre ha cambiato nome quando la famiglia reale di Abu Dhabi ha pagato dieci miliardi di dollari per ovviare ai problemi di finanza che aveva Dubai. Come riconoscimento hanno cambiato il nome alla Torre. Quindi la Torre più alta del mondo era in vendita: bastava pagare dieci miliardi di dollari.

Abu Dhabi vorrebbe realizzare l’Isola dei musei, un distretto della cultura progettato dai più grandi architetti del mondo. Il Khalifa è alto più di ottocento metri. Perché tutto è mega in quell’area del mondo?

Perché c’è una volontà di supremazia, una volontà di imporsi all’attenzione mondiale. Le risorse finanziarie non mancano, quindi è il posto dove si può osare maggiormente. Sono tutti oggetti altissimi, stratosferici, che possono piacere o non piacere, ma che denotano chiaramente una volontà di affermazione che passa attraverso la costruzione di opere imponenti.

I grattacieli sono costruiti sulle fatiche e sullo sfruttamento degli operai, nuovi schiavi. Ci sono mobilitazioni da parte delle organizzazioni dei diritti umani?

Ci sono stati report di Human Rights Watch che hanno denunciato le condizioni di queste persone, e la crisi ha portato allo scoperto queste situazioni. Poi niente di più.

A Dubai le civiltà si scontrano o si incontrano? Lei dice che si amalgamano: come?

Dubai poteva diventare ed è attualmente un luogo in cui tutte le civiltà e le religioni si possono incontrare: 180 nazionalità diverse che convivono tutte insieme. Oggi la crisi di Dubai è stata però “risolta” da Abu Dhabi che è molto più conservatrice. Cronache recenti: a Dubai è stato fatto un processo perché una coppia inglese si è baciata in pubblico, mentre ci sono migliaia e migliaia di investitori che hanno i soldi bloccati nei conti governativi. Che cos’è questo conservatorismo islamico che ritorna, distogliere l’attenzione? Togliere la possibilità di rendere il Medio Oriente un posto veramente diverso, più intrigante, e farlo conoscere al mondo. La corsa forsennata al soldo, che è uguale tanto per l’Oriente che per l’Occidente, per i cattolici quanto per i musulmani, ha distrutto quello che si stava seminando di buono.

Lei però dice anche che «nel privato, Amsterdam sembra un convento di suore rispetto a Dubai».

Sì: vizi privati, pubbliche virtù.

Passi per i grandi ricchi che apprezzano il lusso sfrenato e per gli evasori fiscali, ma perché Dubai è diventata meta turistica per la gente comune?

Dubai ha dei grossi meriti: un pezzo di deserto che diventa una grande attrazione turistica. Hanno creato il mito di Dubai, delle piste di sci nel deserto, una Disneyland per gli adulti con un grandioso marketing. Quando arrivi a Dubai sei servito e riverito, tutto funziona perfettamente, ti godi la vita. Arrivi a Fiumicino in Italia e il carrello per i bagagli all’interno dell’aeroporto costa un euro: è questo il problema. Così per chi viene da Singapore dopo tredici ore di viaggio il primo problema in Italia è quello di trovare un bancomat che gli dia l’euro perché altrimenti non può portare le valigie.

Si mettono d’accordo il Corano e il mondo occidentale consumistico?

Alla fine il soldo mette tutti quanti d’accordo. Semplice. C’era la possibilità di una terza via economica musulmana, non lucrare sugli interessi e quant’altro. Si è rivelato un falso perché alla fine oggi a Dubai ci sono continui processi contro manager, e frodi, c’è stato di tutto. Probabilmente i processi a carico dei manager occidentali in parte tendono anche a processare degli innocenti, mentre le responsabilità vere e proprie sono degli emiratini.

Quindi i principi della finanza islamica non sono stati applicati a Dubai?

Ognuno ha fatto speculazione. Ognuno si è divertito e ha lucrato come più poteva. Non sono mai esistiti santi né in Occidente né in Oriente: esistono solo i ricchi che sfruttano i poveri. Da una parte e dall’altra.