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  • Paolo Branca 12 agosto 2010
    Nasr Hamid Abu Zayd è l’icona forse più significativa del travaglio di un intero universo culturale. Per riprendere il celebre titolo delle memorie di prigionia di Andrej Sinjavskij, la sua è forse solo “una voce dal coro”, un coro di bocche chiuse che stentano a farsi ascoltare per i bavagli che le soffocano e per i clamori di chi grida più forte. Sono barlumi di speranza che sembrano poca cosa tra i cupi bagliori che dominano l’orizzonte, ma sono anche l’unico seme che sotto tante macerie sappia promettere un ritorno alla vita.
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