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  • Vincenzo Paglia

    Tutte le religioni ne sono toccate. Anzi, si tratta di una questione che interessa l’intera società, vista la rinascita del fenomeno religioso contemporaneo. Samuel Huntington sostiene l’inevitabilità del “conflitto delle civiltà”: nel nuovo mondo post-guerra fredda, i conflitti più profondi, più laceranti e più pericolosi non saranno quelli tra classi sociali, tra ricchi e poveri o tra altri gruppi caratterizzati in senso economico, bensì tra gruppi appartenenti ad entità culturali diverse. Il dibattito suscitato da questa tesi si è immediatamente acceso ed ha coinvolto gli studiosi delle dinamiche sociali e gli stessi responsabili della cosa pubblica, trovando non pochi sostenitori.

    Uno tra i tanti è J. Delors, il quale esplicitamente sostiene che “i futuri conflitti saranno innescati da fattori culturali più che economici o ideologici”. Se poi è vero che “le grandi religioni sono le fondamenta su cui poggiano le grandi civiltà” (C.Dawsion), comprendiamo quanto la tesi di Huntington entri prepotentemente dentro la questione religiosa contemporanea. Accanto a questo fenomeno che concerne l’intero assetto planetario, c’è poi il moltiplicarsi di nuove situazioni di coabitazione che comportano un accentuato pluralismo religioso. L’Europa, un paese di antica tradizione cristiana (dove il non cristiano era l’ebreo o, in maggioranza, il non credente) deve fare i conti (culturalmente, giuridicamente, socialmente) con numerose comunità non cristiane presenti nel proprio territorio.

    È ovvio che tutto ciò porta a considerare in modo nuovo il mondo delle religioni. Esse, iscrivendosi così fortemente nell’identità dei popoli, diventano un fattore non secondario nel favorire o nel frenare i conflitti o la coabitazione. Non mancano certo motivi di preoccupazione, quando ad esempio si deve registrare che l’appartenenza ad una o all’altra religione colora fortemente i conflitti, anche se non li genera (basti pensare a quanto è accaduto nei Balcani). Il dialogo è una strada inevitabile se vogliamo evitare quello scontro di civiltà, previsto da Huntington. Ha ragione forse Hans Kung: “Non c’è pace mondiale senza pace religiosa, come non c’è pace religiosa senza dialogo”. La pace tra le religioni è uno dei termini della futura pace mondiale. Ci si potrebbe chiedere: ma com’è possibile l’incontro tra realtà religiose che si pongono in modo esclusivo e totalizzante?

    Non credo che la via da seguire sia quella di trovare una sorta di religione universale comune; e non solo perché impercorribile di fatto. Nessuna delle religioni deve indebolire la propria identità, o intaccare l’integrità della propria fede. Al contrario essa va decisamente salvaguardata; è anzi condizione essenziale del dialogo. Ho potuto constatare, nella mia piccola esperienza, che più si va al fondo della propria fede più si riesce a comprendere la posizione e la ricchezza altrui. È una vera e propria rivoluzione culturale quella del dialogo. Forse è una via lunga, poco visibile, faticosa, ma è decisiva. In sintesi direi che tra il fondamentalismo che crede in un’unica verità posseduta in modo pieno ed esclusivo, e il relativismo che nega persino l’idea di una sola verità, c’è una posizione intermedia: la verità è certamente una, ma non la si possiede interamente ed esclusivamente. Tutti siamo pellegrini verso di essa.