Quando Arafat protesse gli ebrei
Martina Toti 27 October 2006

Quando un blogger decide di firmarsi "un cuore infranto", ci si immagina quanto meno che il suo diario digitale non contenga altro che lamenti e tormenti di un contemporaneo, giovane Werther. Le passioni di uno Sturm und drang di oggi. Ma la storia di Aaron, il blogger, è diversa. Aaron è uno studente universitario libanese che, pur non essendo ebreo, ha deciso di dedicarsi alla ricerca della comunità quasi perduta degli ebrei del Libano. Nella sua pagina di benvenuto al sito spiega agli increduli: "La gente è sorpresa dal fatto che un non-ebreo sia così coinvolto eppure rispondo a chi mi critica che se si crede per davvero nel Libano, si crede in tutti i libanesi, ebrei compresi".

Il fatto è che di ebrei in Libano ne sono rimasti assai pochi. Anche se non si dispone di dati certi a causa della mancanza di censimenti ufficiali successivi al 1932, le stime parlano di un centinaio di persone di cui solo una quarantina a Beirut. Nella capitale la sinagoga Maghen Abraham è il tempio diroccato di un popolo disperso. Il tetto quasi completamente distrutto, il pavimento sconnesso, le iscrizioni cancellate, all’interno restano solo due stelle di David. Chi è rimasto non ama parlare della sinagoga e del suo passato. Aaron ha enormi difficoltà a rintracciare qualcuno disposto a raccontargli la propria storia. C’è Moshe, nome fittizio di un ebreo settantenne il quale, alla fine, tre anni fa, ha deciso di lasciare Beirut per andare a vivere a Parigi. Aaron riporta l’intervista che Moshe ha rilasciato qualche settimana fa a Ynetnews.com.

Quando il suo racconto diventava troppo denso di ricordi, Moshe chiedeva al giornalista di fermarsi, di rallentare il passo: ricordare è doloroso. Bisogna organizzare i propri pensieri. Negli anni ’50 – ’60, Beirut "era una città molto bella. Ebrei, drusi, sciiti, sunniti, cristiani vivevano tutti in pace, da buoni vicini e da buoni amici. C’erano pochissimi problemi tra di noi. Avevamo sedici sinagoghe a Beirut; erano tutte piene." Storicamente, l’ebraismo era una delle diciotto confessioni religiose riconosciute ufficialmente in Libano. Gli ebrei godevano degli stessi diritti di tutte le altre minoranze, e – di fatto – il loro numero era in continua crescita anche dopo la guerra arabo-israeliana del 1948. A quell’epoca gli ebrei erano circa 14.000. Le cose cambiarono quando esplose la guerra civile. Nella capitale libanese rimasero non più di 1800 ebrei. Ma capitava, a volte, che quelli che vivevano nel quartiere della sinagoga venissero protetti da Fatah, il gruppo di Arafat.

"All’epoca compivano ancora una distinzione tra un ebreo e un israeliano." Le cose peggiorarono quando Israele invase il Libano nel 1982. Moshe ricorda di aver pensato che fosse tornata la pace, ma il prepotente ingresso sulla scena di Hezbollah e i conflitti con gli sciiti di Nabih Beri ridussero ulteriormente la presenza ebraica. In soli tre anni, altri 300 ebrei lasciarono il paese. Le case di preghiera vennero abbandonate e le sinagoghe razziate. Nel 2002, quando la comunità languiva, Hariri propose di ristrutturare la sinagoga Maghen Abraham. Il restauro, però, non iniziò mai e la vicina scuola talmudica venne rasa al suolo per lasciare ad altri edifici, fatti costruire sempre da Hariri, la possibilità di una vista sul mare. Moshe se ne è andato, stanco della paura, della mancanza di sicurezza. Ma i quaranta che sono rimasti, dice convinto, non se ne andranno mai.

Anche Aaron sembra esserne sicuro. Lo scopo del suo blog è "ristabilire una connessione tra i libanesi di fede ebraica nel mondo e il loro paese d’origine. Il messaggio di coesistenza e genuina unità nazionale non è attuabile fintanto che un frammento del mosaico delle minoranze del Libano risulterà mancante. Il nostro unico intento è dare nuova vita alla comunità ebraica libanese, o almeno, onorare quella comunità un tempo vibrante". "Questa è la mia storia, – scrive Aaron – il Libano in cui credo è il Libano dell’umanità, della coesistenza, dell’amore e della tolleranza. L’etica su tutto il resto, sulla politica, sull’odio. … Basta con l’ignoranza e l’odio cieco. Un cuore infranto, un figlio ottimista, Aaron".

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