«C’è più libertà politica, ma meno sicurezza personale»
Bessma Momani intervistata da Ernesto Pagano 23 July 2010

Ricostruire la coesione sociale sembra uno dei tasselli fondamentali per ricostruire l’Iraq: è stato fatto qualche passo avanti?

Non penso ci siano molti risultati positivi in termini di coesione sociale. La popolazione irachena non vive quella che potrebbe definirsi una vita normale. Certo, oggi ci sono meno morti, ma le relazioni sociali sono state pesantemente compromesse.

Lo è anche l’identità nazionale?

L’identità nazionale è da sempre stata una questione aperta, dalla monarchia all’avvento del partito Baath. Ma prima ogni cosa ruotava attorno a Baghdad. Oggi, invece, la costituzione, così come le altre istituzioni irachene, è estremamente decentralizzata, al punto che avere un’identità nazionale risulta quasi in contraddizione con la stessa struttura del paese.

Quindi a Saddam Hussein almeno “il merito” di aver tenuto unito l’Iraq…

Certo, il paese era più unito, anche sulla scia della tensione e della repressione inferta dal governo. Non si può dire che il processo di acquisizione dell’unità fosse giusto, ma il risultato fu quello di un Iraq unito e centralizzato. Oggi il paese è diviso in tre regioni, ognuna in conflitto con l’altra. Certe minoranze non sono nemmeno menzionate dalla costituzione: se sei armeno o caldeo, la costituzione semplicemente ti ignora.

Parlando di ricostruzione materiale: il paese soffre ancora di mancanza di infrastrutture di base, come acqua ed energia elettrica…

In effetti è paradossale: questo dovrebbe essere il secondo più grande produttore di petrolio al mondo, ma ha una popolazione che vive con standard paragonabili a quelli dei paesi più poveri del pianeta.

Come spiega questo paradosso?

Parte del problema è legato al fatto che l’Iraq non è riuscito ad attrarre capitali stranieri per la ricostruzione. L’altro riguarda la fuga dei cervelli. Gli ingegneri e gli altri professionisti hanno lasciato il paese. Costruire le infrastrutture di base necessita di un bagaglio di conoscenze tecniche di cui l’Iraq è stato privato a partire dagli anni ’90. Gli oleodotti danneggiati, gli impianti elettrici da ricostruire, necessitano tutti in egual misura di fondi e di know how.

Quale Iraq si lasciano alle spalle le truppe americane?

Bisognerebbe chiederlo ai suoi abitanti. Di sicuro hanno maggiore libertà politica, ma il resto della loro vita è assolutamente peggiorato. C’è molta meno libertà personale. Puoi esprimere le tue opinioni, ma poi non sei in grado di uscire liberamente per strada senza che la tua sicurezza personale sia a rischio.

Quindi libertà di espressione quasi fine a se stessa…

I giornalisti iracheni adesso possono dire quello che vogliono. Ma dopo che lo hanno detto nessuno potrà garantire per la loro incolumità. Lo stesso vale per la libertà di espressione politica. In un paese in cui non c’è mai stata una tradizione democratica, questa “libertà” può avere degli effetti controversi. Questo serve a poco se manca un bilanciamento tra libertà politica ed educazione politica.

Dove ha sbagliato maggiormente la Casa Bianca?

Molti sono convinti che l’errore più grande sia stata la debaathificazione che ha voluto dire, oltre a smantellare l’esercito, rimuovere dal settore pubblico – all’epoca il maggior datore di lavoro – tutta la popolazione sunnita iscritta alla partito Baath. Il problema è che sotto il regime di Saddam un impiegato era costretto ad avere la tessera del partito per lavorare. Lo stesso valeva per gli insegnanti, persino per gli spazzini. Ridurre questa massa di persone alla disoccupazione, senza prospettive di integrazione nell’attuale Stato, vuol dire poi ritrovarsele nei movimenti che lottano contro l’occupazione.

La politica di Obama è risultata diversa rispetto a quella del suo predecessore?

L’unica cosa che lo differenzia da Bush è quella di essere riuscito a parlare almeno delicatamente agli iracheni e alle altre popolazioni del Medio Oriente. Penso comunque che la questione più importante per Obama resti l’Iran. Dobbiamo tener presente che l’Iraq è stato isolato dagli altri Paesi del Golfo, e questo ha spinto il governo di Baghdad a guardare verso Teheran alla ricerca di un alleato strategico. L’amministrazione Obama dovrebbe cercare una mediazione con l’Iran. Ma diventa sempre più difficile, soprattutto perché al Congresso, con le elezioni di medio termine tra qualche mese, ci si aspetta che Obama usi le maniere forti con Teheran.

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