Politica della preghiera islamica nella sfera pubblica europea
Nilüfer Göle 9 December 2010

Nilüfer Göle, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Parigi

I musulmani che abitano le città europee stanno portando la religione al centro dell’attenzione pubblica. L’Islam acquista visibilità con l’apparizione di simboli personali di fede da un capo all’altro del Vecchio Continente. La diversità islamica si manifesta attraverso le giovani studentesse che scelgono di portare il velo e, pur vivendo in Europa, adottano codici di abbigliamento islamici. In Francia, simili pratiche hanno stimolato un importante dibattito pubblico, noto come questione del velo, al quale ha poi fatto seguito la disputa sul “burqa”. Il copricapo femminile islamico, dal semplice foulard al velo che copre interamente il corpo e il volto, è un esempio della diversità islamica percepita come “anacronistica” e in contrasto con i valori europei di laicità e parità di genere. In sintonia con l’opinione pubblica, si è introdotta una legge che vieta l’esibizione di simboli religiosi, in particolare il foulard islamico nelle scuole pubbliche e il velo integrale (capelli, volto e corpo) nelle strade e nei luoghi pubblici. L’opinione pubblica in generale e l’iniziativa politica, dunque, hanno trovato un punto di consenso: bandire i simboli religiosi islamici dalla vita pubblica. Ma questo consenso maggioritario, che unisce differenti classi politiche e pubblici cittadini, raccogliendoli sotto una presunta categoria di valori nazionali, laici e occidentali contro i nuovi arrivati, i gruppi minoritari, comporta anche una potenziale minaccia contro la politica inclusiva, fatta di democrazia e vita pubblica partecipata.

Velo e preghiera

L’usanza del velo islamico è adottata da gruppi di giovani che si avvicinano alla fede islamica e, al tempo stesso, esprimono l’ambizione di realizzare il proprio percorso educativo e professionale in Europa. Il velo integrale, d’altro canto, è usato solo da una minoranza che si rifà a un’interpretazione dell’Islam più ascetica e fondamentalista. Minoranza di cui fanno parte anche coloro che si sono convertite, vale a dire cittadine europee “native”. Il velo e la preghiera, due precetti dell’Islam, portano la religione nella vita pubblica e nel dibattito europei. Se il copricapo femminile islamico ha dato vita a una disputa teologica anche tra i musulmani, la preghiera è considerata un rito religioso fondamentale comune a tutti i fedeli. La preghiera è un obbligo per ogni credente, una comune espressione di fede della maggioranza dei musulmani. In Europa, dove i musulmani costituiscono una minoranza, la preghiera sta diventando una questione di rilevanza pubblica. Dalla prospettiva del discorso liberale sulla libertà religiosa e di professione di fede, quest’ultima ha bisogno di un luogo di culto. In tal senso, la richiesta di sale di preghiera e di costruzione di moschee per i musulmani che vivono in Europa può essere intesa come un diritto alla libertà religiosa. Il discorso liberale, tuttavia, non basta a inquadrare le rivendicazioni religiose. Il velo e la preghiera, quali nuove forme di visibilità dell’Islam in Europa, innescano una serie di reazioni e dibattiti sui princìpi di laicità e sui valori europei, e in qualche caso rendono necessarie leggi proibitive contro queste stesse forme di visibilità da un capo all’altro del Vecchio Continente. Il referendum che ha introdotto il divieto di costruzione di minareti in Svizzera segue e illustra tali dinamiche in atto (1).

Pratiche religiose di contestazione

In un contesto europeo laico e segnato dai flussi migratori, l’Islam acquista forme e significati differenti. Il contesto dell’immigrazione richiede ai musulmani lo sforzo di ri-apprendere a praticare la propria religione. Si deve trovare il modo di essere un “buon musulmano” in un contesto europeo laico e multireligioso.

La fede religiosa, dunque, non è una categoria fissa, stabile e opaca: è destabilizzata dagli spostamenti migratori e soggetta a reinterpretazioni. Le catene di trasmissione della conoscenza religiosa sono spezzate, il trasferimento intergenerazionale e l’apprendimento in seno alla famiglia, così come le comunità religiose nei paesi di origine, non bastano (differenze linguistiche e ambientali) a offrire una guida alle giovani generazioni. In un contesto laico e multireligioso, la fede è costantemente soggetta all’apprendimento e a supervisione in vista di una più rigorosa ricerca del sentimento religioso e di una maggiore consapevolezza del proprio credo. Nei paragrafi che seguono cito tre casi di preghiera che hanno dato vita a un dibattito pubblico per illustrare la specificità di pratiche religiose di contestazione nello scenario europeo.

a) Preghiera musulmana in una scuola superiore di Berlino. Nel quartiere di Wedding, un sedicenne di nome Yunus è stato il primo studente in Germania a rivendicare il diritto di pregare a scuola. Nel contesto di una scuola superiore ispirata a princìpi laici, seguire l’obbligo religioso di pregare cinque volte al giorno a ore prestabilite crea tensioni. Il ragazzo pregava durante gli intervalli, mettendosi in ginocchio sopra la sua giacca stesa in mezzo a un corridoio del liceo. Inizialmente il tribunale ha stabilito che vietare allo studente di pregare a scuola avrebbe significato una violazione del diritto alla libertà religiosa e ha accolto la richiesta di una sala di preghiera. Altri, tuttavia, hanno sostenuto che la scuola è uno spazio neutrale, requisito della pluralità religiosa. Altri ancora hanno insinuato sospetti sulle convinzioni religiose di Yunus, interpretando la pratica della preghiera come un atto politico. Alla fine, il 27 maggio 2010 un tribunale di Berlino ha deciso che la preghiera a scuola avrebbe rischiato di innescare conflitti e compromesso la tranquillità della vita scolastica. Ma la disputa non si è ancora conclusa: è stato presentato ricorso a una corte più alta, quella federale.

b) Nel gennaio 2009, dopo una manifestazione organizzata da associazioni pacifiste e di sinistra contro l’occupazione israeliana di Gaza, si è tenuta una preghiera pubblica davanti al Duomo di Milano. Il dibattito pubblico che ne è scaturito ruotava attorno a vari argomenti: agli occhi dei musulmani la preghiera pubblica ha fatto notare l’assenza di una moschea, mentre i cattolici hanno espresso la sensazione di essere invasi da una religione straniera; alcuni hanno posto l’accento sull’aspetto politico della preghiera e sollevato dubbi sull’intenzionalità della pratica religiosa, altri hanno messo in discussione la fedeltà dei cittadini musulmani all’Italia, dato che avevano manifestato a favore della Palestina.

c) Il terzo esempio riguarda la preghiera di un cittadino riconvertito davanti alla Mezquita, la moschea-cattedrale di Cordova. La Mezquita è il retaggio più famoso della Spagna musulmana e del periodo della Reconquista, oltre che una testimonianza della presenza dei musulmani in quel paese dall’VIII al XV secolo, al culmine del periodo omayyade. Nel 786 l’emiro omayyade acquisì il terreno su cui sorgeva la chiesa di San Vincenzo e vi eresse una moschea. Che dopo la Reconquista diventò una chiesa, e poi una cattedrale. Mansur Escudero (venuto a mancare lo scorso ottobre all’età di 63 anni), presidente della Giunta islamica, lui stesso convertito, o meglio “riconvertito”, rivendicò il diritto dei musulmani a pregare nella Mezquita. Escudero voleva trasformare la cattedrale in un centro multiconfessionale dotato di una moschea. Nel 2007 pregò davanti alla Mezquita per rendere pubblico il suo appello e dichiarò che stava tentando di «addolcire il cuore del vescovo».

Storie insolite di preghiera, diaspore, riconversioni e immigrazione. In un’Europa dove i riti, la cultura e la fede religiosa si manifestano in un contesto che vede i musulmani in minoranza. E impongono nell’agenda pubblica una serie di questioni nuove, come l’assenza di sale di preghiera e di moschee nei centri delle città. La preghiera, elemento comune a tutte le religioni monoteiste, diviene un motivo di divisione e controversia e passa al centro del dibattito pubblico, che si tratti di un’espressione di fede, di identità culturale o di strumentalizzazione politica. Il diritto delle minoranze musulmane alla cittadinanza viene discusso anche in relazione alla questione della fedeltà, o delle diverse fedeltà (al paese di origine, alla causa palestinese, alle reti islamiche globali che finanziano le moschee e formano gli imam).

Quei tre esempi illustrano bene i diversi volti dell’Islam europeo, e il modo in cui la religione islamica viene interpretata e manifestata da cittadini europei di origini differenti. Il passato musulmano a Codova e il tema della conversione (ritorno) all’Islam, l’immigrazione musulmana e le fedeltà transnazionali (la causa palestinese), il giovane studente di Berlino e l’integrazione: sono tutti esempi concreti dei diversi volti dell’Islam europeo. Ognuno di questi casi pone alla nostra attenzione forme di preghiera diverse e le mutevoli linee di confine tra religione privata e visibilità pubblica, devozione personale e percezioni pubbliche, tra fede e politica, preghiera collettiva e manifestazione politica, lo studente che prega in una scuola pubblica e il convertito che prega per protesta. Sollevando la questione dello spazio e della sua neutralità, si mette alla prova la convinzione che la laicità sia un requisito del pluralismo o, al contrario, un ostacolo alla società multireligiosa e multiculturale. (La scuola pubblica di Berlino, il suolo pubblico davanti al Duomo di Milano, la Mezquita di Cordova sono tutti esempi che, in modo diverso, rivelano le tensioni tra laico e religioso, come pure tra religioni differenti).

Le questioni relative allo spazio, alla cittadinanza e all’autorità statale sono strettamente legate tra loro. Tali circostanze mostrano in che modo le identità religiose cambiano e contestano la politica della laicità e della neutralità. La politica della preghiera mette in rilievo la questione della proprietà e dell’esclusione nello spazio, le regole che ne determinano l’organizzazione e l’impronta dell’autorità statale che definisce e controlla le linee di confine tra pubblico e privato, norme sacre e religiose, cittadini ufficiali e “stranieri”.

La moschea stessa è un’interfaccia tra musulmani e non musulmani. Quali forme, spazi e modelli concettuali accordare a una moschea? Una moschea deve sempre avere una cupola e un minareto? Può esistere una moschea che non sia identificabile come tale? È possibile separare i minareti dalle moschee? Si può sostituire la parola “moschea”, che ad acuni fa paura, con “luogo di preghiera”? In Europa, minareti e moschee devono far fronte a problemi “esistenziali”; i primi sono sempre muti senza il richiamo alla preghiera dei muezzin, e le seconde acquistano nuove forme architettoniche in sintonia con il paesaggio e il patrimonio delle aree circostanti. Come può la moschea raccogliere diverse comunità etniche? I turchi, per esempio, frequentano le moschee dei pachistani a Birmingham? Le moschee turche di Berlino sono frequentate anche dai nordafricani e da altre minoranze musulmane? Come scegliere la lingua del sermone? Come ripensare lo spazio della moschea per le donne e i giovani e come sede di varie attività? Sono tutte domande importanti alla luce della vita reale e delle esperienze quotidiane dei musulmani in Europa. La moschea è un’interfaccia tra l’ambiente urbano, i cittadini musulmani e il pluralismo religioso. L’accettazione della sua visibilità comporta una serie di negoziazioni e regolamentazioni – sul piano estetico, religioso, economico, architettonico e spaziale – nel corso della sua trasformazione in oggetto del patrimonio comune in divenire (2).

La religione islamica sta entrando in una fase di interpretazione e cambiamento, diventa “indigena” ed europea; tutto questo si traduce in pratiche personali di devozione, oltre che in una negoziazione e sperimentazione sociale collettiva. Le leggi proibitive che escludono i musulmani dalla partecipazione alla vita pubblica interrompono questo processo con la politica dell’esclusione, ponendo fine al percorso di interazione e scambio reciproco. La democrazia è lo spazio del negoziabile; la politica e le opinioni pubbliche che rivendicano il non-negoziabile rischiano di tradire l’ideale democratico.

La nuova destra populista e l’islamofobia

Il confronto con l’Islam fa passare i cittadini e i paesi europei considerati parte della periferia del Vecchio Continente al Centro. La Svizzera, che non è un paese membro dell’Unione europea, sta diventando europea, e irrompe al centro dei dibattiti del Vecchio Continente passando per la porta dell’Islam. Altri paesi europei hanno avviato un intenso dibattito sul referendum svizzero, giudicato ora come un errore da evitare, ora come un atto di coraggio pubblico che esprime ciò che la gente pensa in privato. Il manifesto svizzero contro i minareti viene riprodotto in altri paesi europei da movimenti affini, come il gruppo «pro-Köln» (per Colonia) in Germania, la Lega Nord in Italia, il British Nationalist Party in Inghilterra. Il movimento anti-islamico innesca una dinamica europea transnazionale. Figure politiche marginali – come Oscar Freysinger in Svizzera, Geert Wilders nei Paesi Bassi, Philippe de Villiers e Marine Le Pen – diventano personaggi pubblici e popolari della politica mainstream. E operano un cambiamento del discorso e dell’agenda politica passando dalla retorica anti-immigrazione alla politica anti-Islam. I personaggi che scelgono di fronteggiare l’Islam, ponendo l’accento sulla religione o sulle questioni di genere, acquistano risonanza e popolarità nella scena pubblica europea. Gli ex-progressisti del movimento post-sessantottino aderiscono a simili tendenze populiste. La libertà di espressione, la parità di genere e la laicità vengono mobilitati in contrapposizione ai musulmani europei. L’Islam diviene una forza attiva nella europeizzazione della sfera pubblica. Resta da capire, tuttavia, se questa Europa non stia voltando le spalle ai suoi ideali democratici ricorrendo alla politica della paura, allestendo nuove barriere culturali, abbracciando la politica dell’esclusione. La politica della preghiera diventa una sfida nella ridefinizione della vita pubblica europea e del pluralismo culturale.

Note:

1. Il referendum si è tenuto il 29 novembre 2009 in Svizzera. L’iniziativa per il referendum è stata promossa non dallo Stato, ma dal “Comitato di Egerkingen”, composto da due partiti populisti di destra: il Partito popolare svizzero (Svp) e l’Unione democratica federale (Udf). Il 57 per cento degli elettori ha approvato un emendamento costituzionale che vieta la costruzione di minareti.

2. Si vedano i miei articoli in cui sviluppo l’argomento in modo più dettagliato. Nilüfer Göle, “Les minarets, symboles muets de l’Islam et leur résonance dans l’espace public européen”, in Reset-Doc; e “Mute Symbols of Islam”, in The Immanent Frame.

Traduzione di Enrico Del Sero

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