Egitto, Libano e Giordania. Dove il Codice Da Vinci fa paura
Daniele Castellani Perelli 19 September 2006

Chi ha paura del Codice Da Vinci? Molti, a quanto pare. E molti paesi. Il film di Ron Howard, basato sul romanzo bestseller di Dan Brown e interpretato da Tom Hanks e Audrey Tatou, è stato proibito in diversi paesi (Egitto, Libano, Giordania), mentre nelle Filippine è “solo per adulti”. Il libro di Dan Brown è stato pubblicato per la prima volta nel 2003, ha venduto più di 40 milioni di copie, ed è stato più di due anni sulla lista dei più venduti del New York Times. Nel libro, Brown scrive di una cospirazione della Chiesa cattolica per coprire il presunto matrimonio di Gesù Cristo con Maria Maddalena e la nascita del loro bambino. Nelle ultime settimane diversi gruppi cristiani hanno protestato nel mondo contro il film, più intensamente di quanto avessero già fatto per il libro (il che significa che un film è considerato più pericoloso di un libro). L’indignazione è stata probabilmente alimentata dal Vaticano, che ha chiesto ai suoi fedeli di boicottare libro e film, ritenendo il tutto un “sacco pieno di bugie”. Ma, sorprendentemente, anche diversi paesi islamici hanno protestato contro il film, e l’hanno proibito.

Partiamo dal Libano, l’unico paese ad aver vietato anche il libro, nel 2004. Tradotto in arabo, è stato poi sequestrato dalle autorità libanesi su richiesta del Catholic Media Centre libanese. Ora i libanesi dovranno espatriare, se davvero vorranno vedere il film. Ma, nel caso, sarebbe inutile per loro andare in Egitto, Siria e Giordania, perché questi sono gli altri tre paesi mediorientali che hanno ufficialmente proibito il film. In Egitto ne era prevista l’uscita il 17 maggio. Una settimana prima i trailer del film sono stati vietati, perché il capo dell’ufficio della censura aveva annunciato di non aver ancora ricevuto una copia del film per decidere se mostrarlo o meno. In Giordania è stato il Consiglio delle Chiese, la principale organizzazione cristiana del paese, a richiedere la cancellazione.

Giordania e Egitto bandiscono il film perché “danneggia simboli religiosi cristiani e musulmani mettendo in dubbio ciò che è scritto nei Vangeli e nel Corano sulla personalità di Cristo”, secondo il segretario generale del Consgilio delle chiese giordane, l’arcivescovo Hanna Nour. Recentemente, la Giordania ha proibito “Syriana”, “Paradise Now” e “Munich”, mentre nel passato l’Egitto ha vietato la “Cleopatra” di Elizabeth Taylor (1963), “L’avvocato del diavolo” (del 1997, con Al Pacino) e ha consentito l’uscita della “Passione di Cristo” di Mel Gibson (2004), denunciato come antisemita da molti gruppi ebraici. Il Pittsburgh Tribune-Review ha recentemente raccontato la storia di Moustafa Darwish, che ha lavorato come critico cinematografico in Egitto e ha diretto la censura governativa negli anni Sessanta. Darwish ha ricordato che “molti film che avevano qualcosa a che fare con la religione…venivano proibiti”, anche se sapeva che non contenevano “nulla contro l’ordine pubblico o la morale”. Darwish venne licenziato perché autorizzò la proiezione dei trailer di “Cleopatra” e di “La bisbetica domata” (Elizabeth Taylor era considerate una “agente sionista”).

Al momento, Bahrein, Israele, Kuwait, Oman, Qatar e gli Emirati Arabi Uniti sono gli unici paesi mediorientali in cui è possibile vedere il Codice Da Vinci. Nelle Filippine gli è stato assegnato il giudizio “per soli adulti”, il che significa che il controverso thriller religioso non potrà essere visto dai minori di 18 anni, in questo paese prevalentemente cattolico in cui la maggiore catena di sale cinematografiche non mostra film vietati ai minorenni. In Tailandia, paese a maggioranza buddista, il pubblico potrebbe non vedere il film dopo che la censura, diretta dalla polizia, ha ordinato il taglio degli ultimi dieci minuti e il cambio di alcuni sottotitoli, prima dell’uscita del film. Il consiglio ha ordinato il taglio delle scene finali perché colpiva la fede cristiana, ha dichiarato il censore Chavana Phavakanant, citato dal Bangkok Post.

L’ufficio della censura di Singapore ha proibito la vendita dei biglietti ai minori di 16 anni. In India, il governo dello stato di Goa ha approvato una risoluzione che chiedeva di bandire il film. In segno di solidarietà con la comunità cristiana, il clero e i gruppi musulmani di Mumbai hanno chiesto che il Codice Da Vinci sia vietato anche in India. “Non possiamo tollerare nessun insulto a Cristo”, ha dichiarato alla rivista indiana rediff.com Maulana Mansoor Ali Khan, segretario generale di All India Sunni Jamat-Ul-Ulema, un’organizzazione di clerici islamici. “Nel sacro Corano è scritto chiaramente che Gesù è uno dei nostri profeti. Il Codice Da vinci sostiene che Gesù era sposato. E’ blasfemo”, ha aggiunto Ali Khan. Alla fine, comunque, il governo indiano ha dato il via libera al film, purché all’inizio ricordi agli spettatori che è solo fiction.

Ma non tutti nel mondo musulmano hanno paura del Codice Da Vinci. Alcuni sostengono che ci sono delle lezioni da imparare. Come Rana Abu Ata, corrispondente da Riyadh per la TV al-Arabiya. Il 2 ottobre del 2005 ha scritto un articolo per il quotidiano internazionale arabo con sede a Londra al-Hayat, come riporta il sito tomgrossmedia.com. Rana Abu Ata ha parlato dell’importante ruolo giocato dalla donna nella formazione del Cristianesimo, come sostenuto da Dan Brown, e ha riflettuto sui possibili effetti che la storia potrebbe avere sulle giovani del mondo musulmano. Il romanzo, ha scritto, “ha aperto porte che erano sigillate dietro dei veli”. Il cuore della discussione, ha aggiunto, è la necessità di discutere dello status delle donne nelle moderna società arabe, e l’ingiusta riduzione dei loro diritti, avvenuta malgrado il Corano dica che uomini e donne dovrebbero essere uguali. Forse questa è una delle ragioni per cui non è solo la Chiesa Cattolica ad avere paura di un film commerciale.

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