Verso una guerra civile?
Jim Sleeper 3 June 2010

Se non fosse ignobile sarebbe comico: con il criminale assalto dell’altra notte alla flottiglia di pacifisti che trasportavano aiuti umanitari a Gaza, il governo di Benyamin Netanyahu si sta trasformando, agli occhi del mondo, in una perfetta imitazione della Corea del Nord. Gi attivisti non sono tutti puri, ma il governo di Israele li ha appena resi tali. La settimana scorsa, esso si è comportato in modo stupido vietando a Noam Chomsky l’accesso in Cisgiordania al valico di Allenby; adesso, magari, potrebbe farsi dare dei suggerimenti da Pyongyang.

Nel frattempo, nel Paese la polemica sta arrivando al punto di ebollizione, rischiando di innescare quella guerra civile sfiorata nel 1995, con l’assassinio di Yitzhak Rabin da parte di un ebreo ortodosso di destra. Sebbene Netanyahu ce l’abbia fatta per il rotto della cuffia dopo la guerra di Gaza, con una legittimazione di poco superiore a quella che aveva George W. Bush nel 2000, alcune correnti sotterranee sono state dalla sua parte. Alla Hebrew University di Tel Aviv, docenti e studenti che incarnano il meglio di ciò che un tempo ammiravamo di Israele sono preoccupati per l’elevato tasso di natalità degli ebrei ortodossi anti-illuministi e per l’effettiva presa di controllo del loro Paese, un tempo social-democratico (Israele vanta ancora oggi uno dei migliori sistemi di assistenza sanitaria del mondo) da parte di centinaia di migliaia di astuti e cinici ebrei russi.

E’ angosciante il disprezzo manipolativo con il quale questi due potenti gruppi stanno giocando d’azzardo e avvilendo una società giusta ed ecumenica, al progresso della quale gente più forte e più nobile ha dedicato, mettendola a rischio, la propria vita. Ma Netanyahu e soci stanno andando decisamente oltre questioni come il tasso di natalità, e quanto meno ciò può dissolvere ogni illusione progressista prima che sia troppo tardi. Il governo ha lasciato che la flottiglia “sospingesse Israele in un mare di stupidità”, scrive Gideon Levy, opinionista di Haaretz, il principale quotidiano progressista del Paese.

“Eravamo decisi ad evitare uno sguardo onesto sulla prima guerra di Gaza. Ora, aprendo il fuoco in acque internazionali su di un gruppo di operatori e di attivisti umanitari, stiamo combattendo e perdendo la seconda”, scrive Bradley Burston, redattore capo di Haaretz. “Non stiamo più difendendo Israele. Ora difendiamo l’assedio. L’assedio sta diventando il nostro Vietnam”. Burston lo sa bene: nato a Los Angeles, laureato a Berkeley, si è trasferito in Israele negli anni Settanta, assieme ad alcuni giovani americani che conoscevo, per stabilirsi nel Kibbutz Gezer, un avamposto progressista tra Tel Aviv e Gerusalemme. Se ci si rammenta di quanto, durante gli anni della guerra del Vietnam e di Nixon, Israele apparisse più nobile e giusta degli Stati Uniti, si potrà capire per quale ragione Burston abbia prestato servizio nelle forze di Difesa israeliane come paramedico e abbia studiato medicina a Be’er Sheva per due anni.

Ma Burston deve sapere anche che il suo graffiante paragone con il Vietnam ha dei limiti: gli Stati Uniti avrebbero potuto abbandonare il Vietnam senza pericolose conseguenze. Volendo paragonare le due situazioni, a Gaza, l’influenza dell’Iran e di altre potenze rende la situazione israeliana un po’ più…esistenziale. Inoltre gli israeliani non hanno alle spalle, come gli americani, la conquista di un intero continente senza doversene preoccupare. Anche la loro storia è più …esistenziale. Ma proprio per queste ragioni, scrive Haaretz, le forze di sicurezza israeliane, ora, sono in stato di massima allerta, pronte ad affrontare le proteste interne, forse persino una terza intifada qualora si dovesse scoprire che è stato ucciso uno degli attivisti palestinesi che si trovavano a bordo della flottiglia. Già soltanto questo mette in luce la stupidità del governo.

Che tipo di resistenza prevedono di attuare i progressisti israeliani contro tutto questo? Bernie Avishai, del TPM, ha partecipato e descritto alcune iniziative non violente, preparate insieme da arabi e israeliani a Gerusalemme Est e in altre zone. Ma cosa provocherà questo tra le fazioni di ebrei israeliani che ho appena citato? Ancora una volta, è utile ricordare le differenze che corrono tra Israele e gli Stati Uniti. Proprio perché in Israele c’è la coscrizione universale, l’esercito non è così militarizzante come si può credere. E’ un esercito nel quale nessuno rende il saluto a nessun altro e le norme civili si mescolano a quelle militari.

Ciò ha indotto Bernard Henri-Levi, parlando ieri all’ambasciata francese a Tel Aviv in sostegno di J-Street e dei suoi omologhi progressisti israeliani, ad osservare: “Non ho mai visto un esercito così democratico, un esercito che si pone tante questioni morali. Nella democrazia israeliana c’è qualcosa di insolitamente vitale”. Ciò che egli nota è che il servizio militare universale dà agli israeliani la sensazione di avere diritto a parlare apertamente, anche per esprimere dissenso, in un modo che la sinistra americana ha perso quando i conservatori hanno messo a segno il colpo da maestro di optare per un esercito di volontari, ridimensionando in tal modo la solidarietà degli americani contrari alla guerra e la loro sensazione di avere un incontestabile diritto di esprimere il proprio sdegno contro gli abusi del governo.

Tuttavia, cosa comporterà in Israele la sensazione di avere un tale diritto? Da un lato, il Paese conta nemici reali e sempre più forti –e, sì, spregevoli-, ad alcuni dei quali non importa nulla dei palestinesi, che loro stessi hanno oppresso e che usano come pedine in un balletto di atteggiamenti morali. Questo è un ammonimento per gli americani perseguitati dal Vietnam. D’altra parte, ci sono israeliani come i tanti che hanno collaborato con Haaretz e che alimentano un profondo sentimento di apprensione e di dignità calpestata tra coloro che, come molti di noi americani durante gli anni del Vietnam e quelli di Bush, che qualcosa, nella loro repubblica, è stato rubato. Questo non potrà continuare senza uno scontro. La domanda è: di che tipo?

Articolo tratto da Tpmcafé

Traduzione di Antonella Cesarini

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