La religione unisce o divide?
21 May 2010

La religione in sé costituisce un fattore di integrazione o di divisione all’interno delle società del terzo millennio? Una tavola rotonda per rispondere a quest’annosa questione ha avuto luogo il 21 maggio alla Bilgi University di Istanbul nel quadro degli Istanbul Seminars 2010. Alla tavola rotonda hanno partecipato Fred Dallmayr (professore presso il dipartimento di scienze politiche e di filosofia dell’università di Notre Dame, nell’Indiana), Abdou Filaly-Ansary (ex-direttore dell’Istituto per lo studio delle civiltà musulmane presso l’Università Aga Khan di Londra) ed Ibrahim Kalin (consigliere del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan).

Nel corso del dibattito Fred Dallmayr ha evidenziato la centralità del messaggio religioso nella nostra società a partire dall’identificazione dell’idea di Dio con l’idea di verità e di virtù. Percorrendo una via che sembra ricalcare le orme del pensiero filosofico di Emmanuel Lévinas, Dallmayr ha messo in luce la centralità di una cultura che vede l’alterità come condizione indispensabile per uscire da una visione egotista, individualista delle comunità umane. Da questo punto di vista il messaggio religioso non costituisce un fattore di separazione quanto piuttosto di unione, nel suo dare uno slancio etico e trascendente alle aspirazioni di una società. Il messaggio centrale delle religioni monoteiste consiste nella prospettiva dell’amore divino come riflesso universale dell’amore particolare per gli uomini.

Il problema sembra essere legato dunque all’interpretazione via via differente del messaggio religioso, in quanto la prospettiva storico-religiosa è istituita da uomini ed è per questo motivo soggetta a manipolazioni politiche di ogni sorta. Per chiarire il suo pensiero, Dallmayr usa una metafora sulla frase “voi siete il sale della Terra”. L’esistenza umana è legata indissolubilmente alla Terra ma non si confonde con essa. Quando la religione non è più il sale che dà ‘sapore’ alla terra ma corrisponde alla terra stessa, la religione entra in un dominio non suo e pretende di dirigere i governi e la politica. Questo porta diritto alle storture della teocrazia.

Nel suo intervento, invece, Ansary ha indicato che la religione può costituire un’altra via al vivere collettivo. Di fronte alla crisi della modernità assistiamo, soprattutto nel mondo arabo-musulmano, ad un ritorno al religioso che istituisce un importante quadro culturale, sociologico ed etico per pensare la vita collettiva. Il teorema ha funzionato per millenni e per Ansary può funzionare ancora oggi, pur con adeguati correttivi. La religione ha quella potenzialità di unire le genti attraverso il culto, le posture tradizionali, i rituali senza tempo che ci mettono in relazione con la nostra propria storia e sensibilità. Cercare di eliminare il sostrato religioso vuol dire alienare la comunità dalla propria storia. Per Ansary la religione è il collante che unisce le collettività.

Ibrahim Kalin ha invece messo in rilievo il fatto che per le società europee il problema del multiculturalismo è diventato oggi esclusivamente il problema dell’Islam. Se prima si puntava il dito contro l’interpretazione fanatica di parte del messaggio coranico, oggi da una parte della società europea si levano voci contro l’Islam nella sua totalità, come se il problema non fosse più nella distorsione del messaggio iniziale ma nella natura stessa di questa specifica religione. Secondo Kalin il dibattito europeo sul rapporto tra religione e diritti ed obblighi civili è dominato da un’ossessiva visione securitaria, legata all’ordine pubblico e all’emergenza. Kalin ha ricordato che l’Islam è stata la prima confessione ad aver permesso alle altre religioni del libro di esistere sul proprio territorio geografico su base giuridica, il primo esperimento politico in vista della fondazione di una società multi-confessionale. Una visione che dovrebbe forse essere presa ad esempio oggi dove, soprattutto in Europa, assistiamo al trionfo ideologico di un’altra religione, quella del laicismo, che vorrebbe imporre la visione totalitaria di uno spazio pubblico aridamente aconfessionale.

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