«I cattolici devono osare di più»
Don Antonio Sciortino (direttore di «Famiglia Cristiana») intervistato da Federica Zoja 22 December 2010

Dopo i fatti di Rosarno, l’argomento immigrazione sembrava esser uscito dal dibattito politico italiano.

Purtroppo il fenomeno immigrazione, più che essere governato, spesso è strumentalizzato per lucrare consensi politici ed elettorali. Ciò avviene in Italia, ma anche nella Francia di Sarkozy, che era risalito nei consensi, sia pure di poco, grazie alle espulsioni dei rom. Non è affatto casuale che di stranieri si parli, con una certa ossessione, in coincidenza di passaggi elettorali, alimentando e ingigantendo le paure e le diffidenze della gente verso gli immigrati, usati come capro espiatorio per i malesseri sociali ed economici. Dopo, cala il silenzio nei media e nella politica. Eppure, la società multietnica e interculturale è già nei fatti, non si tratta di volerla o meno. Piuttosto, è una realtà che va governata al meglio. L’immigrazione è una scomodità, porta con sé diversi problemi, ma se ben governata è una risorsa che aiuta a crescere, notevolmente, i Paesi che si aprono all’accoglienza e a una vera integrazione. L’Italia, oggi, non potrebbe più fare a meno degli stranieri. Senza di loro sarebbe un Paese in ginocchio. Il loro lavoro rappresenta il dieci per cento della nostra ricchezza.

Anche nel dibattito interno alla Chiesa il tema è passato in secondo piano?

Intanto, nella comunità ecclesiale in Italia ci sono tante realtà che operano concretamente nell’accoglienza e nell’assistenza degli stranieri. E la Chiesa mantiene desta l’attenzione contro provvedimenti e politiche di esclusione e respingimenti, che violano non solo la dignità delle persone, i diritti inalienabili di tutti gli esseri umani, ma anche leggi e trattati internazionali cui devono attenersi gli Stati che pur li hanno sottoscritti. Contro le dichiarazioni del ministro Maroni per una linea più dura contro stranieri e rom, e contro le espulsioni dei rom in Francia, si sono alzate le voci autorevoli di monsignor Marchetto del Pontificio consiglio migranti e di monsignor Giancarlo Perego della fondazione Migrantes della Cei, che hanno deplorato provvedimenti contro gruppi etnici, come i rom. Per non dire dell’intervento di Benedetto XVI, all’Angelus di domenica 22 agosto, che ha invitato all’accoglienza delle genti di ogni Paese e a educare i giovani alla fraternità universale. Non sempre, questi interventi autorevoli sono sostenuti come si dovrebbe da un consenso ampio, soprattutto dai politici cristiani che militano nella maggioranza. Tra tanti distinguo, spesso prevale più la logica di schieramento politico che una difesa netta dei principi evangelici dell’accoglienza e dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, al di là del colore della pelle, della provenienza e del credo religioso.

A Suo giudizio, quale potrebbe essere il ruolo della Chiesa italiana nel rinnovare la riflessione su immigrazione, integrazione, accoglienza?

La Chiesa non è di parte, né deve dare l’impressione d’esserlo. Non è schierata con nessuna forza politica. Il suo ruolo è nell’annunciare, con forza, i valori e denunciare soprusi e discriminazioni verso i più deboli e indifesi, indipendentemente da chi li mette in atto. Forse, per favorire una maggiore accoglienza e integrazione degli stranieri, sia pure nel rispetto della legalità, i cattolici devono osare di più, essere fermento tra la gente, aiutando a vincere paure e diffidenze verso gli stranieri. Su questi temi la Chiesa deve alzare la voce, quando occorre. Non balbettare o tacere, perché il silenzio non è in linea col Vangelo. Come ci ricorda l’evangelista Matteo, parlando del giudizio universale, verremo giudicati anche su questo punto: “Ero forestiero e mi avete accolto” (Matteo capitolo 25).

Più di una polemica hanno scatenato le parole di Monsignor Rino Fisichella, intervistato dal Corriere della Sera qualche mese fa, in occasione del voto regionale: «Anzitutto credo che dobbiamo prendere atto dell’affermarsi della Lega, della sua presenza ormai più che ventennale in Parlamento, di un radicamento nel territorio che le permette di sentire più direttamente alcuni problemi presenti nel tessuto sociale. Quanto ai problemi etici, mi pare che manifesti una piena condivisione con il pensiero della Chiesa. Sull’immigrazione, bisognerà essere capaci di saper coniugare le esigenze dei cittadini e quelle del mondo del lavoro: sapendo che non possiamo considerare gli immigrati come merce lavoro, che esiste una dignità della persona che va rispettata, e che la Chiesa d’altra parte non potrà mai non andare incontro a una richiesta di legalità. Il nostro criterio è dialogare e rispettare il voto dei cittadini». Come ha interpretato tali affermazioni? Secondo Lei si tratta di esternazioni a titolo personale oppure del segnale di un effettivo avvicinamento fra Lega e Vaticano?

Se parlava a titolo personale o altro va chiesto direttamente all’interessato. Certo, la Chiesa deve prendere atto del voto popolare, e tentare di entrare in dialogo costruttivo con tutti. Ma non per questo può abdicare al Vangelo e avallare politiche in contrasto con esso. Né può farsi, facilmente, strumentalizzare, dando credito solo a opportuniste affermazioni di fedeltà alla dottrina della Chiesa. Anche in politica la coerenza è una virtù. Per tutti. Non si passa, dalla sera al mattino, dai riti celtici e il culto al dio Po all’ossequio al cristianesimo, dopo aver insultato i “vescovoni” di Roma. Per non dire altro. Se il cardinale di Milano ricorda che la preghiera è un diritto inalienabile della persona e chiede luoghi di culto anche per le altre religioni, si prende subito gli insulti di imam o “vescovo di Kabul” da parte dei leghisti. La stessa battaglia per il crocifisso è strumentale all’affermazione di un’identità cristiana in opposizione ai musulmani presenti nel nostro territorio. E’ una battaglia che salvaguarda il crocifisso come un arredo negli ambienti pubblici, ma ignora del tutto il messaggio che esso rappresenta. Quelle braccia stese sulla croce significano amore universale verso tutti gli uomini, senza distinzioni di nessun tipo. Sono aperte per abbracciare e includere tutti, non per escludere qualcuno. Non si può usare il crocifisso come arma di battaglia politica. Come ha ricordato il cardinale Tettamanzi: smettiamola di dirci cristiani, è più importante esserlo nella vita. La difesa delle radici cristiane la si riconosce dai frutti.

Che cosa sta cambiando e perché nelle posizioni vaticane in materia di migranti? Riscontra un maggiore irrigidimento?

La posizione vaticana in tema di immigrazione è stata sempre coerente e lineare nell’affermare i diritti fondamentali e la dignità della persona umana. Senza alcun cedimento. Lo stesso Papa, in più occasioni, ha difeso immigrati e clandestini, ha ricordato che anche Gesù è stato profugo in Egitto e ha messo in guardia contro il pericolo di un rinascente razzismo in tutto il mondo. Anche nell’ultima enciclica ha scritto che ogni straniero è persona come noi, con stessi diritti in tutto. E che se si parte da questo basilare principio è anche più facile affrontare il problema dell’immigrazione.

La sentenza Ue per la rimozione dei crocifissi dalle scuole può aver influito negativamente (benché il ricorso sia stato presentato da un’italiana di origine finlandese, non musulmana, come parte dell’opinione pubblica italiana ha invece dato per scontato) sul dialogo interreligioso e sul dibattito riguardante l’immigrazione?

La Chiesa ha affrontato nel corso dei secoli ben altri problemi. Anche se nella Costituzione europea non è stato fatto esplicito riferimento alle radici cristiane e anche se si tenta di rimuovere il crocifisso dai luoghi pubblici, l’Europa – come ricordava Giovanni Paolo II – o è cristiana o non è. Non si può capire nulla della nostra civiltà occidentale (arte, letteratura, pittura, musica…) se prescindiamo dal cristianesimo e dalla conoscenza della Bibbia. Combattere il crocifisso è opporsi a un messaggio universale di amore e tolleranza verso tutti. Condivisibile anche da chi non è credente. E’, inoltre, una battaglia di retroguardia, contro la civiltà e la stessa cultura. La Chiesa, non per questo, smette di dialogare con tutti, e a tutti offre opportunità di professare il proprio credo. Anche quando, in varie parti del mondo, non è ricambiata con il principio della reciprocità. E anche quando è perseguitata per la fede in Cristo.

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