Giornali in rivoluzione
Un'intervista di Elisa Pierandrei 30 August 2011

Il suo giornale è legato a una casa editrice, Dar Al Shorouk.

Il fatto che il quotidiano sia stato legato sin dall’inizio a una casa editrice indipendente, Dar Al Shorouk, una delle principali nel mondo arabo, ha contribuito ad elevare gli standard di obiettività e sobrietà dei suoi contenuti. È l’idea che gli editori ribadiscono ad ogni meeting, quella di  fornire la più alta resa professionale nel mercato della stampa e dei media in Egitto e nel mondo arabo.

La peggiore sorpresa nel business dell’editoria: la distribuzione o la censura?

In generale si può dire che in Egitto il settore dell’editoria, e in particolare il giornalismo, non soffrono gravemente del bavaglio della censura. Certo ci sono alcuni casi limite nella pubblicazione di libri. La stampa non passa il vaglio della censura prima di uscire nelle edicole. Quindi credo che il problema che investe davvero la stampa indipendente e di partito è quello della distribuzione. Due sono i nodi da sciogliere. Il primo è che la principale azienda che si occupa della distribuzione è governativa (cioè la concorrenza). Si tratta di una situazione insolita, in quanto la distribuzione può così essere manipolata in favore della stampa governativa e a svantaggio di quella indipendente. E poi c’è il problema del basso numero di lettori di quotidiani in Egitto. Si tratta di un Paese con 80 milioni di abitanti in cui non si vendono più di 1,5 milioni di copie giornaliere (in totale).

Il quotidiano Al Shorouk ha deciso da subito di assumere un ruolo attivo nel periodo di transizione post-Mubarak.

Sin dal 25 gennaio il quotidiano ha deciso di assumere una posizione che fosse di sostegno alla rivoluzione e questo è stato reso subito chiaro dalla pagina di apertura di quella giornata. Dopo il successo della rivoluzione che ha rovesciato l’ex presidente Hosni Mubarak, Al Shorouk ha cercato di contribuire positivamente animando sulle sue pagine un dibattito politico fra le diverse parti in gioco.

Ci può parlare brevemente del caso del periodico Akhbar Al Adab (letterario) e del terremoto che ha scosso il suo comitato editoriale?

Nel caso di Akhbar Al Adab il problema sta nella volontà di cambiamento condivisa da gran parte dei lavoratori impiegati nel settore della stampa governativa. Quindi quanto la rivoluzione è riuscita a rovesciare il regime egiziano, i giornalisti di questo periodico si sono mobilitati per cacciare il loro caporedattore che era stato imposto alcuni mesi prima. Il problema di Akhbar Al Adab è lo stesso di altri giornali filo-governativi. Nel caso di Al Shorouk questo problema non esiste in quanto una proprietà non governativa rende questo tipo di conflitti meno acuti.

Che cosa pensa dello stato della stampa egiziana?

Penso che stia già vivendo una fase più brillante. Non solo dal punto di vista della libertà di espressione, ma anche perché le attuali circostanze politiche spingono il pubblico a interessarsi di più alla lettura e all’ascolto dei media. Anche se devo dire che la carta stampata subisce la concorrenza agguerrita delle emittenti satellitari e in particolare dei loro talk-show.

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