Dalla Bosnia all’Italia, il cambiamento nelle mani delle donne
Sabrina Bergamini 5 novembre 2012

Laureata in Scienze agrarie a Sarajevo e specializzata in Scienze dell’alimentazione a Roma, con una lunga esperienza lavorativa nelle organizzazioni non governative italiane e internazionali, a Roma da oltre 20 anni, impegnata nelle iniziative della comunità bosniaca, l’autrice scrive per urgenza prima di tutto personale: superare i propri traumi, continuare una narrazione iniziata già in un volume precedente, raccontare il proprio percorso personale fatto di cambiamenti, dalla crisi sul lavoro alla necessità di ricostruire il suo rapporto con l’universo maschile. Il percorso personale si intreccia poi con le proprie origini, con l’eredità della propria famiglia e della propria comunità, mischiata e contaminata col modo di vivere italiano e con l’impegno nella comunità della diaspora.

La storia personale di Enisa Bukvić fa affiorare le reti che le migrazioni portano con sé, legami che si allontanano o si rafforzano e che danno vita a quelle dinamiche molto particolari rappresentate dalle relazioni fra donne. L’autrice parte dall’io per arrivare al “noi” – le sue amiche e colleghe della diaspora – e per tracciare un quadro delle “altre”, donne italiane, istriane, calabresi, africane, che finiscono per essere unite da un filo comune: sono tutte portatrici di cambiamento. Hanno un potere immenso: quello di cambiare e far cambiare il mondo che le circonda, ma l’autrice non nasconde i problemi che queste donne affrontano ogni giorno, dalla loro identità alla necessità di mantenere unita la famiglia ai rapporti conflittuali con gli uomini. Intanto, i migranti in generale vivono spesso una crisi d’identità, riconosce l’autrice: «Spesso viviamo in modo conflittuale la nostra identità, con disagi e difficili stati d’animo. La maggior parte degli stranieri, infatti, entra in crisi con l’identità originaria mano mano che inizia ad acquisire sempre più elementi appartenenti alla cultura italiana e questo li fa spesso sentire in colpa”. Allo stesso tempo, «le iniziative culturali contribuiscono positivamente alla guarigione della crisi d’identità».

Le donne raccontate dall’autrice, in una galleria di miniritratti densi di Storia dentro le storie personali, hanno vite segnate dalla guerra che ha sconvolto negli anni Novanta l’ex Jugoslavia, dalla Bosnia alla Croazia, passando per il genocidio di Srebrenica, le divisioni etniche e la guerra a Sarajevo. Sono donne che hanno vissuto sulla propria pelle il trauma del conflitto, spesso parte di famiglie lacerate, spezzate, perse di vista, ricostruite a distanza, allontanate nella diaspora e poi ritrovate, oppure donne che hanno trovato in Italia la forza di costruirsi un proprio nucleo familiare con uomini italiani. Non sono mai monadi isolate, ma donne che si mettono in gioco e studiano, lavorano, alzano la testa e si impegnano nelle attività della comunità immigrata e nel sociale. Sono donne che riescono a non soccombere, accompagnano con un sorriso i propri traumi, scrivono per sopravvivere, esprimono la propria creatività per non rimanere schiacciate nel buio del dolore che si portano dentro. Così Slavica è stata tre anni nella Sarajevo assediata. Elvira scrive per superare la sofferenza: ha perso parte della famiglia a Srebrenica. Nela ha lasciato il proprio paese da ragazzina, durante la guerra, ma quando è  in crisi ascolta le canzoni tradizionali bosniache. Begzada dice che le donne bosniache sono più forti delle italiane perché hanno dovuto sopportare da sole tanti dolori. E non ha affatto dimenticato come si cucinano i piatti tipici bosniaci. Fata non manca d’ironia – «Quando dichiara di essere musulmana, spesso riceve la domanda: “Come fa una musulmana a portare minigonne e guidare lo scooter?”. “Molto facile, basta che abbia i soldi per comprare sia lo scooter sia la minigonna”, risponde lei ridendo. Quando lo racconta sembra una barzelletta».

Le donne raccontate dall’autrice non si arrendono mai e, col bagaglio doloroso che si portano dietro, sono portatrici di cambiamento e di multiculturalità. Testimoniano che dal dolore ci si può risollevare, senza dimenticare quello che è accaduto, per superarlo e per evitare che accada di nuovo. Sono donne che hanno vissuto i traumi della guerra. Alcune sono arrivate in Italia per curare i figli. Hanno nostalgia del paese di origine e ci tornano per le feste o per le vacanze. Hanno contaminato la loro cucina con quella italiana – la cucina non è un particolare da poco per l’autrice, che descrive i piatti tipici della Bosnia e il rito del caffè come occasione di incontro al femminile. Alcune vengono da famiglie che hanno vissuto una prima fuga verso l’Italia durante la seconda guerra mondiale e poi sono di nuovo fuggite negli anni Novanta quando è scoppiato il conflitto nei Balcani: diaspore che tragicamente si ripetono, ma che allargano la famiglia, creano reti interreligiose e matrimoni misti. Enisa Bukvić le racconta tutte come donne «aperte, intelligenti, capaci, creative, colte e umane», sempre in movimento, che studiano e lavorano. «Sono legate alla loro terra ed alla loro cultura ma al contempo aperte ad acquisire gli elementi culturali dalla tradizione italiana. Hanno molti amici tra italiani e stranieri. Non si scordano della guerra in Bosnia Erzegovina e di tutto quel male che la popolazione locale, indifesa, ha subìto. Alcune hanno perso i cari, altre hanno vissuto momenti duri e difficili. Portano questo dolore sempre con loro cercando di superarlo. Forse anche per questo motivo sono tanto attive. Hanno una forza interiore particolare e non si arrendono mai. Una delle caratteristiche più rilevanti che riguarda queste donne è che sono grandi portatrici di cambiamento in positivo sia in Italia sia in Bosnia Erzegovina». Sono donne che creano ponti. Non a caso lavorano spesso nel sociale e animano attività culturali e multiculturali.

“Ritratto di donne”, si potrebbe sintetizzare il libro. Che in questo mosaico di figure femminili intrecciate e giustapposte ha anche il suo limite dal punto di vista narrativo: molte delle storie che l’autrice racconta meriterebbero di essere approfondite e raccontate meglio, con più profondità,  con più particolari, con più voce diretta e più analisi, soffermandosi sulle vicende personali che, intrecciandosi con la Storia, riescono a mettere a fuoco tanto l’assurdità di quanto accaduto nei Balcani, quanto il potenziale di cambiamento presente nell’universo femminile. All’autrice va però il merito di aver messo tutto questo in pagina, per l’urgenza di raccontare, per l’urgenza di non dimenticare, per l’urgenza di guarire i traumi ma anche di far capire che si può andare oltre le ferite accettando a testa alta la sfida quotidiana della vita.