Voci da piazza Tahrir
Federica Fedeli 9 febbraio 2011

Federica Fedeli, Scuola Superiore Sant’Anna

Pisa-Cairo, 4-5 febbraio 2011

C’è chi, entusiasta della libertà respirata in questi giorni e disilluso in modo irreversibile dal sistema, cavalca l’onda della rivoluzione, attivandosi e concentrandosi sull’obiettivo principale, quello di far dimettere Mubarak dalla sua carica di presidenza. C’è chi, invece, temendo le conseguenze della rivoluzione e spaventato dall’arresto improvviso del Paese, ha deciso di non andare avanti nella protesta, attendendo le riforme promesse dal Presidente prima delle prossime elezioni. Nel terzo caso, invece, si tratta di una giovane non favorevole alla protesta, che si batte per il cambiamento del sistema partendo però da una prospettiva di stabilità. Queste tre testimonianze, diverse tra loro, rendono conto della complessità delle posizioni che ci sono anche tra i giovani. Per questioni di maggiore sicurezza, i nomi dei ragazzi intervistati non corrispondono a quelli reali.

1) L’Egitto, Paese strategico per la politica internazionale e centro culturale del Medio Oriente, sta vivendo una vera e propria rivoluzione. Gran parte della popolazione continua ad avere un livello di istruzione molto basso o quasi nullo, nessuno poteva immaginarsi questa rivolta. Com’è nato dunque questo movimento? Pensi che i nuovi mezzi di comunicazione abbiano influito davvero? Si parla di “rivoluzione di Facebook”, pensi che sia vero?

Manal (30 anni, musulmana di nascita, si definisce liberale, è studentessa di dottorato in scienze politiche):
Sono d’accordo sul fatto che sia stato Facebook il motore di questa protesta, non è cominciata però tra persone con un livello di istruzione bassa, ma tra studenti universitari. Sì, si tratta di una rivoluzione per cambiare il sistema, ma non credo che una rivoluzione funzioni davvero per il resto della popolazione, perché coloro che hanno un’educazione e sono adesso in piazza Tahrir, coloro che si battono per i diritti e per la giustizia sociale, stanno causando danni ancora maggiori alla maggioranza della popolazione, quindi non so. Ma credo che Facebook sia stato all’origine di questo movimento, i nuovi media hanno reso possibile la comunicazione e l’incontro tra queste persone, ma non sono sicura che questa sia la rivoluzione che avrei voluto. Non riesco a vederne la fine.

Fadwa (32 anni, cristiana di nascita, lavora per una organizzazione non governativa):
I nuovi media hanno influito sicuramente, non siamo più isolati. Nei primi giorni, quando il governo ha interrotto la linea internet, ci siamo sentiti persi. Le notizie si possono leggere nei giornali o vedere alla televisione, ma dentro Facebook c’è tutta la società e tu puoi esprimere il tuo punto di vista. Penso che Facebook abbia avuto un peso considerevole e determinante per questo movimento ed è il motivo per cui il governo ha interrotto la linea nei giorni passati, perché ha capito il potere di questo strumento. La forza di questo movimento sta proprio nel fatto di non aver un leader. Alcuni provengono a loro volta dal movimento 6 Aprile, altri invece sono persone come me, che non afferiscono ad alcun gruppo. Il movimento 6 Aprile si è indebolito nel momento in cui la leader è stata arrestata. Invece, in questo caso, non essendoci un leader, tutti possono aderire e allo stesso tempo non c’è nessuno nello specifico da poter colpire, o tutti o nessuno, siamo tutti insieme perché siamo stanchi di questa situazione. Ho sentito che c’è la volontà di costituire un nuovo movimento e chiamarlo 25 Gennaio, il movimento di coloro che hanno partecipato alla prima manifestazione, quella che ha fatto cominciare la rivoluzione.

Mazen (35 anni, musulmano di nascita, si dichiara ateo, è redattore di una delle più importanti case editrici egiziane e insegnante di lingua e letteratura araba):
Tutto questo è nato dall’oppressione sotto la quale abbiamo vissuto per trent’anni, il nostro è un Paese con un tasso di istruzione più basso rispetto ad altri, ma oggi ci sono molte più persone istruite rispetto al passato, ci sono molte scuole straniere, c’è l’Università Americana. Internet ha sicuramente migliorato le comunicazioni tra i giovani egiziani, ha creato una rete, credo che i network sociali abbiano fatto moltissimo. Ultimamente si era creato un forte senso nazionale in Egitto, proveniente anche dallo sport. Per esempio il calcio ha influito sull’idea di essere egiziano, ha contribuito a sviluppare un sentimento nazionale, superando le diversità religiose. Alle ultime partite, anche dopo la vittoria della coppa d’Africa, tutti dicevano sempre “siamo egiziani, siamo forti,” e anche se questo senso di appartenenza nazionale non viene dalla politica ha fatto lo stesso tanto.
La situazione della Tunisia ha contribuito sicuramente, ci siamo sentiti vicini. Mubarak era vicino al termine del suo ennesimo mandato, ma gli egiziani non potevano accettare la successione di suo figlio; siamo tutti molto stupiti, nessuno pensava che la protesta si sarebbe trasformata in una vera rivolta. Pensavamo che saremmo stati al massimo 2000 o 5000 persone e credevamo che, una volta che la polizia avesse attaccato la gente, come in moltissime altre occasioni, le persone avrebbero cercato di scappare. Invece la protesta sta continuando e comunque vada a finire abbiamo vinto lo stesso.

2) Nei media in Occidente si leggono e si dicono molte cose diverse riguardo a questa rivolta, e si fa fatica a pensare che si tratti di un movimento spontaneo; c’è chi pensa che ci sia un sostegno di forze esterne, c’è invece chi crede che all’origine di tutto ci siano i Fratelli Musulmani e il timore è quello che, nel momento in cui Mubarak lasci il Paese, possano prendere il potere. Tu cosa ne pensi?

Manal:
Oggi ho letto nei quotidiani e nei media egiziani che al-Jazeera ha pubblicato nel suo sito che forze straniere stanno lavorando per rovesciare il sistema in Egitto. Non so se sia davvero una cospirazione, spero di no, ma allo stesso tempo se Mubarak si dimette ci saranno molte conseguenze legali.
Non credo che i Fratelli Musulmani possano prendere il potere così facilmente; se dovessero farlo non avrebbero buone relazioni con gli Stati Uniti e con Israele, e ciò non sarebbe un bene per la comunità internazionale, quindi non penso che i Fratelli Musulmani possano essere i prossimi leader del Paese, da un punto di vista sia legale che costituzionale. Inoltre, se Mubarak dovesse dimettersi e subentrasse l’esercito, ciò non porterebbe alcun beneficio alla rivoluzione, poiché se dovesse subentrare l’esercito non ci sarebbe più opposizione, alcuna libertà, non ci sarebbe più niente, quindi l’esercito deve prima stabilizzare il Paese, e poi creare un nuovo governo, e questo non sarebbe certo guidato dai Fratelli Musulmani. Forse El-Baradei è spinto da forze esterne a prendere il potere per altri interessi, ma non so, il problema è che non vedo la fine di questa rivoluzione, se è positiva o se invece è per rovesciare il Paese.

Fadwa:
La manifestazione è stata organizzata su Facebook, da studenti, lo so perché ho preso parte al movimento, ero una tra quelli.
Certo, sono preoccupata per i Fratelli Musulmani, noi abbiamo raggiunto l’obiettivo del cambiamento, se loro raggiungono il potere è la fine del mondo, per tutti gli Egiziani, per i cristiani e per tutti i musulmani moderni. Uno dei loro punti forti è al-taqiyya, la capacità cioè di dissimulare, cioè essere flessibili il più possibile fino a quando non raggiungono l’obiettivo, per poi tornare a mostrare il loro vero volto. Se in questo momento affermano di essere aperti nei confronti degli altri è per la situazione contingente, ma non è vero, loro non credono nella società civile ma in una comunità islamica. Non credo però che loro ottengano il potere, almeno lo spero.
Adesso però c’è un documento che gira su Facebook che dice che i giovani scesi in piazza il 25 gennaio hanno raggiunto il 95 per cento dei loro obiettivi; ora bisogna fare una pausa e attendere le riforme. Secondo me nelle piazze ora non ci sono più i giovani, ci sono i Fratelli Musulmani e altre persone. Per me Mubarak adesso deve rimanere e vedere con i suoi occhi che il cambiamento è possibile, deve pagare per questo, non siamo come la Tunisia o come l’Iraq.

Mazen:
I Fratelli Musulmani stanno avendo un bellissimo ruolo e per la prima volta nella mia vita sto accettando anche loro, sono cambiato in questi giorni e anche loro stanno cambiando, stanno facendo un ottimo lavoro; finora non hanno chiesto niente, sono organizzati, ma lo siamo anche noi, sono parte della società egiziana e tutti dobbiamo accettare che ci sono anche loro. Non sono soli però, ora ci siamo anche noi, ci siamo anche noi accanto a loro e facciamo tutto insieme; ci sono ragazze velate e non, ragazze dell’Università Americana, aristocratiche, di tutti i ceti sociali. Non penso che i Fratelli Musulmani saranno il futuro di questo Paese, lo so che c’è la paura che possa succedere come in Iran, ma questa rivoluzione non è loro, è di tutti. Queste grandi riunioni in piazza, che non abbiamo mai potuto fare, ci permettono di parlare, di metterci in discussione. Ora posso pensare di fare politica, ci dobbiamo organizzare, i Fratelli Musulmani non saranno mai da soli nella politica egiziana, perché ci stiamo organizzando tutti, ci sono gruppi politici vecchi e nuovi, formati da gruppi di ragazzi e nati da questi ultimi eventi.

3) Perché hai preso parte al movimento contro o a favore di Mubarak?

Manal:
Non ho manifestato a favore di Mubarak, ma a favore delle riforme, perché non voglio che il sistema crolli, ma che le riforme vengano attuate; se il sistema dovesse crollare avremmo ancora la stessa Costituzione e gli stessi problemi, quindi è necessario avere un sistema al fine di riformarlo, cambiarlo e per fare delle riforme ci vuole tempo.
Ho manifestato a favore di Mubarak e del sistema fino ad ora, non solo perché il sistema ha promesso cambiamenti, ma perché sono a favore del cambiamento delle riforme e non a favore del collasso del sistema, sono a favore della stabilità, perché mi batto per la difesa dei poveri, faccio un dottorato sui poveri in Egitto e ho parlato con loro ogni giorno ultimamente; sono affamati, stanno per diventare “cannibali”, non possono mangiare. Se si ha un Paese paralizzato per dieci giorni, loro non possono uscire e lavorare su base giornaliera come facevano prima, non hanno la possibilità di guadagnare niente, quindi non mangiano, per questo motivo c’è bisogno di stabilità per battersi per la giustizia sociale. Rivoglio indietro il sistema, voglio che questa rivoluzione sia trasformata in qualcosa di positivo, voglio che ci siano delle chance per i poveri, per il 65 per cento della popolazione egiziana.

Fadwa:
All’inizio sono scesa in piazza contro la corruzione, non ho mai visto altri presidenti nella mia vita, solo Mubarak, ma poi ho scoperto che, secondo la nostra Costituzione lui deve restare per completare i suoi doveri prima di lasciare la carica, deve convocare il Partito Nazionale (il partito di governo) e il Parlamento, questo è ciò che è scritto nella Costituzione. Dal mio punto di vista lui deve restare per vedere con i propri occhi che il cambiamento può avvenire in pochi giorni, quando lui invece ha aspettato trent’anni.
Se lui lascia la carica, i Fratelli Musulmani possono prendere il suo posto, quindi prima è necessario che cambi gli articoli 76, 77 e 88 della Costituzione, al fine di prevenire, limitare la lunghezza della carica alla presidenza. Ovviamente sono molte le cose che devono essere riviste, come il diritto a costruire chiese. Attualmente per costruire una chiesa in Egitto è necessario il permesso del presidente e finora è stato praticamente impossibile ottenerlo. È necessario dunque che Mubarak convochi il parlamento per cambiare almeno i tre articoli relativi alle elezioni del presidente.
Se Mubarak se ne andasse adesso gli faremmo un regalo, in questi sei mesi deve almeno cambiare questi articoli, per evitare che possa esserci dopo di lui un presidente con i suoi stessi poteri.

Mazen:
Non voglio più vedere Mubarak, siamo tutti d’accordo nel continuare, l’obiettivo è far cadere il regime, stiamo imparando a fare una rivoluzione, non l’abbiamo mai fatta. Ci sono tante persone che si uniscono al movimento, ogni giorno aumentiamo, persone che prima non avevano previsto di partecipare. Siamo tutti diversi, non siamo d’accordo su tutto, siamo di sinistra, liberali, religiosi, ma la piazza ci fa parlare, stiamo tutti insieme, e ci fa accettare nelle nostre diversità. Tu hai vissuto in Egitto, hai visto come gli egiziani erano oppressi, adesso non è più così, le persone hanno volti entusiasti, possono esprimere la propria intelligenza, hanno gli occhi aperti e guardano verso il futuro.

4) Cosa pensi di El-Baradei?

Manal:
Non lo conosco, mentre El-Baradei era negli Stati Uniti negli ultimi trent’anni abbiamo avuto un presidente che ha lavorato per l’Egitto, non so se è positivo o negativo dire ciò, ma non lo conosco. Quand’è che è venuto in Egitto? Ogni volta che c’è stato un accenno di rivolta è arrivato, e nel momento in cui la rivolta non funzionava tornava indietro, poi tornava e andava. Forse, a livello internazionale e secondo gli americani, è considerato un candidato valido, ma quale popolarità ha in Egitto? I poveri lo conoscono? Il 65 per centro della popolazione lo conosce? Ha fatto niente per l’Egitto?
Negli ultimi trent’anni ha fatto molto per se stesso, ha ottenuto il premio Nobel, ha lavorato per l’organizzazione del nucleare, ha avuto molto successo, ma non ha mai fatto niente per l’Egitto, niente che lo renda un persona affidabile qua. Non voglio essere governata da qualcuno che non conosco.

Fadwa:
Non mi piace El-Baradei. Aveva cominciato bene, ma poi ha cambiato il suo punto di vista, è apparso nel momento sbagliato, quando i giovani erano già scesi in piazza. Io non posso sostenere El-Baradei, non so perché sia arrivato così in ritardo, non ci possiamo fidare di lui.

Mazen:
El-Baradei non mi piace, perché non è in grado di creare un discorso politico in Egitto, non può cambiare il sistema egiziano. È bravo, riconosciuto a livello internazionale, forse non è corrotto, ma non ha un piano e non è carismatico, non è un politico, ma un bravo diplomatico. L’ho incontrato tre volte, in occasioni in cui eravamo in pochi e ho avuto modo di poterci parlare direttamente, ha delle belle idee, ma non riesce ad esprimerle in politica, non può essere un presidente. Quando è venuto nella piazza la gente non l’ha accettato, non è carismatico.

5) Cosa pensi del cambiamento di prospettiva nei due discorsi che Mubarak ha rivolto alla Nazione? Prima ha dichiarato di voler restare e morire sul suolo egiziano, poi di essere stanco e di voler lasciare il Paese.

Manal:
Non ha detto che è stufo, non ho sentito il suo discorso alla BBC, non so dove abbiano trovato questa espressione, lui ha detto semplicemente che vuole morire in Egitto, che vuol dire morire come cittadino, forse è stanco di governare, ha ottantadue anni. È accaduto qualcosa di molto grande contro la stabilità del Paese, se fosse stato più giovane magari avrebbe reagito meglio, è vecchio ormai. In Egitto non abbiamo esempi di presidenza che hanno raggiunto la fine del mandato; re Faruq è scappato dopo la rivoluzione, Muhammad Nagib è stato deposto, Nasser è morto e Sadat è stato ucciso, quindi non abbiamo mai avuto precedenti nel nostro sistema. Se Mubarak se ne dovesse andare questa cosa potrebbe continuare all’infinito, è l’unico modo che conosciamo, è quello più semplice, ma adesso abbiamo davvero bisogno di riformare il sistema. Chi garantisce che Mubarak non venga ucciso, che non venga processato da un tribunale internazionale? Abbiamo bisogno di proteggere non tanto lui in quanto tale, ma la figura del presidente. Probabilmente per lui sarebbe più facile andare, ma io credo che debba restare fino a settembre. Ho saputo però da alcune fonti che si sta preparando per andarsene. Quando ha detto che vuole morire in Egitto voleva dire morire come cittadino, con dignità e penso che sia giustificato.

Fadwa:
Cosa leggo tra le righe è che nessuno, compreso Mubarak, si sarebbe aspettato che un gruppo di giovani potessero resistere così, giovani dell’università e di Facebook. Le persone del suo entourage non lo hanno consigliato bene, lo hanno informato male su ciò che stava accadendo, le informazioni erano incomplete riguardo alla realtà dei fatti. Lui ha preso tempo, pensando che tanto non sarebbe cambiato niente, com’è accaduto altre volte, ma in questa occasione le persone hanno avuto tempo per prendere parte al movimento. Quello che è successo nella notte di venerdì è stato causato dagli uomini di Mubarak, quelli ai quali Mubarak ha chiesto di dare le dimissioni per placare la folla, sono stati loro che hanno voluto danneggiare e rovinare il movimento in piazza, e in questo modo hanno usato anche lui; è per questo che nel secondo discorso Mubarak ha dichiarato che se ne sarebbe andato, ma ormai era già troppo tardi.

Mazen:
Secondo me Mubarak non si aspettava questa cosa, lui pensava di essere un presidente amato e accettato dal suo popolo, l’ho capito in questi giorni, prima non lo capivo. Lui pensava che il suo popolo fosse orgoglioso di averlo, perché è stato un leader importante dell’esercito e ora non si capacita della situazione che sta precipitando. È certamente un dittatore e un uomo corrotto, posso capire che per lui stare al suo posto voglia dire comandare, se lascia sa che verrà preso e ucciso. È una situazione molto complicata per lui. Io non posso neanche accettare Suleiman come vice presidente, perché è un uomo dei servizi segreti, ho paura di lui, ho paura che l’Egitto rientri nello stesso sistema. Per un periodo di transizione può forse anche essere accettato, ma solo per una fase.

6) Cosa hai in mente per l’Egitto adesso? Come ti immagini il passaggio ad una forma di governo democratica?

Manal:
Non riesco a vedere il futuro adesso, per essere onesta, forse sono troppo pessimista. Non posso vedere futuro perché non posso predire cosa può accadere nei prossimi cinque minuti, non c’è possibilità di predire niente. La democrazia è qualcosa di molto bello, ma allo stesso tempo dobbiamo fermaci adesso e cogliere questo momento, altrimenti non ci sarà alcuna forma di democrazia; se si chiedono riforme bisogna mantenere il sistema al fine di raggiungere la democrazia che si desidera, dobbiamo essere in grado di parlare, e per farlo dobbiamo riformare la Costituzione, ma se il sistema crolla l’esercito prenderà il potere, che significa niente democrazia, oppure l’intervento di forze internazionali, e anche questa non è democrazia. Se il sistema collassa molte cose non democratiche possono accadere, contro i poveri, contro tutti. Non so, dormo, mi sveglio, ma non so se mi risveglierò domani. Ancora, nella mia ricerca mi occupo dei poveri, alcuni di loro mi hanno detto che “se il raggiungimento della democrazia è così terribile non la vogliamo”. Non siamo pronti per una democrazia ottenuta in questo modo, abbiamo bisogno di fermarci un attimo. Non abbiamo bisogno di rabbia in questo Paese nel nome della democrazia.

Fadwa:
Mia madre è ottimista, io non lo sono. Lei dice che l’Egitto è forte, che niente di veramente brutto potrà accadere, che chi protesta vuole il bene del Paese, che il futuro è ancora bello e che l’Egitto ha affrontato altre rivoluzioni. Io non ho la stessa speranza. La scorsa settimana è stata terribile, era tutto bloccato, tutto chiuso, i negozi, le banche, la borsa.
Il 25 gennaio sono andata a manifestare, ero una tra quelli che hanno preso parte, mi sembrava qualcosa di bello, ma poi, quello che è successo, non era quello che avevamo pensato. Mubarak ha ritardato, ha chiesto al suo consiglio di dimettersi, e a causa di questo ritardo la situazione è diventata così.
Non pensavo che la rivoluzione volesse dire che la vita sarebbe finita, pensavo che potesse continuare tutto di pari passo.

Mazen:

Nella piazza c’è un vero dialogo politico sul futuro di questo paese, tutti stiamo pensando e tutti stiamo partecipando. Non vogliamo più vedere Mubarak e sono sicuro che affronteremo tutto. Stiamo parlando di tutto, alcuni hanno già un piano in testa, altri no, pensano solo a buttare giù Mubarak. Questa rivoluzione non ha un leader, e questa è una cosa bellissima, anche se difficile. Non siamo d’accordo su tante cose, ma siamo uniti tutti con lo stesso obiettivo e poi ci sono tantissime opinioni e c’è e ci sarà un dialogo democratico.
I legislatori prima lavoravano solo per il sistema, dopo dovranno lavorare per tutti, ma sarà una cosa lunga, non finisce e non si risolve in una settimana, ma non puoi immaginare quanti discorsi si fanno nella piazza. Passo ventiquattro ore al giorno a parlare, parlo anche mentre dormo di questioni politiche, è bellissimo, non l’abbiamo mai potuto fare, parlo con professori di scienze politiche, con scrittori, coi fratelli musulmani, e ognuno ha le sue argomentazioni. Quando ci vedremo vi racconterò tantissime cose.
Prendono parte alle discussioni anche le persone più semplici, parlo con tutti e chiediamo a tutti cosa ne pensano, ci sono discorsi più teorici e altri più pratici. La piazza è da ricostruire, è stata distrutta dagli attacchi, c’è lavoro per tutti.