Ermeneutica e diritti umani
Federica Fedeli 23 agosto 2010

Federica Fedeli, Scuola Superiore Sant’Anna

Abu Zayd credeva in una civiltà comune e nell’universalità dei diritti umani, sostenendo che le leggi che difendono l’essere umano non hanno bisogno di una giustificazione religiosa. Sosteneva inoltre fosse importante interpretarli rispetto ai diversi contesti culturali e che fosse compito degli intellettuali trasferire il discorso universale dei diritti umani nei vari contesti specifici (1). L’ermeneutica coranica da lui sviluppata implica un approccio nuovo non solo verso l’interpretazione del Corano e l’applicazione della shari‘a, la legge islamica, ma anche verso i diritti umani ed il pensiero arabo islamico. Questo approccio metodologico che si allontana dagli strumenti classici dell’interpretazione del testo sacro propri della tradizione islamica (2), attinge comunque a fonti islamiche.

Sebbene infatti ad un certo momento della sua formazione Abu Zayd si sia confrontato con autori del pensiero occidentale, alcuni dei quali hanno indubbiamente contribuito allo sviluppo della sua teoria e metodologia – come del resto lui stesso dichiara in alcuni dei suoi scritti-, ritengo fondamentale sottolineare l’endogeneità del suo pensiero e della sua formazione rispetto ad un sistema di riferimento arabo- islamico. Abu Zayd era nato e cresciuto in un villaggio nel Delta del Nilo e aveva cominciato il suo cursus studiorum frequentando il kuttab, la scuola coranica, in cui si imparava a memorizzare e dunque a recitare il Corano. Come ricorda nella sua biografia, nonostante la presenza di un sistema scolastico laico, conseguenza di una riforma iniziata da Muhammad ‘Ali, ai suoi tempi tutti cominciavano la propria formazione nel kuttab.

Terminata la scuola coranica frequentò una scuola cristiana, evento comune sotto il nazionalismo del governo Nasser, in cui, nella stessa scuola, si potevano trovare studenti ed insegnanti cristiani e musulmani, sotto l’egida comune del nazionalismo e del panarabismo – questo clima cambiò rapidamente sotto il governo Sadat, il quale, afferma Abu Zayd, «aveva spianato la strada all’estremismo religioso», e fece divenire la shari‘a la prima fonte del diritto egiziano (3). Dice Abu Zayd: «Sapevo che il mio preside era copto, e tuttavia per il fatto che stavo digiunando [per ramadan] mi perdonò il ritardo. Era una scuola cristiana che io, alunno della scuola coranica, stavo frequentando; dove il mio professore di arabo era musulmano e si chiamava Isa [Gesù]; e dove i musulmani avevano la propria stanza per pregare» (4).

Oggi in Egitto la situazione è diversa, le differenze tra le due religioni principali, quella islamica e quella cristiana copta, sono sempre più ostentate e i due gruppi chiusi l’uno verso l’altro (5). Abu Zayd, nonostante fosse uno degli studenti migliori col desiderio di studiare presso l’istituto di arabistica dell’Università del Cairo, fu costretto a frequentare un istituto professionale, a causa di problemi economici. Essendo il figlio maggiore, dopo la morte del padre che avvenne molto presto, dovette lavorare per mantenere la sua famiglia. Abu Zayd riuscì in seguito a frequentare l’università e a studiare ciò che risultava essere la sua passione.

Ritengo importante mettere in evidenza la natura della sua formazione, al fine di mostrare quanto questa sia stata allo stesso tempo tradizionale e varia, avvenuta in un momento storico in cui la coesistenza pacifica tra gruppi religiosi diversi era effettiva ed incentivata in nome del nazionalismo. Molti intellettuali musulmani contemporanei, il cui pensiero ha oggi un ruolo rilevante nel dibattito sulla conciliazione dei diritti umani e l’Islam, sono spesso accusati dal mondo arabo di aver avuto una formazione all’estero, di essere dunque condizionati dal pensiero e dal contesto occidentale. Non è questo il caso di Abu Zayd, che, prima di conoscere lo strutturalismo e l’ermeneutica, ha attinto alle fonti classiche del pensiero arabo islamico, quelle medievali, moderne e contemporanee. Al contrario, l’operazione teorica che compie nel momento in cui si trova a viaggiare e a confrontarsi con altre realtà, è quella di cercare di rendere comprensibili nella lingua inglese alcuni termini specifici arabi per lo studio del Corano; ermeneutica per esempio diventa la traduzione del termine ta’wil, usato dai commentatori che interpretavano il Corano.

Non è pertanto corretto considerare la sua laicità come frutto dell’incontro con autori occidentali, avvenuto peraltro in una fase di maturità della sua formazione; questo non renderebbe merito al suo pensiero, lo semplificherebbe e lo svuoterebbe di tutta la sua forza. La grandezza del suo pensiero risiede proprio nell’aver tentato una comunicazione vera ed una conciliazione tra il pensiero islamico e quello moderno, attraverso strumenti appartenenti alla cultura islamica, sebbene non accettati dall’ortodossia. Egli, intellettuale musulmano, ha contribuito a decostruire l’idea di un Islam monolitico, mostrando invece come il suo pensiero sia stato frutto di scuole e movimenti intellettuali differenti appartenuti alla filosofia arabo-islamica.

La tesi più scandalosa agli occhi dell’ortodossia islamica ripresa da Abu Zayd, sviluppata ed appartenuta alla Mu‘tazila (6), è la concezione della natura del Corano, considerato da essa un testo creato e non eterno ed increato come invece risulta essere per la tradizione, posizione quest’ultima divenuta ufficiale dopo le dispute teologiche e politiche del IX e del X secolo. Questa concezione, pagata con l’accusa di apostasia poiché considerata un’eresia, ha contribuito non solo a sviluppare un’ermeneutica razionalista del testo sacro, ma ad apportare un contributo degno di nota al dibattito sui diritti umani. Come tiene a precisare Abu Zayd, offeso nella sua fede profonda, la tesi del Corano creato non intende rinnegarne il valore divino e rivelato, ma riconoscerne il fatto che sia storicamente determinato e culturalmente costruito.

Oltre che una disputa teologica, la questione della natura del Corano è stata ed è ancora oggi una questione politica. La tesi del Corano creato, considerato un testo a tutti gli effetti, ne implica la storicizzazione e dunque la contestualizzazione; ne mette in discussione l’universalità e di conseguenza il potere politico di quei governi o gruppi che fanno della shari‘a la fonte principale del diritto, e che traggono dal Corano la loro legittimazione. Abu Zayd mostra come il concetto di apostasia nel contesto islamico si sia sviluppato in origine proprio in occasione della tesi relativa alla natura del Corano avanzata dalla Mu‘tazila.

Fu proprio la reazione dell’ortodossia a questa tesi, che ebbe come conseguenza l’attribuzione del significato di eresia al termine bid‘a, che di per sé significa innovazione, privo di una connotazione teologica. Bid‘a è divenuta di fatto l’antitesi di Sunna, cioè della tradizione, utilizzata spesso ancora oggi contro ogni forma di innovazione teorica (7). Abu Zayd, oltre a non considerare il Corano come un testo nato compiuto, ma che si è formato nel corso di circa venti anni, lo considera anche “discorso”, in altre parole ne analizza la struttura linguistica e stilistica, e attraverso questa metodologia arriva a trovare una comunanza tra la moderna concezione dell’essere umano e la sua dignità espressa dai diritti umani e la stessa presente nel Corano.

La posizione dell’ortodossia rispetto alla natura del Corano considerato increato implica una dignità umana che non deriva dall’individuo in quanto tale ma in quanto credente, e che si esprime attraverso la rivelazione per mezzo della volontà divina. Tale concezione della dignità umana si contrappone dunque alla visione moderna kantiana, secondo la quale essa risulta come qualcosa che ha un fine in se stesso, un valore intrinseco non relativo (8). Al contrario, la concezione del Corano creato e analizzato come “discorso” permette una maggiore interpretazione al testo rispetto a condizioni e contesti diversi.

Abu Zayd, soffermandosi sull’esempio del rispetto dell’integrità fisica, afferma che oggi, alla luce dei diritti umani, le punizioni corporali o le esecuzioni non possono essere considerate prescrizioni divine sancite dalla religione, ma devono essere riviste e riconsiderate, e così anche i diritti delle donne e delle minoranze religiose. Questo può avvenire se il Corano e la legge islamica possono essere contestualizzati, dunque non considerati parola di Dio eterna ed increata. Dice Abu Zayd: «La contestualizzazione delle prescrizioni coraniche e l’analisi della sua [Corano] struttura linguistica e stilistica come discorso, rivelerebbe che il lavoro dei giuristi consisteva essenzialmente nel mostrare il significato di tali prescrizioni e nel ricodificarne il significato in diversi contesti sociali» (9).

Penso si possa affermare che Abu Zayd, attraverso questo approccio ai testi della tradizione islamica, abbia trovato il modo di mostrare una concezione della natura umana e della dignità umana del pensiero islamico comune a quello liberale, offrendo una soluzione alle contraddizioni teoriche che emergono nel dibattito internazionale tra principi islamici e diritti umani.

Note:

1) N. A. Abu Zayd, Una vita con l’Islam, a cura di Navid Kermani, Il Mulino, Bologna 2004, pp.82-83.
2) Per tradizione islamica si intende l’ortodossia sunnita.
3) Ancora oggi sotto il governo Mubarak l’articolo 2 della Costituzione rappresenta uno dei punti più contestati da parte delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani che ne chiedono la modifica.
4) N. A. Abu Zayd, Una vita con l’Islam, p.46.
5) D.Cantini, “Rapporto tra Musulmani e Copti in Egitto”, in Agostino Cilardo, a cura di, La Visione dell’altro, atti del convegno tenuto a Capua 9-10 dicembre 2009; Id. Les relations entre coptes et musulmans dans la littérature égyptienne contemporaine: une perspective anthropologique, Confluences Méditerranée, n. 66, 2008, 143-154. Pubblicato anche in Pierre Blanc, dir., 2008, Chrétiens d’Orient, Paris: L’Harmattan, pp. 141-152.
6) Nome di un movimento religioso fondato a Baṣra nella prima metà dell’VIII secolo. Gimaret, D. “Muʿtazila.” Encyclopaedia of Islam, Second Edition. Edited by: P. Bearman , Th. Bianquis , C.E. Bosworth , E. van Donzel and W.P. Heinrichs. Brill, 2010.
7) N. A. Abu Zayd, “The Others: Who are they, and what to do with them?”, paper presentato in occasione dei seminari organizzati da RESETDOC, Istanbul, Giugno 2009.
8) F.Fedeli, Diritti umani e valori islamici: il caso dell’organizzazione non governativa egiziana Qar†at el-’amal [in corso di stampa]
9) N. A. Abu Zayd, Reformation of Islamic Thought. A critical historical analysis, Amsterdam University Press, Amsterdam 2006.