«Così lo ricorda l’America»
Padraic Kenney intervistato da Alen Custovic 19 ottobre 2009

A vent’anni dalla sua caduta, cosa rappresentava il Muro di Berlino? Perché è crollato?

I comunisti che l’hanno innalzato hanno sinceramente creduto di poter costruire un mondo migliore. La sua caduta però è stata solo un effetto del più grande crollo del Comunismo, che il Muro in qualche modo rappresentava e che è avvenuto grazie ad una serie di fattori. Alcuni erano a lungo termine, come il declino delle economie comuniste e la crescente indifferenza delle giovani generazioni all’ideologia. Questi non erano però sufficienti: il cambiamento è precipitato con l’emergere in diversi Paesi di movimenti sociali dal basso, con la volontà dei leader riformisti (come Gorbaciov) di prendere in considerazione alternative alle pratiche del regime comunista, e con eventi imprevisti che vanno dall’elezione di un papa polacco all’esplosione del reattore nucleare in Ucraina. Nessuno di questi ha di per sé distrutto il Comunismo, tutti insieme però hanno reso possibile il 1989.

Come ha vissuto personalmente l’evento del crollo?

Nell’autunno del 1989 vivevo in Polonia come ricercatore negli archivi nazionali. In quel periodo non c’erano regole. Un giorno potevo accedere ai documenti, il giorno dopo no. I giornali erano pieni di rivelazioni sul comunismo. Una mattina, attraversando Varsavia, apprendo della rimozione della statua del comunista sovietico-polacco Feliks Dzierzynski; ufficialmente per lavori alla fognatura ma tutti sapevano che Dzierzynski non sarebbe più tornato. Ho corso verso la piazza per unirmi ad una folla impaziente, armata di spranghe di ferro che si accaniva sulla statua. A volte dimentichiamo che il 1989 è stato anche uno sconvolgimento economico. Una mattina mi fermai in un negozio e vidi che il latte costava circa 500 zloty, ripassandoci la sera lo steso veniva più di 800 zloty.

Cos’è cambiato in Polonia dopo la caduta del Muro?

La Polonia di oggi è simile all’Italia: ci sono gli stessi prodotti, l’accesso alle informazioni. Forse le infrastrutture sono più povere ma il paesaggio è marchiato dagli stessi simboli del capitalismo. Oggi, girando per le strade, è davvero strana la sensazione del ricordo di negozi vuoti e del grigiore delle vie di una volta.

Cosa ha significato in generale il crollo per i Paesi dell’Est e cosa per quelli dell’Ovest?

Credo che ormai le diversità tra Europa dell’Est e dell’Ovest siano soprattutto definizioni geografiche. Un particolare che li distingue è che nei Paesi in cui il dissenso anti-comunista era forte si può ancora riscontrare una forza morale nelle relazioni internazionali. Naturalmente sentiamo differenze se ci mettiamo in viaggio da Berlino a Varsavia, da Vienna a Bratislava, o da Padova a Lubiana; ma sono solo diversità di grado, non di genere. Oggi la vera differenza è tra l’Europa dell’Unione e quella fuori dall’Unione.

Com’è stata influenzata l’Unione Europea e il suo sviluppo dopo il 1989?

L’Unione ha giocato un ruolo enorme nella omogeneizzazione delle differenze. La presenza nell’UE di Paesi orientali la rende più autenticamente europea, non solo un club occidentale. Tutto ciò è stato innescato anche a partire dalla caduta del Muro, rendendo l’Unione più capace di parlare con una voce, in grado di riconoscere i propri interessi in modo più chiaro.

Secondo una recente indagine del giornale Berliner Zeitung, la metà dei tedeschi sono insoddisfatti della Germania attuale e se potessero tornare indietro sarebbero contrari al crollo del Muro. Perché?

La nostalgia, che spesso sembra un sistema ideologico, potrebbe essere semplicemente un naturale rimpianto per il passato. Chi non vorrebbe tornare ai giorni pacifici della propria gioventù? Molte persone in Europa orientale, in particolare quelli della generazione di mezzo, troppo giovani per andare in pensione o troppo vecchi per beneficiare della trasformazione, e quelli delle minoranze etniche, a partire dal 1989 hanno subito un calo della loro sicurezza o del tenore di vita.

Quale prospettiva ha l’opinione pubblica americana sugli eventi europei degli ultimi vent’anni?

Gli americani danno per scontato che il comunismo cadde grazie alle pressioni straniere, militari ed economiche, quindi venerano Ronald Reagan come vincitore della Guerra Fredda. Gli europei dell’Est sanno invece che la conflittualità sociale, e la società civile, sono stati elementi altrettanto importanti. Questa differenza di prospettiva aiuta a spiegare anche perché gli americani potevano credere che la stessa ricetta (militare ed economica) avrebbe potuto portare a un cambiamento di regime pure nell’Iraq di Saddam Hussein.

Il muro che s’innalza in Cisgiordania sembra testimoniare che la storia non insegni…

E’ vero. Solo che a differenza del Muro di Berlino, quello in Cisgiordania separa le comunità etniche all’interno di uno Stato, quindi è più simile al muro di un ghetto.

Lei ha scritto un libro sulla questione dell’Europa orientale. E’ ancora oggi, a vent’anni dal 1989, una terra strategica nella geopolitica internazionale?

E’ il confine tra l’Unione Europea e la Russia, ma non sta per essere invasa di nuovo perché non più territorio di contesa. E’ un buon posto, a quanto pare, per le basi americane; solo che mi chiedo quale pezzo di terra non lo sia. Ecco perché l’Europa orientale non è più strategica, tuttavia è un luogo che chiunque voglia capire come le dittature ascendano e decadano, e di come la democrazia e libero mercato siano costruite, dovrebbe conoscere.