Revisione costituzionale rischio per la democrazia?
Marco Cesario 27 gennaio 2009

Dopo il 12 novembre anche Algeri sembra essersi allineata ai quei tanti paesi arabi e africani come la vicina Tunisia, dove nel lontano 7 novembre 1987 Zine El Abidine Ben Ali, allora primo ministro, assumeva la carica di presidente della Repubblica deponendo l’eroe dell’indipendenza Habib Bourguiba. Il 7 novembre scorso Ben Ali ha festeggiato il ventunesimo anniversario della sua ascesa. Un esempio brillante ma triste di una gestione ereditaria e ad personam del potere. Ma in questo pantheon capovolto, fatto di sovrani a vita e regimi ‘soft’, Ben Ali non è solo. Nella sola Africa sono numerosi gli uomini politici che, a colpi di emendamenti costituzionali, hanno trasformato la carica presidenziale in una carica a vita (alcuni esempi sono Paul Biya in Camerun, Blaise Compaoré nel Burkina Faso, Idriss Déby nel Ciad). L’Africa è oramai il regno indiscusso dei presidenti a vita. Oggi è il sogno di un’Algeria democratica e affrancata da un passato sanguinoso a subire un nuovo colpo.

Il 12 novembre scorso il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika – 71 anni ed in carica dal 1999 – è riuscito a far ratificare dal parlamento un emendamento costituzionale che mantiene a 5 anni la durata del mandato del Presidente ma ne sancisce la rieleggibilità. La strada per un terzo mandato pare oramai spianata. Ufficialmente Bouteflika non si è ancora presentato, ma ha già effettuato un primo viaggio in pompa magna ad Orano che è stato salutato dalla stampa algerina come la prima tappa della sua campagna elettorale. E’ improbabile che non si presenti, dato che tutti suoi spostamenti sono caratterizzati dall’apparizione di comitati di sostegno creati ad hoc che spuntano come funghi. Bouteflika cerca di produrre artificialmente nell’opinione pubblica l’idea che il suo terzo mandato sia promosso spontaneamente dalla società civile. In realtà sul suo terzo mandato, come sul primo, pesa indiscutibilmente l’esercito.

Certo Bouteflika è riuscito, con piglio autoritario, a far uscire l’Algeria da un decennio di terrorismo sanguinario (come dimostra la sua rielezione nel 2004). Ma ci è riuscito grazie ad un utilizzo spropositato dell’esercito. In realtà, dall’avvento al potere di Ben Bella (primo presidente della Repubblica d’Algeria) e durante gli anni bui del terrorismo, l’esercito è stato al centro di tutte le trame della vita politica dell’Algeria post-coloniale. La riforma imposta oggi da Bouteflika ha ricevuto il pieno appoggio dei vertici militari, ed è stata adottata a maggioranza nel corso di una sessione congiunta dalle due camere che compongono il parlamento algerino (l’Assemblea popolare nazionale e il Consiglio della nazione). La procedura di votazione ha offerto lo spettacolo desolante di un’opposizione “anestetizzata e schiacciata”. Cinquecento i voti a favore, soltanto 21 i voti contrari, 8 gli astenuti. Numeri che offrono un’immagine cruda ma veritiera dello squilibrio democratico esistente tra il blocco presidenziale e l’opposizione. A votare a favore dell’iniziativa di Bouteflika – per alzata di mano e in diretta televisiva – si sono pronunciati i deputati dei tre partiti che compongono l’Alleanza presidenziale: il Fronte di liberazione nazionale (FLN), il Raggruppamento nazionale democratico (RND), l’islamico Movimento della società per la pace (MSP, ex Hamas), e il Partito dei lavoratori (PT, d’ispirazione trotzkista).

Ma ciò che è più inquietante è che la revisione costituzionale provoca una concentrazione di poteri senza eguali nelle mani di un’unica persona, il presidente della Repubblica. La situazione in realtà non è nuova, anzi è stata finora il leitmotiv dei due mandati di Bouteflika. La differenza è che oggi, per la prima volta, essa ha guadagnato anche una copertura giuridica. Secondo Nadjia Bouaricha – editorialista a El Watan, uno dei più importanti quotidiani d’Algeria – il 12 novembre 2008 sarebbe la data di nascita di un ‘regime presidenziale senza condivisione’. Anche la nuova figura del primo ministro contemplata dalla revisione è stata volutamente svuotata di potere. Questi non può presentare un programma di governo, né convocare un consiglio di governo né firmare decreti esecutivi senza l’avallo del presidente della Repubblica, e ricopre un ruolo secondario di semplice coordinatore della squadra di governo.

Nel corso di una conferenza stampa tenutasi recentemente a Parigi Saïd Saadi, segretario dell’RCD (Rassemblement pour la culture et la démocratie) – l’unico partito che ha osato opporsi all’emendamento e che ha abbandonato simbolicamente la sala durante le votazioni – non ha usato mezzi termini denunciando un ‘colpo di stato’. La Costituzione che esisteva fino al 12 novembre scorso – ha spiegato Saadi – sarebbe esplicita in materia di revisione costituzionale. Per introdurre sostanziali modifiche della costituzione è necessario un referendum popolare. Il Parlamento non è qualificato per ratificare emendamenti ‘maggiori’ alla costituzione, ma soltanto per introdurre emendamenti minori. Da questo punto di vista il 12 novembre 2008 costituisce uno strappo al cammino democratico dell’Algeria. Anche perché dietro la mossa di Bouteflika c’è sempre, secondo Saadi, l’ombra dell’esercito e di un’élite che detiene le redini del potere sin dal 1962: “Si tratta dello stesso gruppo di potere che ha capovolto il GPRA (Governo provvisorio della Repubblica d’Algeria) nel 1962 – accusa Saadi – lo stesso gruppo che ha continuato a fare pressioni sul GPRA e che ha portato a termine il putsch militare del 1965. In questo gruppo ovviamente c’è anche Abdelaziz Bouteflika”. Il gruppo di cui parla Saadi non è altro che il cosiddetto ‘clan d’Oujda’.

La città marocchina d’Oujda, che dista soltanto 14 km dalla frontiera algerina, storicamente ha accolto numerosi rifugiati algerini nel corso della lotta di liberazione nazionale di questo paese dalla Francia. Tra questi vi erano i genitori dello stesso Abdelaziz Bouteflika, che nacque e visse in questa città fino all’età di 20 anni. Oujda servì come quartier generale degli indipendentisti del FLN, tra cui figuravano il futuro primo presidente della Repubblica d’Algeria, Ahmed Ben Bella, il secondo, Houari Boumédienne (che depose il primo con un putsch militare nel 1965) e anche il terzo, Abdelaziz Bouteflika, che fu eletto per la prima volta nel 1999 grazie al sostegno dell’esercito. Quell’elezione tra l’altro suscitò scalpore in quanto alla vigilia dello scrutinio gli altri sei candidati si ritirarono per denunciare la frode elettorale. Oggi, con questa riforma, Bouteflika diviene sempre più il monarca assoluto della scena politica algerina. E ciò a discapito di una società che sta faticosamente uscendo dal periodo buio e insanguinato del terrorismo e che cerca disperatamente di evolversi. La ‘restaurazione’ di Bouteflika non è il frutto di una nuova classe politica né di un discorso politico nuovo.

L’Algeria ufficiale sembra cristallizzata, immobile, mentre la società civile, dinamica, non ha alcuna possibilità di esprimersi sul terreno politico. Ed è proprio lo scarto enorme che esiste tra l’Algeria ufficiale e quella reale che potrebbe provocare la rinascita dell’estremismo religioso su grande scala. Lo spiega lucidamente K. Selim, Le Quotidien d’Oran: «A forza di voler controllare tutto, di bloccare tutto, si lascia agli algerini soltanto l’unica risorsa di una religiosità che finirà per tradursi, presto o tardi, in politica. L’abbiamo scoperto dopo il 1988 e rischiamo di riscoprirlo di nuovo. Il regime è restaurato, ma con esso è restaurata anche la risposta dell’integralismo islamico». Da circa un anno infatti il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (GSPC) moltiplica gli attentati sul territorio algerino. Il GSPC oramai recluta direttamente nei quartieri poveri di Algeri. La classe dirigente tiene il popolo fuori dalle decisioni importanti. Facile dunque per il GSPC pescare nelle acque torbide del malcontento popolare. Creato nel 1988, il GSPC ha oramai soppiantato il GIA (Gruppo islamico armato che realizzò attentati anche in Francia).

Inizialmente presente nella sola Cabilia, il GSPC si è progressivamente diffuso in tutto il paese. I suoi obiettivi sono l’esercito, i civili e i turisti stranieri. Il GSPC può contare oggi su una rete diffusa di ‘cellule dormienti’ grazie al suo allineamento ad Al-Qaeda. Dal gennaio del 2007, infatti, il GSPC si è trasformato ufficialmente in Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI). Se una nuova ondata di terrorismo dovesse abbattersi sull’Algeria, Bouteflika non potrà respingerla col solo impiego dell’esercito. Per respingere l’oscurantismo e la violenza non bastano le istituzioni, ma è necessario il concorso della società civile. Soprattutto, la società civile deve poter partecipare attivamente alla vita politica del paese e non esserne tagliata fuori. Senza una democratizzazione della classe politica, l’Algeria rischia di ricadere nel coma profondo degli anni novanta.

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