I mille volti del puzzle siriano
Marco Cesario 21 febbraio 2008

L’opera intende riprendere lo spirito della pubblicazione degli anni ottanta del CNRS "La Syrie d’aujourd’hui" e possibilmente superarlo, dato che è già considerata da diversi storici ed intellettuali un testo di riferimento, l’affresco più completo ed esaustivo che esista in circolazione sulla Siria. Un lungo viaggio da Damasco ad Aleppo, passando per Lattakia, in cui gli autori offrono spaccati di un universo per lo più sconosciuto all’Occidente. Non solo dunque gli eventi storici maggiori per il paese, ma brevi paragrafi, specifici e dettagliati, che raccontano, in forma di reportage, squarci di società siriana. Complice l’autoritarismo che regola la vita dei siriani – e di cui è testimonianza la repressione dei rari dissidenti – ma soprattutto l’ombra lunga di Damasco sul conflitto libanese o iracheno, la Siria conosciuta oggi sarebbe solo quella della "figura tutelare" di Hafez al-Assad, padre dell’attuale presidente, o verrebbe citata soltanto per essere stata annoverata da Bush tra gli "stati canaglia" che sostengono il terrorismo.

Certo, lamenta Benkorich, l’opera relega ad un piano secondario il quadro politico "di un regime in cui le strategie del potere modellano considerevolmente il corpo sociale". Difficile infatti in questo contesto tacere del doppio filo che lega la Siria al Libano e all’uccisione dell’ex premier Rafic Hariri, del giornalista Samir Kassir e ad altre uccisioni ‘mirate’ come quelle di Gibran Tueni, Pierre Gemayel, Walid Idol, Antoine Ghanem. La Siria vuole dal canto suo continuare ad avere delle "relazioni privilegiate" con il Libano puntando probabilmente a "normalizzarle" (come ha dichiarato recentemente il ministro degli esteri siriano Walidal-Muallim). Eppure all’interno di questo paese ci sono diverse voci e diverse correnti ed occorre conoscerne in dettaglio il profilo per potere sbrogliare la matassa della sua complessità storico-politica. Da questo punto di vista l’obiettivo degli autori di La Syrie au présent è quello di restituire un ritratto veritiero ma anche frastagliato del paese nato dallo smembramento dell’Impero Ottomano, un paese "disegnato a tratti di matita rossa e blu dal britannico Sykes e dal francese Picot nel 1916", che si è trasformato progressivamente in un "regime che sprona al passaggio ad un’economia sociale, ma che resta però marchiato dal clientelismo e dal nepotismo".

Passando da un colpo di stato ad un altro, dopo la seconda guerra mondiale e la nascita di un nazionalismo rampante, la Siria vive il difficile periodo degli anni ’50, poi l’alleanza con l’Egitto di Nasser fino all’arrivo al potere del partito socialista, filoarabo e laico Baas, il partito della "resurrezione" che, come dimostra nel suo contributo Fabrice Balanche, "lungi dall’aver cercato di rompere le solidarietà tradizionali e la coesione delle diverse comunità le ha al contrario rafforzate". Nel 1967 la Siria partecipa alla Guerra dei Sei Giorni contro Israele e, sconfitta, perde le alture del Golan, militarmente strategiche e importanti sorgenti d’acqua. Nel 1970 Hafez al-Assad prende in mano le redini del paese, che non lascerà più fino alla sua morte. Il figlio Bashar, che succede alla morte del padre nel 2006, vorrebbe inaugurare una presidenza all’insegna della "rottura", ma non riesce a raddrizzare un paese "debole", che non ha sempre i mezzi per le sue grandi ambizioni e che "compensa le sue debolezze con il mantenimento di una capacità di perturbazione regionale". Il testo offre spazio anche a digressioni antropologiche e sociologiche sulla società siriana contemporanea. Capitoli come “I Palestinesi della città vecchia di Damasco” oppure “I Beduini tra modernità e stato”, ci trasportano nella realtà di una popolazione siriana ancora poco omogenea.

Anche l’attualità come l’immigrazione irachena all’origine della prostituzione e la nuova gioventù siriana di Damasco "del velo e del cellulare" è oggetto di studio. Più erudita la parte concernente le religioni in cui si parla del processo di "sciitizzazione" degli alawiti all’epoca dei Tanzimat ottomani, del "culto dei santi ad Aleppo" o del "Pellegrinaggio nel villaggio cristiano di Maaloula". Nel suo contributo P. G. Pinto mostra l’emergere di una forma di sufismo ‘riformato’ in cui "la dimensione mistica è integrata dalle classi medie e superiori delle città attraverso le prescrizioni rituali e dottrinali del Corano e le regole sociali e morali della sharia". Andreas Christmann si sofferma invece sull’uso di Internet da parte degli ulema siriani per veicolare l’insegnamento dei precetti religiosi. Istantanee di un paese che fu terra d’asilo per numerose minoranze, che divenne socialista e laico ed infine fu dominato dall’Islam sunnita. Il libro si conclude con l’auspicio di Souhail Belhadj, docente siriano presso l’Istituto degli Studi politici di Parigi ed Eberhard Kienle, ricercatore presso l’Istituto di ricerche e studi sul mondo arabo-musulmano di Aix-en-Provence: "Solo l’instaurazione di una democrazia – concludono i due autori – costituisce la linea d’orizzonte di un processo di innovazione del sistema politico siriano".