Che noia la democrazia paralizzata
Mahmoud Belhimer 8 maggio 2007

Più di 18 milioni di elettori algerini saranno chiamati alle urne il prossimo 17 maggio per eleggere 389 deputati in Parlamento, per una legislatura di 5 anni. Dovranno essere eletti i rappresentanti del popolo all’Assemblea Popolare Nazionale (APN), la Camera bassa, che forma il Parlamento algerino insieme alla Camera alta, il “Consiglio della Nazione”. In apparenza queste elezioni costituiscono un pacifico processo di alternanza al potere, ma in realtà il sistema si accontenta di un cambiamento di facciata anziché impegnarsi per creare le condizioni ideali che possano dare inizio ad una vera transizione democratica, che favorisca l’emergere di forze politiche di rottura con i metodi arcaici del vecchio sistema.

Una valutazione oggettiva della situazione politica del paese alla vigilia delle elezioni legislative conferma ulteriormente questa situazione. In effetti, la quarta elezione legislativa nella storia democratica del paese, dalla promulgazione della Costituzione del 23 febbraio 1989 che ha messo fine al regno del partito unico, non sembra essere portatrice di progetti politici alternativi all’attuale status quo che si impone come una sorta di fatalità, e da qui a breve non vi sono cambiamenti politici radicali in vista. Una siffatta affermazione è forse prematura? Gli osservatori avveduti individuano numerosi elementi per coltivare il loro pessimismo.

Dalle elezioni del 2002 la scena politica algerina è dominata da tre formazioni politiche comunemente chiamate “i partiti dell’alleanza presidenziale”. Si tratta, nello specifico, del Front de Libération National (FLN), l’ex partito unico, nazionalista conservatore, il Rassemblement National Démocratique (RND), creato dal potere nel 1997, e il Mouvement de la Société pour la Paix (MSP), un partito moderato d’ispirazione islamica che propugna la partecipazione pacifica al potere. Le tre formazioni politiche fanno parte del governo guidato da Abdelaziz Belkhadem, capo dell’FNL, e si sono mobilitate intorno al programma del presidente della repubblica, Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999.

Questa coalizione governativa non è il frutto di un negoziato su idee e programmi politici intorno ai quali si è creato un consenso, ma si è costituita sulla base di un programma presidenziale predisposto senza che i partiti vi partecipassero in alcun modo. Con questo procedimento i partiti politici algerini hanno creato una novità nella pratica politica: si sono trasformati in comitati di sostegno ad un candidato indipendente ed estraneo alle loro rispettive strutture politiche, in questo caso Abdelaziz Bouteflika, riconosciuto come il candidato del consenso all’elezione presidenziale dell’aprile 1999, mentre avrebbero dovuto porsi l’obiettivo di accedere al potere e applicare i loro specifici programmi politici.

Il perdurare di questa configurazione politica dalle elezioni legislative del 2002 ad oggi ha reso la vita politica opaca, monotona e sterile. Alcuni osservatori hanno parlato dell’“alleanza presidenziale”, cioè la coalizione dei tre partiti raggruppati intorno al presidente Bouteflika, come di una formula mascherata per uccidere il multipartitismo nel paese; siamo tornati ad un’altra forma di monopolio politico; tre partiti si sono costituiti intorno ad un pensiero unico! Le conseguenze di questa modalità di gestione della vita politica sono disastrose: un consenso fittizio che mal nasconde l’assenza di un contropotere e di un dibattito in contraddittorio, e mette in evidenza un contesto politico chiuso e paralizzato. Questa situazione non favorisce certamente l’emergere di nuove élites e di nuove forze politiche.

I dati attuali spingono gli osservatori ad affermare che le elezioni del prossimo 17 maggio non avranno alcun importante impatto sulla geografia politica nazionale dato che si orientano, aprioristicamente, verso la prosecuzione del mandato dell’alleanza presidenziale che raggruppa l’FNL, l’MSP e l’RND intorno al presidente Bouteflika. In altri termini, ci avviamo verso un cambiamento nella continuità della configurazione politica attuale. I responsabili di queste tre formazioni hanno già dato un’idea di quello che avverrà dopo il 17 maggio affermando – addirittura prima dell’inizio della campagna elettorale – che i loro partiti si approprieranno la maggioranza dei seggi della futura assemblea nazionale. Il Segretario generale dell’FNL, Belkhadem, ha dichiarato che il suo partito “vincerà le elezioni”, Ahmed Ouyahia, il capo dell’RND garantisce che la sua formazione “sarà la seconda forza politica del paese”, mentre il leader dell’MSP, Abu Djerra Soltani afferma che otterrà “almeno il 30% dei seggi”: i risultati sono addirittura proclamati in anticipo! L’attuale compagine governativa è ormai entrata in campagna elettorale, dato che almeno 14 ministri sono candidati alla carica di deputato.

Tuttavia, le elezioni legislative del prossimo 17 maggio vedranno la partecipazione della Cabilia dopo un’assenza di 5 anni dovuta essenzialmente al boicottaggio sostenuto dal movimento civico degli âarch (nato dopo gli avvenimenti dell’aprile 2001) e dai partiti radicati tradizionalmente nella regione, vale a dire l’FFS (Front des forces socialistes) e l’RCD (Rassemblement pour la culture et la démocratie). Quest’anno, la Cabilia sarà presente con la partecipazione dell’RCD, dei rappresentanti del movimento civico e dell’UDR (Union Démocratique et Républicaine) creata da Amar Benyounès, ex vice presidente dell’RCD, che partecipa sotto il simbolo dell’ANR (Alliance nazionale republicaine dell’ex capo del governo Reda Malek) perché il suo partito non è stato ammesso alle elezioni.

Il “Mouvement pour la Réforme Nationale” (MRN) – un partito islamista fondamentalista contrario alla politica dell’entrismo (la disponibilità ad entrare nel governo, n.d.t.), caldeggiata invece dall’MSP e dai suoi detrattori di Enaahada e di el-Islah, creato da Abdellah Djabellah a fine 1998 – si è scisso in due parti, da un lato i sostenitori di Djabellah e dall’altro quelli di Mohamed Boulahia. Quest’ultimo è stato ammesso dal Ministero dell’Interno alle elezioni del 17 maggio, mentre sono stati esclusi i sostenitori di Djebellah, i quali chiamano quindi al boicottaggio. Lo stesso atteggiamento è stato assunto dall’FFS che propugna il boicottaggio attivo di queste elezioni.

Va detto che il parlamento è un’istituzione emarginata, una “camera di registrazione” dei progetti di legge proposti dal governo che non ha alcuna influenza sulle grandi decisioni politiche del paese. L’ultima legislatura conferma questo dato in quanto l’Esecutivo ha fatto ricorso in modo improprio e sistematico alle ordinanze presidenziali, che non prevedono alcun tipo di dibattito contraddittorio all’interno dell’emiciclo. A sostegno di quest’affermazione possiamo ricordare che leggi importanti come il codice di famiglia, la legge sugli idrocarburi e lo statuto generale della funzione pubblica, per citare solo questi, sono passati con lo strumento dell’ordinanza presidenziale.

Il bilancio dell’ultimo mandato del parlamento evidenzia come la maggioranza degli 89 testi di legge adottati in quella sede siano ordinanze presidenziali promulgate tra due sessioni parlamentari. D’altro canto, non è stata registrata nessuna proposta di legge – ad eccezione di quella dell’El-Islah sull’emendamento alla legge elettorale – non sono state costituite commissioni di inchiesta parlamentari, né è stato emanato il regolamento per la stesura del bilancio, mentre il paese è stato scosso da diversi scandali finanziari tra cui l’affare del gruppo “Khalifa” (che ha fatto perdere al paese quasi 2 miliardi di dollari), e i deputati aspettano spesso anche diversi mesi per ricevere risposta alle loro interrogazioni orali.

Queste elezioni avvengono in una particolare congiuntura, contrassegnata specificamente dalla recrudescenza degli attentati terroristici. Dopo un momento di calma registrato negli ultimi anni, lo scorso 11 aprile Algeri è stata scossa da un attentato terroristico kamikaze che ha fatto tremare la sede del governo e quella di un commissariato di polizia che ospita l’Interpol algerina e ha provocato 30 morti e decine di feriti. Questa recrudescenza della violenza terroristica ha creato un clima di psicosi e di panico nella popolazione, che teme ora altri attentati. Malgrado il terrorismo sia stato vinto militarmente e politicamente, gli ultimi attentati rivendicati dal Groupe Salafiste pour la Prédication et le Combat (GSPC), considerato un’organizzazione di al Qaeda nel Magreb islamico, hanno rilanciato il dibattito sulla questione della sicurezza e in qualche modo hanno messo in discussione la politica di riconciliazione nazionale sostenuta dal presidente Bouteflika. Il terrorismo, o islamismo armato, ha definitivamente perso la battaglia in Algeria, ma non sono stati eliminati tutti coloro che fomentano la paura, e i provvedimenti assunti in questo senso risultano alquanto contraddittori.

E’ opportuno segnalare che alcuni mesi prima dell’inizio della campagna elettorale il governo è stato chiamato causa in quanto le politiche messe in atto per arginare la crisi economica e sociale che attanaglia il paese sono risultate fallimentari. L’Algeria fatica a lasciarsi alle spalle i postumi del decennio nero, il cui bilancio è molto pesante: più di 100.000 morti, 20 miliardi di dollari di danni, 7.000 persone scomparse e una società fortemente traumatizzata. Dal 2000, grazie ad un considerevole aumento del prezzo del barile di greggio, lo Stato si è impegnato a recuperare i ritardi accumulati durante gli anni del terrorismo, ma il ritmo delle riforme avviate e i risultati registrati sul terreno non riscuotono il consenso di tutti i cittadini, i quali pensano che le loro reali preoccupazioni non siano prese in debita considerazione e non riescono a capire come mai un paese che dispone di 80 miliardi di dollari di riserva di cambio non riesca a sradicare la povertà, ridurre la disoccupazione e migliorare la qualità della vita dei propri cittadini.

La grande sfida dell’attuale gruppo dirigente algerino consiste nell’individuare una politica nazionale di sviluppo capace di dare risposte concrete ai problemi economici e sociali del paese (lavoro, salute, formazione, casa, etc.), sfruttando l’attuale miglioramento finanziario, il più significativo di tutta la sua storia. Gli specialisti parlano di un’opportunità storica per l’Algeria di mettersi al passo, dando avvio a vere e proprie riforme, in caso contrario si troverà in serie difficoltà nel gestire i problemi che continuano ad aggravarsi malgrado un ottimismo ufficiale non giustificato. Ma qui si pone un problema di fondo: come è possibile realizzare delle riforme economiche in una “democrazia” fragile, per non dire fittizia, che fatica a riconciliarsi con la partecipazione popolare nella gestione della cosa pubblica e a costruire un contropotere che contrasti gli abusi di potere e il potere assoluto? Questo è il vero elemento del contendere. Se le elezioni legislative del 17 maggio confermeranno l’attuale configurazione politica con le sue fragilità e le sue carenze, la mancata soluzione dei veri problemi degli algerini porrà tutti di fronte alla necessità di mettere in discussione lo status quo attuale e tendere al superamento di una democrazia di facciata, che impedisce al paese di familiarizzarsi con autentiche tradizioni democratiche.

Mahmoud Belhimer è, dal 2002, redattore capo aggiunto del quotidiano algerino Elkhabar, “primo quotidiano algerino in lingua araba, con una tiratura di oltre 500.000 copie”. Partecipa alla gestione dinamica dell’equipe redazionale e si occupa della rubrica “Moudjeradrai”, nell’ultima pagina del quotidiano. Nel giugno 1991 si è laureato in scienze politiche e rapporti internazionali all’Università di Algeri, presso la quale ha successivamente svolto un master sul tema :”La transizione democratica in Algeria”.

Traduzione di Silvana Mazzoni