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  • Maria Laura Lanzillo

    Le costituzioni liberali e, poi, liberal-democratiche che ne seguirono avrebbero, infatti, riconosciuto non la concessione della tolleranza (che indica un atteggiamento di sopportazione nei confronti di chi non riconosciamo uguale a noi e che paternalisticamente accettiamo di sopportare, ovviamente senza che ciò implichi il riconoscimento di alcun diritto), ma la libertà – religiosa e di parola, di stampa e di opinione, ecc. – come diritto pubblico soggettivo di ogni individuo.

    La questione della tolleranza nasce nei secoli XVI e XVII dalla distinzione fra lo spazio interno dello Stato e quello esterno abitato dagli Stati, dalla necessità di avere ordine all’interno per garantire la pace civile fra i cittadini e di instaurare all’esterno una regolata convivenza fra Stati. Si sente il bisogno di distinguere gli scopi dello Stato da quelli della religione, distinzione che, sancendo il riconoscimento del pluralismo delle confessioni, previa neutralizzazione del loro potenziale conflittuale, determinerà in seguito il riconoscimento dei diritti civili e politici di tutti gli individui.

    Figura emblematica della lotta moderna per la tolleranza fu Voltaire. Da un lato, negli scritti di Voltaire troviamo affermato il tema del latitudinarismo, che gli permette di dimostrare che la sola soluzione possibile alle guerre e ai disordini generati dall’intolleranza è il mantenimento di un ampio assetto pluralistico delle credenze, dal momento che tutte trovano il proprio fondamento su un nucleo comune di natura che rende gli uomini uguali fra di loro. D’altro lato, la tolleranza è teorizzata come cuore di una concezione moderna della politica, fondata anche sulla necessità di dirimere i rapporti fra Stato e Chiesa in nome della salvaguardia dell’ordine sociale e politico.

    Dimenticata per quasi due secoli dal pensiero politico, la questione della tolleranza si ripropone oggi nelle più diverse accezioni: non solo tolleranza religiosa, ma anche razziale, di stile di vita, nei confronti di ogni diversità. Nel dibattito occidentale le nuove teorie della tolleranza vengono proposte come risposta alla questione della giustizia, data la complessità e la molteplicità che abitano le società occidentali, che, lungi dall’essere omogenee secondo l’ideologia dello Stato-nazione, appaiono sempre più diversificate al proprio interno.

    All’interno del dibattito contemporaneo sulla tolleranza si possono sinteticamente distinguere due posizioni: da una parte si trovano quegli autori liberali, fra tutti John Rawls, che propongono la tolleranza quale sistema prudenziale per incrementare i diritti e che dunque considerano la tolleranza come necessaria strategia di omogeneizzazione e unificazione dello spazio politico attorno a quello che viene riconosciuto, come principio fondante le odierne democrazie, il pluralismo dei valori. Dall’altra, vi sono autori, in particolare nordamericani che si riconoscono nelle posizioni dei comunitarians (Taylor, Kymlicka, Walzer), che intendono la tolleranza non come processo di neutralizzazione in un’ottica proceduralista quale quella liberale, ma come strategia necessaria per ottenere un riconoscimento attivo delle diversità, vale a dire delle presunte differenti identità che costituirebbero le molteplici comunità che abitano lo spazio delle società contemporanee. In questo secondo caso il dibattito sulla tolleranza si intreccia, oltre che con le questioni di giustizia, con quello sul multiculturalismo.

    La tolleranza, in ultima analisi, si declina oggi, come nei secoli della piena modernità, come una pratica di organizzazione politica dello spazio, che implica un rapporto spaziale fra gli attori che lo abitano. Il riaffacciarsi alla discussione politica del concetto di tolleranza è effetto dell’emergere di nuovi attori sulla scena politica e ciò determina la necessità di una nuova e concreta ridefinizione dello spazio politico. Necessità che viene evidenziata da tutti gli odierni teorici della tolleranza, i quali però, proprio perché propongono la “virtù” della tolleranza come soluzione, non possono che continuare a pensarla a partire da un atto di esclusione (la “soglia di tolleranza”) su cui viene fondato il processo di riconoscimento di chi è dentro rispetto a chi è fuori dalla società, di chi è cittadino rispetto a chi non lo è. Oggi, la tolleranza pluralista alla Rawls, come già la tolleranza di Locke o la tolleranza dei multiculturalisti, risulta sempre una pratica di concessione da parte di quel gruppo che si definisce “società liberale e democratica” o “società plurale” nei confronti di chi è percepito non farne parte.

    Ma ben altro è il compito che il pensiero e la pratica politica dovrebbero affrontare: riuscire ad uscire da una relazione con l’Altro fondata sull’assimilazione o sull’esclusione è la nuova sfida che la nostra dimensione storica ci pone. E ciò significa procedere oltre la tolleranza e avere il coraggio di affrontare realmente la questione dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri che materialmente ci legano gli uni agli altri.

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